Quando ho iniziato, ventiquattro anni fa, il mercato dell’olio extravergine era suddiviso così: il 90% in mano a due multinazionali, una decina di industrie e una cinquantina di confezionatori di olio. Solo il 10% era rappresentato da artigiani che cercavano di far conoscere il vero olio Evo, prodotto con passione e dedizione nei loro oliveti.

Le grandi industrie olearie spacciano le olive cinesi per olive italiane
A distanza di quasi cinque lustri, poco è cambiato. Su 400.000 olivicoltori italiani, con appezzamenti che variano da 100 a 100.000 piante, solo poche centinaia di “eroi” riescono a emergere e farsi conoscere in Italia e, ancor meno, all’estero.
Il costo della qualità: perché l’olio artigianale non può costare poco
Per essere competitivi e, soprattutto, per produrre oli di eccellenza, un olivicoltore deve affrontare costi elevati. La coltivazione, la raccolta, la molitura e la certificazione hanno un prezzo:
- Un litro di olio, secondo le cultivar della zona, magari biologico e con certificazione Dop o Igp, costa al produttore almeno 12/15 € al litro.
- Una bottiglia da 500 ml non può costare meno di 11/13 €, e se la si trova in gastronomia o in enoteca a 20/25 €, non c’è nulla di scandaloso.
Un vero artigiano dell’olio sa quanto impegno richiede l’intera filiera dell’olio extravergine, per ottenere un prodotto amaro, piccante, profumato e persistente.
L’industria che gioca sporco
Il problema nasce quando le industrie olearie, ingorde e prive di scrupoli, cercano di spacciarsi per produttori eroici, vantando di aver salvato ettari di uliveti o dichiarando che i loro oli provengono dalla Toscana, quando in realtà parlano mandarino da vent’anni.

Solo se il consumatore comprende la differenza tra un olio industriale e un grande olio artigianale, possiamo sperare in un cambiamento
La loro potenza economica è mille volte superiore a quella di qualsiasi produttore artigianale o associazione olivicola nazionale. E il risultato? Ovunque, dalle trasmissioni di cucina alle nazionali sportive, vediamo bottiglie dal vetro scuro, ma con dentro olio di scarsa qualità, spesso proveniente dai peggiori bacini della Comunità Europea. Il consumatore medio non ha gli strumenti per distinguere un vero olio artigianale da un prodotto maleodorante, che ha viaggiato giorni via mare o autostrada. L’educazione alimentare viene sacrificata in nome del profitto.
Un’ingiustizia che si ripete
L’ultimo schiaffo alla qualità mi è arrivato da una prestigiosa ambasciata italiana. Avevo ottenuto il via libera per una lezione con degustazione, portando sei aziende di eccellenza selezionate da Maestrod’olio, la mia accademia. Ma poi... La segreteria dell’ambasciatore ha fatto marcia indietro: le due industrie partner si sarebbero potute indispettire, e l’unica alternativa era pagare una cifra proibitiva. È normale tutto questo?

La sfida: educare il consumatore
Noi produttori e comunicatori non faremo un passo indietro. Ma abbiamo bisogno del supporto di chi consuma olio ogni giorno. Solo se il consumatore comprende la differenza tra un olio industriale e un grande olio artigianale, possiamo sperare in un cambiamento. Dobbiamo chiedere qualità nei ristoranti, nelle gastronomie, nelle enoteche. Solo così l’industria continuerà a vendere la sua "roba", mentre gli oliandoli vedranno finalmente riconosciuti i loro sforzi.