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Olio extravergine, nel 2021 persi 300 milioni di litri

Urge un 2022 di vera rinascita e ripartenza per il settore olivicolo, Covid permettendo. Anche perché il 2021 per il settore è stato infausto a causa delle gelate primaverili e degli incendi estivi

 
05 gennaio 2022 | 12:53

Olio extravergine, nel 2021 persi 300 milioni di litri

Urge un 2022 di vera rinascita e ripartenza per il settore olivicolo, Covid permettendo. Anche perché il 2021 per il settore è stato infausto a causa delle gelate primaverili e degli incendi estivi

05 gennaio 2022 | 12:53
 

Per il settore olivifico italiano il 2021 è stato infausto. Gelate primaverili e incendi estivi hanno messo in ginocchio i coltivatori. Urgono buone pratiche per ripartire nel 2022 sotto un segno positivo. 

I dati del 2021 sono allarmanti

Sotto il profilo olivicolo il 2021 è stato un anno infausto, soprattutto dal punto di vista quantitativo, a causa delle gelate primaverili e degli incendi estivi. Secondo i dati elaborati dalla Dg Agri, l’Italia ha perso il 27% dell’olio evo, con una produzione che si attesta intorno a 272.000 tonnellate, ovvero meno di 300 milioni di litri. Considerando che nel nostro paese che c'è un consumo pro capite di 12 litri, va da sé che siamo una nazione, che deve importare dagli altri paesi del Mediterraneo centinaia di milioni di litri di olio anonimo e di scarsa qualità.

Il “motore” è sempre il Sud d’Italia

E’ sempre il Sud il motore della produzione olivicola nazionale, con l’80% degli oliveti. La Puglia nel 2021 ha prodotto solo il 27% della produzione nazionale, a causa della Xylella e delle gelate primaverili, seguita a ruota dalla Calabria che ha prodotto il 26%. La Sicilia è la terza regione con il 17% e la Campania il 6%.

 

Al Nord la produzione fa fatica a decollare

Il Nord, che rappresenta il Triveneto, il Friuli, la Liguria e l’Emila Romagna, nonostante l’esigua produzione di quest’anno, conta a livello nazionale, poco meno del 10%. La Toscana, che da decenni sembra la culla dell’olio extravergine italiano, a mala pena riesce a produrre il 4% dell’«oro verde» nazionale. Da questa fotografia un po’ sbiadita, viene fuori che gli oli extravergine artigianali, quelli prodotti da coltivatori sparsi in tutto lo Stivale, che per dodici mesi l’anno si dannano la salute, per curare, potare, raccogliere, frangere e soprattutto pagare tutte le spese da sostenere, sono davvero poche migliaia di olivicoltori.

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La difficoltà, vendere il prodotto a una cifra coerente

Perché in tutto questo conto, manca la voce più difficile e forse più costosa; vendere al consumatore l’olio a una cifra coerente, facendo comprendere la bontà dell’olio prodotto, che ogni anno cambia a secondo delle condizioni climatiche e di frangitura. E allora che fare? Come far comprendere questa abissale differenza che c’è  tra un olio anonimo, che magari parte da un porto africano o del Mediterraneo e arriva in un porto italiano, e da lì imbottigliato in una confezione anonima con un’etichetta che richiama vagamente un oliveto toscano o umbro? Non si può e non si deve acquistare un litro di olio evo che costa meno di 10 euro al litro. Poi, come succede da anni nel vino, per esempio, esistono varie fasce di prezzi, perché esistono diverse metodologie di produzioni. Solo con la consapevolezza di quali sono gli oli di altissima qualità, con un’altissima carica di polifenoli e vitamina E, il fruitore finale, potrà fare una scelta corretta e consapevole, costi quel che costi. Ovviamente le guide, i corsi e i concorsi aiutano molto a capire qual è il trend giusto per scegliere un olio di qualità. Succede a volte però, che per interessi meramente economici, vengano premiate aziende industriali, che non meriterebbero neanche di essere denominati extravergine. Quindi l’unico strumento a disposizione di tutti, oltre al moto di indignazione che dovrebbe salire alto su tutti i mezzi social e internet, esiste la cultura della consapevolezza. Perché solo con la conoscenza, potremo sconfiggere l’ignoranza.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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