Dopo l'annuncio da parte di Paolo Ciapparelli (nella foto, a destra), capo dei “ribelli del bitto”, dell'imminente cambio di nome del bitto storico, cambio sollecitato dall'assessore regionale Fava onde evitare le conseguenze (anche penali) della violazione delle norme europee, si è assistito - si legge in una nota della società Valli del bitto - alla fiera dell'ipocrisia.
Chi, per anni, ha combattuto e denigrato il bitto storico (ma lo ha anche sfruttato abilmente per assimilare ad esso il bitto massificato), oggi ha paura che la Valtellina faccia una figuraccia al Salone del Gusto di Torino (a settembre), quando sarà formalizzato che il bitto storico non esiste più. Sarà difficile spiegare perché i prosecutori della più autentica tradizione del bitto non possono poi utilizzare il nome bitto. E perché in 22 anni - tanto dura la vicenda della “Dop bitto” - la politica, invece di risolvere il problema, l'ha aggravato.
Nel coro degli amici dell'ultima ora del bitto storico, che invocano la “pace del bitto” e invitano a “restare uniti”, si distingue la Coldiretti. Quest'ultima, attraverso le dichiarazioni del presidente Coldiretti Sondrio Alberto Marsetti (nella foto, a sinistra) paventa conseguenze catastrofiche a seguito del cambio di nome del bitto storico. «Ci sono in ballo - ha dichiarato Marsetti - 60 imprese agricole con oltre 120 lavoratori che producono 18mila forme per un fatturato di oltre 2 milioni che corrispondono a oltre 4 milioni di valore al consumo». Cosa significa? Che il cambio di nome di 1.500 forme di bitto di un tipo farebbe crollare il prezzo delle altre 18mila?
Ovviamente non è possibile ma la Coldiretti, come le altre organizzazioni del sistema agroalimentare (o per meglio dire agroindustriale) valtellinese teme il venir meno dell'“effetto scambio di identità”. Tutto il parlare dell'eccellenza del bitto
storico “teneva su” il bitto massificato e “modernizzato”, prodotto con mangimi e fermenti industriali, senza latte di capra. Non c'era giornalista o blogger che in coda ad un pezzo di esaltazione dello “storico”, dei “ribelli del bitto” non allegasse la foto con l'etichetta rossa del Consorzio Ctcb - Consorzio tutela Valtellina Casera e Bitto.
Fin qui nulla di strano. Chi ha strumentalizzato il bitto storico, usando la tattica di combatterlo alla luce del sole e di cercare di confondersi con esso dietro le quinte, si preoccupa. Quello che è inaccettabile è la diffamazione dei “ribelli del bitto”. Marsetti ha accusato senza mezzi termini i “ribelli” di «strumentalizzare la difesa delle tradizioni, della tipicità, della storia, del territorio a fini di mero interesse e di parte».
Marsetti sa che gli oltre 100 soci della società Valli del bitto (compresi i produttori agricoli), per sostenere il metodo storico, hanno realizzato - di tasca loro - una casera che è anche una galleria d'arte, di cultura, di umanità, che è diventata un elemento di interesse turistico, che promuove l'immagine della Valtellina attraverso i media nazionali e internazionali. Una casera per la quale la società Valli del bitto hanno douto investire di tasca - in periodo in cui il Comune di Gerola (So) non disponeva delle copiose entrate attuali - ben 300mila euro, utilizzati per le spese di edificiazione di un immobile che è totalmente di proprietà del comune.
Alberto Marsetti e Paolo Ciapparelli
Questa spericolata generosità (o comunque ingenuità) nel sostenere un Comune che si pensava amico (e che poi ha voltato le spalle per unirsi al coro dei poteri forti nemici del bitto storico) ha determinato l'accensione di linee di credito che, nel corso di un decennio, hanno gravato di interessi passivi il bilancio della società Valli del bitto. I “debiti” sono solo questi. Nelle varie interlocuzioni succedutesi negli scorsi anni la richiesta avanzata dai “ribelli” alle istituzioni era di riconoscere - nelle forme legittime e idonee - un terzo di quell'investimento iniziale. Un'inezia rispetto agli sprechi dei rappresentanti delle istituzioni e delle varie organizzazioni dell'establishment che cifre simili se le bruciano, nell'ambito di “progetti di promozione” solo per spese di rappresentza e cene tra loro.
In ogni caso i “debiti” della “Valli dl bitto” (peraltro onorati) sono derivati dall'aver voluto sostituirsi alle istituzioni, tanto era l'entusiasmo per la causa del sostegno dei produttori storici. In 10 anni la società Valli del bitto, ha agito all'opposto di una società con fini di lucro (formalmente è una Spa), operando come una fondazione, riconoscendo ai produttori un “prezzo
etico”, gestendo un vero e proprio museo, svolgendo attività culturali autofinanziate (o sostenute dai privati) che incidono pesantemente sui costi del personale, costi e che qualsiasi altro soggetto non inviso ai poteri forti e alle istituzioni avrebbe addebitato a qualche “progetto”.
Nel frattempo le organizzazioni che gestisono la promozione alimentare in Valtellina hanno speso milioni di euro, spesso solo per dare lavoro agli amici con iniziative di nulla o scarsissima ricaduta. Marsetti (ma non solo lui) chiede al bitto storico di non cambiare nome e di continuare a “fare da traino”. Sarebbe come chiedere a Varenne di trainare un pesante carro insieme a dei ronzini che - generosamente alimentati di biada - lasciano al campione l'onere di spingere. Al campione, nel frattempo, invece della biada si promette del fieno (ammuffito).
I “ribelli del bitto” sono dei “trogloditi che rifiutano la modernità” (come venivano definiti solo qualche anno fa). Ma sono abbastanza avveduti da capire che, sino a quando la politica non sarà in grado di legalizzare il bitto storico, a loro conviene cambiare - sia pure provvisoriamente - nome. Se ne facciano una ragione Marsetti e tutti gli altri. Con successiva comunicazione verrà precisato, anche a beneficio dei consumatori, con che modalità e tempi sarà attuato il cambio del nome. In ogni caso nella stagione d'alpeggio 2016 non sarà prodotta alcuna forma di bitto storico. Il bitto storico (almeno per ora) è morto.