Il tagliere che qui proponiamo, composto da quattro formaggi Dop, ha due “madri” (origini delle materie prime) e tre “padri” (territori). La madre di tre di questi formaggi è la pecora. La madre del quarto è la vacca, mentre il padre è il territorio romagnolo, che il formaggio si porta anche nel nome. Stiamo parlando infatti dello Squacquerone di Romagna Dop.
Squacquerone di Romagna Dop
È un formaggio a pasta molle e a maturazione rapida, prodotto con latte vaccino intero. La sua età la si misura in giorni, dacché per la sua estrema delicatezza il tempo di conservazione è al massimo di una decina di giorni. È ottenuto esclusivamente con latte vaccino intero, proveniente dalla zona di produzione, che interessa le province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna e parte della provincia di Ferrara. Lo Squacquerone di Romagna Dop è un prodotto sicuramente peculiare, sinonimo di identità locale. Il gusto inconfondibile è acquisito in virtù della qualità del latte utilizzato per la caseificazione, povero di grassi e proteine, il quale, una volta lavorato, dà origine ad un formaggio dalla straordinaria consistenza deliquescente, morbida, di certo non compatta. Tra l’altro, in dialetto romagnolo “squacquerato” significa “quasi liquido”.
Squacquerone di Romagna Dop
Lo Squacquerone di Romagna Dop è un formaggio privo di crosta o buccia. La pasta è di colore bianco-madreperla e ha una consistenza molto morbida, cremoso-gelatinosa e spalmabile. Aroma e gusto sono delicati, di latte, dolcemente aciduli. La sua storia è molto antica. La produzione è fortemente legata all’ambiente rurale, dove, nel passato, veniva prodotto in grandi quantità soprattutto durante il periodo invernale, per la maggiore facilità di conservazione. In una missiva del 15 febbraio 1800, il Cardinale Bellisomi, vescovo di Cesena, scrive al vicario della sua diocesi per essere informato sugli squacqueroni richiesti e ancora non pervenuti. Giacinto Carena, noto erudito in scienze naturali vissuto tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, definiva lo squacquerone come “cacio tenero” da mangiarsi subito e con una consistenza umida e poco soda.
Essendo un formaggio fresco, lo Squacquerone di Romagna Dop deve essere consumato entro pochi giorni dalla produzione, in modo da assaporare appieno il gusto dolce e l’aroma tipico di latte. Imperdibile l’abbinamento con la Piadina Romagnola Igp, di cui costituisce, insieme con la rucola, “obbligatorio” elemento di saporita farcia. Ottimo anche in abbinamento alle tradizionali tigelle. Quando i cappelletti sono fatti a regola d’arte, secondo la vera tradizione, il loro ripieno, oltre che dal Parmigiano Reggiano Dop è costituito anche dallo Squacquerone di Romagna Dop. Nel nostro tagliere sarà posto in terza posizione di degustazione e la posata idonea è il cucchiaio.
Pecorino delle Balze Volterrane Dop
Passiamo adesso ai tre formaggi accomunati dalla stessa “madre”: la pecora. Partiamo dal Pecorino delle Balze Volterrane Dop nella sua tipologia stagionato. È un formaggio ottenuto dalla lavorazione di latte ovino crudo di pecore di razza Sarda allevate nella zona di produzione e caglio vegetale ricavato dalle inflorescenze di cardo o cardo selvatico. In base al periodo di stagionatura si distinguono quattro tipologie: fresco, semistagionato, stagionato, da asserbo. La zona di produzione interessa il territorio dei comuni di Volterra, Pomarance, Montecatini Val di Cecina, Castelnuovo Val di Cecina e Monteverdi Marittimo, in provincia di Pisa. Diciamo quindi che il “papà” è toscano.
Pecorino delle Balze Volterrane Dop
Le essenze vegetali locali che caratterizzano l’alimentazione degli ovini al pascolo, diretta espressione delle caratteristiche pedoclimatiche del territorio di produzione, contribuiscono in modo determinante a conferire al Pecorino delle Balze Volterrane Dop la particolare dolcezza e le note aromatiche che lo contraddistinguono. Il latte, proveniente da pecore allevate allo stato semibrado e alimentate per almeno i 2/3 al pascolo, deve essere lavorato entro 48 ore dalla prima mungitura senza essere sottoposto a termizzazione. La stagionatura tra i 6 e i 12 mesi mette capo alla tipologia stagionato. Ha forma cilindrica a facce piane. Nel profumo persistente si percepiscono il cardo selvatico e sentori di erbe aromatiche e fiori.
Il Pecorino delle Balze Volterrane Dop evidenzia già nel nome lo stretto legame con il territorio di origine. Le “balze”, grandi voragini scavate dalle acque meteoriche, insieme ai calanchi disegnano una morfologia inconfondibile che ha contribuito anche alla selezione di una flora specifica, in cui ha trovato ampia diffusione il cardo selvatico, ingrediente base del caglio che caratterizza il metodo di produzione del formaggio. Le condizioni ambientali si sono rivelate ideali per l’allevamento ovino e la produzione di latte, attività radicate da secoli che hanno assunto un ruolo di rilievo nel tessuto produttivo. Testimonianze scritte che attestano la notorietà e l’apprezzamento per il pecorino locale sono databili già dal XV secolo e trovano costante conferma nei periodi successivi. Nel nostro tagliere ha la prima posizione di degustazione, porzionato a listarelle.
Pecorino Toscano Dop
Praticamente fratelli, stessa madre e stesso padre, il Pecorino delle Balze Volterrane Dop, che poniamo in questo tagliere nella sua tipologia stagionato, e il Pecorino Toscano Dop che qui proponiamo nella sua versione “tenero”. È un formaggio a pasta tenera o semidura, prodotto con latte ovino intero. Si distingue nelle due tipologie tenero (maturazione minima di 20 giorni) e stagionato (con maturazione di almeno quattro mesi). Ha un periodo di maturazione minimo di 20 giorni (ma normalmente è prolungato fino a 45-60 giorni). Si riconosce per la forma cilindrica e per il marchio Dop eseguito a inchiostro sullo scalzo. Ha una crosta sottile di colore giallo, uniforme, liscia e morbida. La pasta di colore bianco/giallo chiaro, presenta qualche occhiatura irregolare e ben distribuita. L’odore è delicato, di burro e fieno. Il sapore è dolce e pulito, mai sapido né piccante, particolarità che si deve sia al metodo di lavorazione con caglio di vitello o caglio vegetale sia alla durata della salatura, molto più breve rispetto agli altri pecorini. Al tatto la pasta è morbida; alla masticazione è poco elastica, un po’ consistente, senza essere dura.
Pecorino Toscano Dop
La zona di produzione del Pecorino Toscano Dop comprende l'intero territorio della Toscana e alcuni comuni limitrofi della provincia di Viterbo e dell’Umbria. Il latte utilizzato deve essere coagulato ad una temperatura compresa tra i 33 e i 38°C con aggiunta di caglio di vitello o vegetale, in modo tale da ottenere la coagulazione entro 20-25 minuti. Il Pecorino Toscano Dop ha forma cilindrica a facce piane con scalzo leggermente convesso.
Si ritiene che l’allevamento di ovini in Toscana risalga al periodo degli Etruschi, ma i primi cenni storici sul Pecorino Toscano si hanno all’epoca dei Romani. Conosciuto nel XV secolo con il nome di “cacio marzolino”, a causa della produzione che iniziava a marzo e continuava per tutta la primavera, già a metà del XIX secolo questo formaggio veniva realizzato secondo specifiche modalità produttive. Nel nostro tagliere ha la seconda posizione, viene subito dopo il “fratello” Pecorino delle Balze Volterrane Dop stagionato, pur essendo un tenero. Viene porzionato a listarelle.
Vastedda della Valle del Belìce Dop
Ancora madre pecora ma padre siciliano per il quarto formaggio di questo tagliere: Vastedda della Valle del Belìce Dop. È un formaggio a pasta filata ottenuto da latte ovino intero, crudo, di pecore di razza Valle del Belìce, alimentate al pascolo o con foraggi freschi, fieno, paglia o altro materiale vegetale fresco. La zona di produzione interessa 18 comuni delle province di Agrigento, Trapani e Palermo. È uno dei rari formaggi ovini a pasta filata del mondo, poco diffusi in quanto la filatura del latte di pecora è particolarmente difficile e richiede manualità, delicatezza e cura meticolosa. Il nome Vastedda deriva dal piatto in ceramica dove la forma viene lasciata a riposare dopo la filatura. Il latte, di una o due mungiture, deve essere lavorato entro e non oltre le 48 ore. La Vastedda della Valle del Belìce Dop è un formaggio dalla tipica forma di focaccia, con diametro di 15-17 cm e peso di 500-700 g. È priva di crosta, la superficie è bianco avorio e liscia mentre la pasta è bianca, liscia e non granulosa, priva di occhiatura. Il sapore è quello tipico dei formaggi di pecora freschi, un po’ aciduli ma non piccanti.
Vastedda della Valle del Belìce Dop
La Valle del Belìce ha una lunghissima tradizione nella pratica dell’allevamento ovino, soprattutto finalizzato alla produzione di formaggi, fra cui si distingue la Vastedda. Questa veniva prodotta solitamente nei mesi compresi tra giugno e settembre e si ritrovava spesso nelle feste della tradizione contadina, come ad esempio la mietitura, la vendemmia, ecc. La tradizione casearia, nelle metodologie e nelle tempistiche, è rimasta pressoché invariata: le pecore sono ancora allevate al pascolo e riparate in ovili che garantiscono il totale benessere degli animali e di conseguenza la migliore qualità del latte. Allo stesso modo, la Vastedda della Valle del Belìce Dop è ancora oggi un formaggio artigianale, lavorato da maestri casari con estrema abilità e professionalità tramite l’uso di tecniche tradizionali e di attrezzature in legno e giunco.
La Vastedda della Valle del Belìce Dop va consumata fresca e non si presta alla stagionatura. Considerata anche come una mozzarella ovina, viene utilizzata non solo nel nostro tagliere, ma anche come topping di pizze. Nel nostro tagliere va proposta come ultimo formaggio in degustazione, porzionata in triangoli non troppo piccoli.
E adesso che il tagliere è composto, vogliamo porci l’happy problem dell’abbinamento? Quale vino? Nonostante la prevalenza dei due Pecorini toscani e la presenza dello Squacquerone romagnolo, è qui proposto un grande bianco siciliano, il Grillo. Lo si è prescelto consapevoli di quello che può rivelarsi un azzardo, in quanto con le sue note fresche e fruttate diviene gradevole ma non dominante nei confronti dello Squacquerone, ancillare ma non debole nei confronti dei due Pecorini toscani e trova poi l’elezione massima con la sua conterranea insulare, la Vastedda della Valle del Belìce.