Cinque motivi per esaltarsi con un hamburger in mano, e sfidare l’accusa di esterofilia: 1) hamburger è gioventù; 2) hamburger è praticità; 3) il gusto della carne tritata e schiacciata è intramontabile; 4) può essere anche vegetariano/vegano; 5) il 28 Maggio si celebra il “World Hamburger Day”, in onore dell’icona della tavola americana. Sicuro, americana? Sull’origine, come spesso accade, si può discutere e accapigliarsi, facendola magari risalire all’ omonima città germanica sull’estuario del fiume Elba: chissà se furono propro gli immigrati tedeschi a portare la novità oltreoceano.
Qualcuno si azzarda a citare fonti risalenti al 1758, in cui si parla della ricetta della “salsiccia di Amburgo”; altri potrebbero opporre l’esistenza della “bistecca di Amburgo”, già a quei tempi tritata, condita e pressata, a partire da un momento imprecisato della fine del ‘700… non ne verremo a capo adesso, anche se è la giornata in suo onore.
Un cibo che dà felicità
Consumi alle stelle negli Usa, ma anche l'Italia non scherza
Al dì d’oggi quel che conta è che in
America se ne mangiano davvero tanti (50 miliardi, e dico miliardi, all’anno), perciò gli dobbiamo lasciare la legion d’onore della polpetta schiacciata, e buon pro gli faccia; ma in
Italia non si
scherza, ché stando alla piattaforma di delivery Just Eat nel 2020 sono stati consegnati a casa medaglioni, variamente impaninati, per
295 tonnellate. +
27% rispetto al 2019.
Con vari accompagnamenti: anzitutto
patatine fritte, prime in classifica ça va sans dire, a cui seguono in ordine anelli fritti di
cipolla in pastella, chicken nuggets, alette di pollo e
mozzarella sticks. E non basta: il “Grande Frittello” ha pure la sua classifica italiana, che è la seguente, sempre secondo Just Eat:
- Hamburger Classico
- Cheeseburger
- Componi il tuo Hamburger
- Bacon Burger
- Chicken Burger
- Bacon Cheeseburger
- Hamburger di Chianina
- Doppio Cheeseburger
- Pulled Pork Burger
- Avocado Burger
Dibattito culturale sul confronto con il Made in Italy
Se poi parliamo di
McDonald’s Italia, un nome una garanzia, la vendita media annuale corrisponde a un bel 250 milioni di
panini. Non tutti hamburger, certo, ma la maggior parte sì. Scenario tragico, dirà qualcuno: ah che bei tempi quando si faceva merenda con
michetta e due fette di salame, signora mia! Lasciamo perdere le semplificazioni nostalgiche, per un momento, e proviamo a ragionare: l’
hamburger è un fenomeno di costume, non si può arginare il mare con sabbia e secchiello, né invocare l’embargoburger decretato dalla pubblica autorità (di chi, del Duce?).
La pizza sfonda e s’impone in ogni angolo del globo, il
prosecco e il
Parmigiano Reggiano la fanno da padrone quasi ovunque, questo è il mercato e quindi stiamo al gioco. Che ci conviene.
Quel che si può fare è
italianizzare il fenomeno, ammantare e perfezionare gli ingredienti col genio tricolore e strapaesano, donargli la nostra variopinta, a volte capricciosa fantasia. E trasformare il pesante paninazzo-rospo in un odoroso e gustoso Principe Azzurro. Deve aver attivato questo pensiero laterale l’imprenditore
Massimo Pasqual, uno dei fondatori della mini-catena brianzola “
Mystic Burger”, quando ha italianamente concepito l’idea di
fast-food-senza-fast. La sua attenzione di selezionatore ha preso le mosse dal pane (e cosa c’è di più nostrano?) offerto in veste di tartina al latte, michetta, cereali, cipolle, crunchy mais, aromatizzato al caffè e bretzel.
Hamburger italiano, la parola a Massimo Pasqual
Con queste sontuose premesse, siamo autorizzati a domandare a
Massimo Pasqual cosa si ritrova del nostro carattere nazionale nei suoi “
Mystic Burger”. «Un
hamburger è italiano anzitutto per la qualità della materia prima: in nove casi su dieci la carne è italiana, rigorosamente selezionata da noi. L’ultimo nato abbiamo voluto farlo in stile americano collaborando con un famoso food blogger,
Mocho, che ha voluto impreziosirlo con il
foie gras, in un volo di fantasia che speriamo ci porti bene. A parte quest’ultima creazione, la cui materia prima ci arriva da "
Meat Crew", Black Angus Usa, i nostri fornitori sono sparsi: in
Valpolicella, ad esempio, ma altre zone ci danno la
Chianina, poi la Regina delle Alpi, il
culatello. A ogni diverso panino corrisponde una diversa carne, o quasi. Il nostro classico si chiama
"Dionigi": il pane ai cereali antichi ospita carne di bovino, lavorataci da una macelleria vicentina, in affumicatura di faggio, stracciatella di latte al basilico, songino, guanciale croccante.”
E col “Dionigi” abbiamo omaggiato almeno tre diverse regioni. Altri elementi/
ingredienti “fuori dal coro”? «Per lo più non usiamo salse, negli hamburger, per evitare di coprire i sapori, e come ha detto lei in premessa il
pane fa la differenza: non è congelato, ci arriva fresco tutti i giorni». Rispetto alla preistoria, cioè al pre-lockdown, prevedete di cambiare qualcosa? I vostri obiettivi e la vostra clientela cambieranno, con la riapertura?
«
Andiamo avanti per la nostra strada. Il nostro è stato e sarà sempre un target di
famiglie, diciamo medio-alto, anche per il prezzo: di sera con le bevande si spendono facilmente venti euro, ma se vuoi la carne speciale, la
birra di classe ed il
cocktail costoso anche quaranta. Niente compromessi al ribasso, sia chiaro: l’hamburger da catena di montaggio sta da qualche altra parte e questo è stato un messaggio chiarissimo, fin dall’inizio».
Il fenomeno dell'hamburger vegano
L’importante è non fraintendere, e sapere che tipo di
esperienza gastronomica ti aspetta, quando entri in una delle filiali di Mystic Burger a
Como, Carate Brianza o Montorfano. Un po’ di chiarezza non guasta anche in merito alla materia prima: ad esempio l’
hamburger vegano, in
grande ascesa nei mercati di tutto il mondo, come ce lo dobbiamo immaginare? Lo abbiamo chiesto ad un esperto,
Luca Perissinotto, anima creativa e chef vegano di Hug, quaranta coperti vicinissimi alla stazione ferroviaria di
Monza Sobborghi; una specie di bistrot-hamburger shop di alto livello, rigorosamente senza carne.
Cresce il consumo di hamburger veganoLuca, esistono grandi produttori ormai di fama mondiale, come “Impossible Foods” o Beyond Meat”, che vendono milioni e milioni di hamburger vegani al sapore di carne, quasi indistinguibili dagli originali…
come la mettiamo? «La
cucina vegetale non deve ricordare la carne:
deve ricercare, inventarsi i suoi gusti naturali in totale autonomia. Questa è la mia impostazione, e quella di “Hug”. I nostri
hug-burgers sono stati molto apprezzati anche per questo: ad esempio il "Nero di shiitake" con pane semintegrale al latte vegetale e burro veg, mentre il
burger è fatto con con riso venere, fagioli neri, funghi shiitake e salsa hoisin. Niente che ricordi il tritato di manzo:
quella è un’altra esperienza.
Quanto alla carne-non-carne, sempre più di moda, gli affezionati clienti di
"Hug" non me l’hanno mai chiesta. Credo che questo nuovo tipo di alimento, che ha sapore e consistenza di carne ma non lo è, nasca per avvicinare gli onnivori, cioè la maggioranza dei consumatori, ad un mondo più rispettoso della natura, più sostenibile. Perché è chiaro che mangiare meno carne fa bene alla
salute e preserva il pianeta, quindi come si fa a non apprezzare questo avvicinarsi? Ma dal
punto di vista gastronomico resto molto perplesso».
Luca Perissinotto avrà tra brevissimo la possibilità di condividere con i clienti i suoi nuovi sapori naturali e l’autonomia concettuale della cucina vegetale, dato che il
nuovo menu di "Hug" verrà presentato a giorni; e noi che siamo onnivori gli facciamo i migliori auguri, avendo ben capito che mangiare un hamburger di carne della Valpolicella, di funghi shiitake o di rapa rossa stimola la creatività. Non è vero che ci appiattisce sulla cultura americana, e forse il merito della “
Giornata mondiale dell’hamburger” sta nell’avercelo ricordato.