Venerdì 1 ottobre si celebra l’International Coffee Day. E cosa saremmo senza il caffè? Probabilmente non ci è dato rispondere perché, forse, non troveremmo un numero sufficiente di volontari pronti a sottoporsi ad astinenza da caffè per un ragionevole periodo di tempo!
Il caffè, un prodotto "adottato" dallo stile italiano
La prima considerazione che, come Italiani, vorremmo si facesse sul caffè è, nel mondo del cibo e delle bevande, la prevalenza del certificato di adozione sul certificato di nascita. Cosa abbiamo noi Italiani a che vedere con il caffè? Non coltiviamo piantagioni di caffè, non produciamo caffè. Però ne consumiamo tanto! E soprattutto ne siamo conoscitori per quanto ne abbiamo reso il consumo una ritualità quotidiana. All’estero il caffè espresso è nel novero dell’anelato Made in Italy. Abbiamo “adottato” il caffè, ma il chicco di caffè non è nato qui.
Dalla prima colazione in poi, una marcia in più per affrontare la giornata
Cosa è il caffè? Avete presente quei calendari dove ogni giorno un foglietto viene strappato via quando il nuovo giorno subentra? Cosa facciamo, strappiamo il foglio proprio a mezzanotte? No, lo strappiamo la mattina al nostro risveglio. Ecco, il primo caffè del mattino è il nostro vero e personale “cambio di data”: il nuovo giorno comincia proprio adesso! Qual è la frase che sovente usiamo quando invitiamo gli amici dell’istante al bar? «Andiamo a prenderci un caffè». Ed è vero: andiamo a prendere un caffè. Sì, ma siamo sicuri che è accaduto “solo” che siamo noi andati a prenderci il caffè? Eh no, attenzione: lo scambio è reciproco. È anche il caffè che ha preso noi. Entrando in noi, nero e bollente, di noi si prende parte dell’anima e parte del corpo e ci euforizza, ci energizza, ci stimola reattività, ci rende socievoli. Attenzione a quanti dicono "a me il caffè mi rende nervoso". Eh, per forza che ti rende nervoso: te ne privi!
Dalla colazione in poi, il caffè è parte intgrante delle nostre giornate
Il paradigma delle 5 M per decretare un caffè di ottima qualità
Siamo leader anche nel cosiddetto equipment, quelle attrezzature, quelle macchine e quegli strumenti mediante i quali a casa come al bar possiamo goderci la tazzina di caffè. Al bar, con gergalità da addetti ai lavori e da coffee lover, il paradigma atto a validare i presupposti a ché un caffè sia un ottimo caffè e pertanto degno di essere bevuto, si esprime con le 5 M. Quali sono queste 5 M? Vediamole una alla volta.
M come Macchina
La M di Macchina: sì, proprio quella macchina che fa bello il retro banco del bar con i suoi bracci sui quali si fa leva. Le migliori macchine da caffè, nel segmento alto, sono italiane. Ma annesso alla macchina vi è strumento di grande importanza.
M come Macinino
Esso costituisce la seconda M: il Macinino. Il caffè va macinato al momento! Si diffidi da quei bar che hanno già pronto il caffè macinato. Qui, il just in time è dirimente! Ma chi macina il caffè? Chi fa cadere i grani macinati nella coppetta del braccio e quindi, in definitiva, chi aziona la Macchina e fa il caffè e lo porge, o direttamente al cliente al banco, oppure al collega che poi lo serve al cliente?
M come Mano
Ed eccoci allora alla terza M: la Mano. Quella mano esperta, precisa, meticolosa e saggia che arreca il valore aggiunto all’approntamento di quella magia denominata caffè. Quella mano, in job description dei veri bar che fanno il vero caffè, ha una label precisa quanto impegnativa e responsabile. Quella mano è la mano del caffettiere. Mai si confonda, soprattutto nei bar di Napoli, il barista “normale” dal caffettiere. Confondereste il pilota dell’aereo con lo steward?
M come Manutenzione
La quarta M è la Manutenzione. Quella quotidiana, a ché macchina e macinino siano sempre puliti ed efficienti alla riapertura dell’indomani mattina (e quindi la manutenzione compete alle persone dell’ultimo turno), quella programmata che compete al fornitore della macchina e quella straordinaria a fronte di imprevisti e di situazioni eccezionali.
M come Miscela
La quinta M è la Miscela. Finalmente il caffè sta uscendo dalla grigia posizione della commodity. Il caffè dovremmo declinarlo al plurale e farlo diventare i caffè. Parlare di conseguenza di “purezza” e di “blend”, un po’ come si fa con i vini. In prima approssimazione le varietà che giungono alla torrefazione e al consumo sono due: arabica e robusta. Ergo, sempre in prima approssimazione, potremmo disporre di almeno tre miscele: quella di sola arabica, quella di sola robusta e quella risultante da un mix delle due precedenti. Ovvio che il numero si incrementa allorquando diamo enfasi alle presenze percentuali. Una miscela 20% arabica e 80% robusta è ben diversa, in tazza, da una miscela a pesi invertiti: 80% arabica e 20% robusta. La tendenza all’uscita dal tunnel della commodity è talmente vistosa che oramai nei bar che prestano grande attenzione al caffè e parimenti nei ristoranti che vogliono offrire servizio adeguato, esiste la carta dei caffè.
Maccina, macinino, mano, manutenzione e miscela: ecco il paradigma dell'ottimo caffè
Un paradigma che funziona anche fra le mura domestiche
Nel consumo domestico del caffè, l’evoluzione che sebbene in formato ridotto investe comunque tutte le 5 M. Si vira dalla vecchia cara moka, che soppiantò la vecchia cara macchinetta napoletana (imperdibile Eduardo in Questi fantasmi), verso la macchina compatta che fa uso di cialde e di capsule: igienica, a basso impatto energetico; insomma, il futuro!
Il rituale del consumo al bar
Il caffè al bar, si diceva: la sua ritualità, il cambio data personalizzato dell’inizio giorno in società, fuori casa. Al solito bar, silente la comanda, il caffettiere sa tutto: sa come lo vogliamo. Corto, lungo. In tazza fredda, in tazza calda. Macchiato latte freddo, macchiato latte caldo, Non in tazza bensì in vetro. Non zuccherato, zuccherato ma me lo zucchero io. Ed altre varianti ancora. Un rito; anzi, il rito. Si comprenderà quindi che un mattino, il caffettiere, dopo che aveva preparato il caffè al cliente abituale, nell’accorgersi che costui mentre si accingeva a sorbirlo leggeva il giornale, lo redarguì dicendogli: «Ma che fate, vi distraete?».