Alla scoperta dei dolci tradizionali eoliani: un viaggio tra storia e gusto
Le Eolie nascondono un tesoro culinario: i suoi dolci tradizionali. Dalla Nacatola, simbolo dell'isola, ai biscotti più semplici, ogni creazione è un viaggio nel gusto e nella cultura locale
È una dolcezza che sa di mare, della sua brezza e di aromi fruttati e floreali isolani, di vigne, di strumenti per la cucina e dispensa rudimentali e di ricette che sono state importate dai monaci durante le loro trasferte religiose e da volontari. Imboccando i meandri delle trazzere e di itinerari di fascino inenarrabile dell’Arcipelago eoliano, arriviamo a raccontarvi il paradiso circondato dalle acque suddiviso per “Sette Sorelle di terraferma” ma con la natura più selvaggia che c’è e, allo stesso tempo, con sprazzi di impetuosità che derivano da due vulcani, tutt’oggi in attività, delle Isole Vulcano e Stromboli. Tutti questi influssi di focosità, permeata dall’aria che si respira tra gli alberi di limoni e corbezzoli e dal suolo sulfureo che si calpesta, vengono declinati nella scoperta di pietanze dai tratti somatici rimarcati come quella dei Mori Siciliani e che scandagliano sette (con due ormai internazionali) dessert tipici di Lipari (la più estesa delle Eolie) e delle “dirimpettaie”.
Dolci eoliani, i sette gioielli
La squadra di sette gioielli eoliani che sembrano delle pallanuotiste prorompenti con la loro tenacia e carisma, mantenuti in secoli di sussulti di dominatori (Ellenici, Fenici e Romani), hanno catturato molte ricchezze cibarie che sgambettano dal Nettare degli Dei alla frutta secca fino all’intensità degli agrumi. Il bouquet di queste briglie va a coprire “i Nacatuli Eoliani” (in dialetto siciliano, anzi messinese) o “Nacatole” in italiano che potrebbero ricordare delle piccole bomboniere o dei centrini a guisa di bonbon per il formidabile intarsio, i “Pasticciotti” che hanno una farcitura di confettura di zucca, i “Spicchitedda” che sono dolcini biscottati e mandorlati; i “Liparoti” sono simili ai biscotti “piparelli messinesi”, le “Cassatiedde” che rievocano sia le Nacatole per il genere di pasta sia i Liparoti per il contenuto ma con la differenza del vin cotto (in sostituzione della marmellata) e i “Gigi”, che sono fritti e caratteristici del Carnevale Eoliano, presentano analogie con gli Struffoli siciliani e la Pignoccata palermitana perché forma e maggior parte degli ingredienti si sovrappongono per raggiungere la croccantezza della pasta fritta. Le prime cinque tipologie sono da associarsi indissolubilmente al Natale perché hanno una incidenza campagnola in periodi pre-Seconda Guerra mondiale o post bellico, con gravi carenze economiche per le famiglie che a stento potevano riservarsi un tozzo di pane in dieci a tavola. Ci conserviamo per ultima la tipologia destinata al bianco delle nozze, i “Dolcetti della Sposa”.
Dolci eoliani, le Natacole
Le “Natacole” sono di tradizione araba e sono di pasta frolla intarsiata, con un impasto sfumato con la Malvasia delle Lipari o vino bianco e con mandorle, zucchero, cannella e mandarino. Vengono realizzate con lamine di farina, uova e strutto e compaiono nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Pat) italiani. Hanno una diffusione pressoché ubiquitaria in Sicilia nei novi capoluoghi di provincia (tranne forse a Palermo) ma, per quel che riguarda la volontà di ricreare l’impasto, la manualità artistica è tipica delle Eolie e non è riproducibile assolutamente da tutti. In realtà, si trovano anche in Calabria come origine nelle festività natalizie, nella zona della Locride e per la precisione a Reggio Calabria, solo che vengono fritte e rese croccanti (con versione anche al forno) e nell’amalgama, oltre a farina 00, uova, zucchero e lievito di birra, si mettono 4 tazzine di olio d'oliva e 4 tazzine di liquore all’anice o essenze naturali come l’anice e la mandorla e olii ricavati dalla buccia di bergamotto e limone.
Dolci eoliani, le Natacole di Angela Orto
Ad argomentare con noi questa storicità concatenata spesso all’emozionalità e alla tenerezza, è una pasticcera dalle mirabili doti artistiche, Angela Orto, che ha lasciato la sua attività prima alla figlia Gisella Rando e poi alla nipote Anna Orto: quest’ultima pastry chef è in piena attività mentre Gisella ha assorbito il talento della madre e insieme ci mostrano alcune opere di famiglia. La tradizione e la bravura della famiglia Orto continuano in un unico filo e si stagliano in Contrada Pirrera a Lipari, dove novanta anni fa, le Nacatole sono state portate dal “prete canonico” Paino (così veniva chiamato) che era solito andare in missione in Africa e altri Paesi stranieri. Il prelato svelò la ricetta araba alla sua perpetua Zi’ Maria che la insegnò pure alla nipote Peppina. Così, due generazioni in sintonia si misero, da quell’istante, a preparare questi dolci. A quei tempi, i fedeli attendevano la Novena di Natale e tutti coloro che si recavano a lavoro assistevano a queste funzioni celebrative. C'era un secondo prete che veniva appositamente reclutato per la Novena ed era incuriosito da un rumore battente, passando dalla casa della pasticcera emergente. Peppina utilizzava il mortaio per confezionare le sue prelibatezze perché, a quell’epoca, attrezzature più maneggevoli e silenziose non esistevano.
La signora Angela che ci riassume questi aneddoti andava a guardare e ha imparato il mestiere. Ha conquistato anche un riconoscimento. Adesso, queste Nacatole si fanno in tutte le stagioni: «Prima solo per Natale, in quanto i costi della preparazione erano troppo onerosi e si potevano affrontare in occasione solo di una grande festa - come chiarisce Angela -. La procedura prevede che le mandorle si facciano bollire, asciugare e macinare, prima da sole e poi con lo zucchero». Ma attenzione al tocco da maestri: «Una volta, tutto l’insieme si impastava con l'Acqua di Rose che si comprava in farmacia, adesso si adoperano il succo di mandarino, scorza di limone e arancia, tanta cannella e l'essenza di vaniglia in vasetto. Si forgia una pallina per essere più pratici, comunque una forma rotonda. Le forme create vengono lavorate con u’ “Pizzicaruolu” o “Pizzico”, come una pinzetta con i dentini. C'è il negozio Berzi a Lipari centro che vende questi articoli, a volte i ferramenta tentano di emulare la forma ma non sempre riescono con il verso giusto».
L'impasto deve risultare né duro né molle. Gli intarsi si eseguono facendo dei taglietti che poi si ricamano, disegnando foglioline e rametti e successivamente si applicano dei fiorellini realizzati a parte. La tecnica è “dare come dei pizzicotti all'impasto” o dare "pizzicarre". Si usano anche una lametta, una forbicina e “u’ Tuornu” o “Taglia pasta”. I turisti sono fortemente attratti da queste Nacatole perché hanno un aspetto molto coreografico e li acquistano come souvenir. I ricami sono parte integrante dell'impasto che si ricava da zucchero, strutto, farina, uova, vino bianco e acqua (in un chilo di farina ci vanno 100 grammi di zucchero, 250 grammi di strutto e 4 tuorli, un bicchiere per l'acqua con metà vino e metà acqua) e si lavora con l'impastatrice meccanica.
Dolci eoliani, i Pasticciotti
I “Pasticciotti” sono un'altra squisitezza dove predominano la confettura di zucca gialla e tanta cannella. La confettura deve cuocere per circa un'ora per fornire il tempo alla zucca ben tagliata a pezzetti di addensare, poi si aggiunge la cannella. La pasta viene fatta con farina (1 chilo), strutto (350 grammi), zucchero (300 grammi), uova 6 (tre tuorli e tre interi) e vaniglia. La forma è a mezza luna o ventaglietto. Prima, si utilizzava il bicchiere per ottenerla.
Dolci eoliani, i Spicchitedda
I “Spicchitedda” sono i più antichi ed elaborati con il vino cotto, sempre in condizioni di povertà. Dalla spiccata fragranza di vino cotto e con fresche note agrumate, speziate e dolciastre, rappresentavano per i bambini un premio per un gesto di disciplina o per qualche abilità sciorinata con gli adulti. “Mio padre raccontava che portava il bambinello Gesù casa per casa - ci delizia Angela - e le signore massaie, in cambio, gli regalavano uno Spicchiteddu, appena sfornato, che lui indossava sulla spalla, come una mostrina da Generale. I Spicchitedda si lavorano con un taglierino, sopra si passa l'uovo mescolato con le mandorle”. L'impasto è molto aromatico (scorza di agrumi ma anche cannella, cardamomo, chiodi di garofano macinati insieme alla farina, poco strutto, zucchero e vino cotto). Non appena pronto, si preparano i cordoncini che vengono arrotolati e arrotondati.
Dolci eoliani, Liparoti, Piparelli e Sesamini
I “Liparoti” si ottengono da un trito di mandorle e nocciole tostate, entrambe si macinano insieme all'uva passa e infine si mixano alla marmellata di fichi (quando non si trova si usa quella di albicocche), fatta in casa per il ripieno. Si versa poi la Granella di Nocciole nell'involucro esterno. L'impasto è costituito sempre da farina, margarina, zucchero e uova (2 intere e 2 tuorli) e cuoce a 200° C in forno. Non possiamo trascurare i Piparelli e i Sesamini che sono i biscotti secchi da inzuppare per l’accompagnamento più azzeccato con la Doc delle Eolie ossia il vino liquoroso Malvasia che va distribuito appena fresco nel bicchiere da passito o nel calice da vino bianco leggero.
Dolci eoliani, i Cassatieddi
I “Cassatiedda” sono addensati con il vin cotto e contengono nella farcia una combo di mandorle, nocciole e uva passa. La frolla compone sempre l’impasto che viene cesellato come le Nacatole. Per la ricetta del vino cotto, si bolle il vino con lo zucchero nella “Quaddara” (in genere da uve a bacca bianca o mista) con la cenere dei rametti della vite: la tradizione recita che la quantità giusta sia quattro - cinque mani di rametti stagionati della vite che, una volta raccolti e bruciati, sprigionano un profumo meraviglioso. Si fa riposare un giorno - due giorni per farlo diventare denso, poi si filtra in un’altra “quaddara”, mediante una tovaglia di cotone per eliminare il sedimento del mosto e la cenere e si fa cuocere di nuovo per renderlo cremoso, fino a ridurlo ancora a metà del contenuto e si inserisce nelle bottiglie. Il test della densità perfetta è la goccia che non cade dal cucchiaio, dopo averlo immerso nella miscela. Ancora, nelle zone di Piano Conte e Quattropani, i punti più panoramici di Lipari, ci sono degli agricoltori che amano produrre il vin cotto alla stessa stregua dei propri avi.
Dolci eoliani, i Gigi
Tornando ai “Gigi”, si preparano con 1 chilo di farina 00, mezzo bicchiere di olio extravergine d'oliva, sale, vino bianco, mezzo litro di vino cotto di Malvasia e cannella. Ricevono una glassatura di vino cotto, al posto del miele che si impiega negli Struffoli e Pignoccata, entrambi palermitani e si servono con una spolverata di zucchero a velo: non ci sono né la frutta candita e confetti colorati degli Struffoli né le codette colorate della Pignoccata. Inoltre, gli Struffoli vengono offerti in ampi vassoi mentre la Pignoccata viene impilata, stile pigna, in recipienti monodose.
Dolci eoliani, Dolci della Sposa
I “Dolci della Sposa”, tipici del giorno del matrimonio o anche per festeggiare il battesimo o per svezzare il neonato, sono biscotti da inzuppo, morbidi e semplici da “imbastire” con farina, margarina, uova, latte, zucchero e scorza di limone grattugiata.
Si passano in conclusione nella farina prendendoli col cucchiaio.
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Alberto Lupini