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Bufala Campana
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La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Chi l'avrebbe mai detto: uno dei simboli della città di Partenope non è nato a Napoli, bensì in Lorena grazie a un re polacco in esilio. Per di più grazie a un errore. Oggi è senza dubbio tra i dolci più rappresentativi della Campania, ma come si "comporta" il babà nel resto d'Italia? L'abbiamo chiesto a vari pasticcieri

14 ottobre 2023 | 05:00
La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è
La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Chi l'avrebbe mai detto: uno dei simboli della città di Partenope non è nato a Napoli, bensì in Lorena grazie a un re polacco in esilio. Per di più grazie a un errore. Oggi è senza dubbio tra i dolci più rappresentativi della Campania, ma come si "comporta" il babà nel resto d'Italia? L'abbiamo chiesto a vari pasticcieri

14 ottobre 2023 | 05:00
 

Fa strano a dirlo, a qualcuno potrebbe anche sembrare un reato di lesa maestà. Eppure, storicamente parlando, pare come tutti gli indizi dell’origine del babà non portino a Napoli, tantomeno alla Campania. Portano, in verità, a tal Stanislao Lesczynski, re polacco della prima parte del 1700 esiliato in Lorena per vicissitudini di certo extra gastronomiche.

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Babà, il dolce napoletano nato grazie a un re polacco

E proprio in Lorena pare sia nato il babà, e per di più per puro errore. Leggenda narra infatti come il re rovesciò per sbaglio del rum su un dolce secco tipico della Polonia chiamato kugelopf, il quale bagnandosi e assorbendo il liquore si ritrovò elevato all’ennesima potenza nel gusto. Di fatto si diede vita a un nuovo dolce, e in quanto tale necessitava un nuovo nome. Alcune versioni parlano della passione di Stanislao verso il racconto di Alì Babà e i 40 ladroni, altre invece dicono di come il dolce sia stato battezzato in onore della nonna, termine tradotto in polacco con babcia, e da qui babà. 

Nome a parte, comunque, nel giro di poco tempo il babà in Francia divenne un dolce molto apprezzato, e tante pasticcerie di Parigi iniziarono a servirlo a cittadini e turisti. Una domanda a questo punto sorge spontanea, come ha fatto il babà ad arrivare dalla Capitale francese sino a Napoli, affermandosi definitivamente all'ombra del Vesuvio?

Come è arrivato il babà a Napoli? Grazie ai Borbone

Va detto, a scanso di equivoci, come legittimamente i napoletani possano andare fieri, e gelosi, di uno dei loro prodotti tipici. Anche se nato al di là delle Alpi, infatti, è sul golfo di Partenope che il babà è stato perfezionato, lavorato, evoluto sino alla versione attuale. Quella oggi apprezzata da tantissimi amanti dei dolci. Ciò non sarebbe stato possibile se, nel 1800, i cuochi di corte borbonica non fossero stati inviati in Francia per apprendere le raffinate tecniche della cucina locale, per poter poi tornare a Napoli con un bagaglio cultural-gastronomico più ampio e maggiormente adatto alle esigenze dei re. E allo stesso tempo anche cuochi francesi vennero a Napoli, per cercare di contaminare la grezza e popolare cucina di corte a standard degni dei reali.

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Napoli, la città del babà

Molti cuochi, soprannominati poi monsù (adattamento “napoletano” del termine monsieur) non solo fecero loro le tecniche e preparazioni richieste, ma di ritorno portarono a Napoli i piatti conosciuti a Parigi. Dal surtout che diventò sartù, il gateaux tramutatosi in gattò e il babà che babà rimase nel nome, soggetto poi nel tempo a mutazioni e cambiamenti. Sino a diventare il dolce che oggi conosciamo e che, oltre a Napoli, per motivi commerciali, "migratori" o prettamente di gusto viene ormai replicato in tutta Italia.

Babà: c'è vita oltre Napoli. Oggi è realizzato in tutta Italia 

Il babà oggi è sinonimo di Napoli. Non c’è pasticceria nella città di Partenope che non proponga tra le varie offerte anche questo iconico dolce, apprezzato dai turisti così come dai locali. Napoli, certo, ma non solamente. La provincia ma buona parte della Campania oggi presentano questo dolce, ma nel resto d’Italia si ha traccia del babà? Al Nord, così come ancor più a Sud di Napoli, il babà viene realizzato, venduto, consumato? 

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Babà, oggi presente a Roma come a Milano

Superficialmente verrebbe da rispondere no: come può una ricetta così identitaria di un territorio essere riproposta e apprezzata anche a centinaia e centinaia di chilometri di distanza? Potremmo mai aspettarci il babà a Milano? A ben vedere, però, la risposta è affermativa. Se in Sicilia la sua presenza è più “fisiologica”, date le rotte commerciali che storicamente collegano la Campania alla Trinacria, è grazie soprattutto a un flusso di fuori sede che da Napoli, o più in generale dalla Campania, si sono trasferiti al Nord per motivi di studio o di lavoro che il babà (ma non solamente, certo) ha iniziato ad attecchire anche in quelle zone.

In un ideale viaggio per l’Italia, partendo ovviamente da Napoli, cerchiamo di scoprire le varie sfaccettature nazionali del dolce simbolo della città di Partenope, e di come questo sia soggetto a rivisitazioni e personalizzazioni nella sua patria così come altrove.

Alessandro Marigliano (Pasticceria Siani, Napoli): «Per un napoletano il babà è tutto»

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Il babà di Marigliano

«Per un napoletano il babà è tutto, è la prima cosa che ti fanno fare quando sei alle prime armi, è quasi un rito di passaggio per un pasticciere. È sacro, un simbolo della città, e quando ti presenti come pasticciere napoletano ti chiedono sempre se sai fare il babà. Noi lo facciamo in maniera tradizionale ma pure salata, qualche versione con panna o crema a seconda di come ce lo chiede il cliente ma qui essendo quasi una figura sacra lo gente lo chiede normale. Se provi a fare una rivisitazione magari riscuote successo solo a voce, ma poi alla fine i clienti lo chiedono sempre tradizionale. Da noi vendiamo 7-8 monoporzioni al giorno e due o tre babà grandi ma sono quelli mignon a essere più richiesti. La domenica per chi viene a comprare un vassoio di dolci specialmente il babà è immancabile, ci deve stare sempre». 

Sal De Riso (Pasticceria Sal De Riso, Minori - SA) «Babà, un dolce in evoluzione»

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Il babà di Sal De Riso - foto di G. Panarotto, tratta dal volume Profumo di limone', ed. Italian Gourmet

«Tutte le pasticcerie della Campania propongono il babà come una tipicità, ma oggi è conosciuto in tutto il mondo. Il babà ormai è un dolce internazionale, realizzato ovunque, apprezzatissimo dai tanti turisti che vengono in Costiera, e ciò ci ha spinto anche a prepararne versioni un po’ personalizzate. Ne facciamo per esempio uno al cioccolato con infuso di mandarino e rum, alla mela annurca e glassa di mela, così come al pistacchio, presente proprio nell’impasto e nella glassa. È un dolce apprezzato in tanti modi, non solo nella sua versione classica, e non manca mai nella nostra vetrina. Le versioni più apprezzate sono quella classica con rum, con crema pasticcera e amarene, un must che non morirà mai e che io preferisco. Poi quello al limoncello sempre con crema pasticcera e poi alla mela annurca. Io nella preparazione uso il burro, in alternativa si può usare lo strutto, anziché lo zucchero uso il miele di acacia che lo rende più morbido ed elegante nel gusto. Nell’altra mia pasticceria a Roma, nella patria del maritozzo, il babà rimane comunque molto apprezzato, così come a Milano devo dire, perché è un dolce che gli amanti del liquore mangiano volentieri e perché, diciamocelo, anche al Nord ormai ci sono tanti napoletani».

Aniello Di Caprio (Pasticceria Dolce & Salato, Maddaloni - CE) «Il babà? Anche tropicale»

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Il babà di Di Caprio

«Nella pasticceria classica napoletana il babà riveste un grande ruolo. Abbiamo la versione classica ma facciamo anche un dolce da ristorante che si chiama Napoli Tropicale, un babà sferico bagnato con frutta esotica come passion fruit e mango, bagnato col Malibù, cioè rum al cocco. Discorsi su ingredienti e preparazione e parte, c’è la formazione alla base di un buon babà, così come di ogni altro dolce. Bisogna saperlo fare per poterlo fare per bene, e non è detto che se il babà è un dolce tipico di Napoli lo si possa mangiare bene esclusivamente in città. Ci sono tante piccole cose che rendono un babà unico da una pasticceria all’altra, l’omologazione è qualcosa dalla quale sfuggire, per lasciare spazio all’artigianalità. E questa si raggiunge tramite un’adeguata formazione e conoscenza del mestiere che porta anche a un’evoluzione dello stesso. Negli ultimi tempi ho notato come le versioni mignon, del babà così come di altri dolci, stiano prendendo il sopravvento rispetto alle paste classiche. Di babà mignon ne facciamo 4000 a settimana, ci dà soddisfazione ma ci responsabilizza anche, perché nonostante l’alto numero dobbiamo farli per bene. Poi io uso il lievito madre nell’impasto, che conferisce al dolce finito molta più morbidezza: anche questa è un aspetto fondamentale».

Nicola Fiasconaro (Pasticceria Fiasconaro, Castelbuono - PA)

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Babà, da Napoli a Palermo via mare

«Il babà è un dolce che un pasticcere impara a fare sin da ragazzo, nemmeno ricordo quanti ne ho fatti in passato ma era meraviglioso anche sfidarci con mio padre o con gli altri colleghi. Nonostante la mia pasticceria sia nota per altri generi di dolci, il panettone specialmente, va detto come il babà sia ormai un classico nazionale, ed in Sicilia circola già da tempo considerati i continui rapporti commerciali via mare tra Palermo e Napoli, anche se va detto come il babà non sia propriamente un dolce dalle origini partenopee, ma più legate all’est Europa con passaggio in Francia, da sempre famosa per queste masse montate. È un prodotto che merita un grande rispetto, ognuno poi lo personalizza a proprio piacimento: nel mio caso uso un rum tutto siciliano, prodotto in onore del Gattopardo, per un dolce che noi replichiamo in pochissimi esemplari limitatamente al weekend, con o senza panna, con o senza fragoline, in varie versioni creative perché è giusto poi che si personalizzi il tutto. Anche se in Sicilia ci siamo specializzati in altri dolci, e anche se qui a Castelbuono è il panettone il dolce principale, non posso non dirlo: viva il babà, viva la tradizione del babà».

Moreno Panzini (Pasticceria Panzini, Subiaco - RM) «Babà? Il futuro è il sottovuoto»

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Il babà di Panzini

«Il babà, che comunque rimane una tipicità napoletana, negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale che lo ha reso quasi un dolce nazionale. Noi facciamo l’impasto classico, quello napoletano, però in vasocottura e sottovuoto. Sono lavorazioni un po’ più complesse ma in questo modo la conservazione e la conservabilità ne beneficiano, e la shelf life si allunga di molto. Lo facciamo di base col rum, anche se specialmente dalla Germania ce lo chiedono con il limoncello o al caffè. Poi in occasione di una manifestazione a cui prendo parte, che si chiama Tartufo e Cioccolato, realizzo un babà in vasocottura con il tartufo e le gocce di cioccolato, quindi diciamo è un dolce versatile e personalizzabile. Il babà classico è sicuramente quello che va di più ma anche le altre versioni devo dire sono apprezzate. E in genere sono i turisti a chiederlo di più. Noi nel nostro locale facciamo spesso delle degustazioni, e può capitare di proporre in babà in abbinamento con vino passito, cioccolato, rum, bollicine. Subiaco è una località turistica, e tra i dolci che realizzo tramite la vasocottura il babà è quello che riscuote il maggiore successo»

Monia Achille (Pasticceria Isanti, Corchiano - VT) «Per le feste il babà con nocciole della Tuscia»

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Il babà alla nocciola di Monia Achille

«Bisogna ammettere come il babà ormai piaccia sempre di più anche al di fuori di Napoli o della Campania. Io lo faccio in maniera tradizionale: la lavorazione di per sé è quella classica poi cambia il formato in cui lo realizziamo. Io tendenzialmente lo propongo solo a grandezza mignon e classica, inzuppato nella bagna al rum dove dentro mettiamo anche bacche di cannella e arancia e limone. Una versione personalizzata la realizziamo per lo più per le feste di Natale ed è quella farcita con crema pasticcera alla nocciola, e all’interno dell’impasto usiamo anche la pellicina delle nocciole che dona un aspetto simil integrale al dolce. È un po’ una versione alla viterbese del babà. La scelta di fare quello alla nocciola in un periodo limitato è dovuto al fatto che, magari, realizzato tutto l’anno tenda a stancare. Non è un prodotto che da noi viene richiesto eccessivamente, quindi due varianti sarebbero troppe. Per questo durante gli altri mesi dell’anno facciamo solo il mignon, perché comunque alla fine nel vassoio delle paste due o tre babà i clienti li inseriscono sempre. Lo realizziamo comunque anche salato, farcito con creme salate di ricotta e magari con le alici o nel periodo estivo con verdure di stagione. Lo utilizziamo per lo più nei buffet salati e nell’impasto cambia la tipologia di zucchero: ne usiamo uno che abbia meno potere dolcificante». 

Fabrizio Barbato (Pasticceria L'ile Douce, Milano): «Babà, un ricordo della mia Campania a Milano»

La storia del babà, il dolce napoletano che napoletano non è

Il babà di Barbato

«Io il babà lo faccio per varie ragioni. La prima è legata alle mie origini, sono campano quindi molto legato al babà nella sua accezione più tradizionale. La pasticceria in cui lavoro è molto di ispirazione francese, e in Francia utilizzano questo dolce come base sulla quale mettere dell’altro. Ed è così che anche noi lo consideriamo, una base come se fosse del pan di spagna, sul quale sistemiamo ingredienti stagionali. Fino a poco fa avevamo la versione classica con gli ultimi frutti rossi del Trentino. Una seconda interpretazione che facciamo quasi da sempre, a supporto di un trend molto versatile e in crescita, è il babà in vasocottura. In questo caso si tratta del babà classico monoporzione che viene fatto lievitare e cotto nel vaso, bagnato, chiuso e pastorizzato. Così ha una scadenza che va tra i 5 e i 6 mesi e in questo caso non ha farciture né creme al contrario dell’altra versione. Devo dire come anche a Milano sia un dolce che piace, sia nella variante napoletana sia in quella più elaborata. Il babà comunque è sempre apprezzato, anche perché a Milano ci sono molti napoletani ormai. La versione più in voga? Da noi sicuramente, quando stagione, quella alla vaniglia e lamponi». 

Giacomo Besuschio (Pasticceria Besuschio, Abbiategrasso - MI) «Babà? Ai tempi di mio nonno non si faceva»

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Il babà in vasetto di Besuschio

«Il babà, territorialmente parlando, ovviamente non è un prodotto della nostra cultura anche se comunque anche ad Abbiategrasso c’è una forte influenza napoletana e campana. Lo realizziamo mignon, in versione monoporzione con crema chantilly e panna, e una a portar via in vaso e facile anche da spedire. Per tutti usiamo la stessa bagna con un rum della Martinica, scelto per la profumazione spiccata, piacevole, con una nota dolce molto interessante. La nostra pasta poi regge bene, il babà si mantiene piuttosto umido e non c’è bisogno di bagnarlo, per esempio, prima del servizio al cliente. Essendo comunque una spugna, riesce a mantenersi abbastanza bene anche per un paio di giorni. Pensa che ai tempi di mio nonno era un prodotto che non veniva realizzato, oggi invece richiesta c’è, anche per via di tanta gente che negli anni si è spostata per lavoro venendo al Nord e cercando qualcosa che possa ricordare loro casa. E magari si riesce a stupirli perché ne mangiano uno più buono qua rispetto a giù».

Babà, le ricette di Italia a Tavola

Non potevamo lasciarvi senza alcune ricette pescate direttamente dai nostri archivi con il babà come protagonista:

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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