Caffè al bar: ecco i veri punti deboli secondo Moreno Faina di Illy

Moreno Faina, direttore dell'Università del caffè, evidenzia i due principali punti deboli nel caffè al bar: la macinatura e la pulizia delle attrezzature, fondamentali per garantire qualità

20 novembre 2024 | 14:31
di Gianluca Pirovano

Nel 1999 a Napoli è nata l'Università del caffè, trasferitasi poi qualche anno dopo a Trieste, presso la sede di Illy. Si tratta di un polo d'eccellenza creato per diffondere in tutto il mondo la cultura del caffè di qualità attraverso la formazione, la ricerca e l'innovazione. Oggi è presente in 23 Paesi nel mondo con i suoi docenti specializzati e certificati Acs Italia e si rivolge sia ai professionisti del caffè sia agli amanti e ai semplici consumatori curiosi. Offre, infatti, percorsi di alta formazione, ma anche corsi divulgativi, sempre nell'ottica di aumentare la conoscenza del caffè. A dirigerla è Moreno Faina, che abbiamo intervistato.

Cultura del caffè in Italia: il pensiero di Moreno Faina

La prima domanda che sorge spontanea è: come mai c'è bisogno di un'Università del caffè?
È necessario far conoscere al consumatore e al professionista l'importanza e la complessità di una filiera, quella del caffè, che fa si che arrivi ad avere un prodotto finale che deve poi essere trasformato perfettamente nella tazzina e che va saputo conoscere e riconoscere. Per fare tutto questo non è sufficiente la comunicazione, ma è necessario che si possano vivere esperienze, per rendere consapevoli tutti gli attori in causa di quanto questo prodotto sia prezioso e di quanto sia importante saperlo trasformare al meglio.

A livello globale l'Italia è considerata un punto di riferimento, una sorta di culla del caffè, ma l'impressione è che la cultura del caffè in Italia abbia ancora ampi margini di crescita...
Noi godiamo e viviamo l'eredità di aver inventato l'espresso, ma per quanto riguarda il mondo del caffè in generale, sono d'accordo, c'è ancora moltissima strada da fare. Molti nostri connazionali hanno difficoltà ad entrare negli aspetti sensoriali del caffè, nel riconoscere e apprezzare le diverse tipologie. C'è tanta strada da fare per far si che vi siano curiosità, voglia di non dare nulla per scontato. Non dobbiamo fare le cose solo perché la tradizione ci dice di farle così. Serve entrare a pieno in un mondo che si sta aprendo e sta mostrando quanto sia importante conoscere tutte le fasi che portano alla nascita del prodotto e quanto queste comportino differenze nel risultato finale.

Insomma, il caffè non è ancora come il vino, forse è più come l'olio...
Il vino ha fatto questo percorso prima del caffè e lo ha fatto molto bene. Per il caffè, così come per l'olio, serve un percorso che porti a una maggiore professionalizzazione. Non serve fidarsi dei guru, che dicono quello che devi sentirti dire, ma educare a sentire. Educare le persone, far loro seguire un percorso per gradi che possa renderle consapevoli. È questa la vera sfida per il caffè.

Cultura del caffè in Italia: l'importanza del ruolo dei baristi

E quanto è importante, in questo senso, il ruolo dei baristi? Capita spesso di leggere che il caffè nei bar italiani non sia quasi mai di grande qualità...
Non è vero che il caffè nei bar italiani fa schifo, ma non è nemmeno vero il contrario. Al netto delle generalizzazioni, è importante che ci si affidi a baristi attenti alla qualità. Baristi precisi, che fanno tutto ciò che deve essere fatto, studiando e facendo corsi di formazione. Per gli altri, invece, serve un percorso di sensibilizzazione, che deve partire dai baristi stessi, ma anche dai proprietari dei locali. A volte, infatti, la difficoltà sta nel fatto che i proprietari non lascino il barista libero di formarsi perché cambia rapidamente e si sceglie di non investire nella formazione. Questo è un grosso limite, perché porta come conseguenza un servizio di qualità non elevata.

L'occhio del consumatore a cosa deve guardare? Quali sono gli errori più frequenti che si commettono nei bar italiani?
Gli elementi deboli della catena sono probabilmente due. Il primo è il grado di macinatura. Il secondo, invece, è il tema legato alla pulizia e alla manutenzione. Il caffè ha componenti oleose che tendono a fissarsi sul percorso che il caffè segue durante la sua preparazione. Se non vengono rimosse in maniera costante, inducono aromaticità negative in grado di inquinare anche gli aromi buoni.

Chiudiamo guardando al futuro. Il caffè di domani sarà ancora l'espresso?
Io credo sia un po' come la Formula 1. Non tutte le macchine possono essere di Formula 1, ma la Formula 1 esiste perché ci sono innovazione e sperimentazione. Nel caffè, l'espresso deve rimanere un punto di riferimento, perché rappresenterà sempre il massimo che si può raggiungere. Allo stesso tempo, esistono altre forme di trasformazione che sono interessanti, coreografiche e conviviali. Non si deve commettere l'errore che alcuni baristi fanno, cioè quello di sottovalutarle o ignorarle per la chisura mentale. Si tratta di prodotti interessanti a livello economico e che danno valore anche allo storytelling, aiutando a fidelizzare il consumatore. In sostanza, sì all'espresso come punto di riferimento, ma anche apertura a tutte le novità.

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