«Facciamo sapere a Parigi che la situazione nel sud della Francia peggiora ogni giorno di più e che noi onesti lavoratori abbiamo deciso di ribellarci. Che Parigi sappia che il governo ha una pesante responsabilità per il calo del consumo di vino e che deve compensarci di conseguenza». Suonano oggi come un monito le parole proferite nell’ottobre 2023 da Frédéric Rouanet, presidente dell'Associazione dei vignerons dell'Aude, durante le proteste dei viticoltori francesi al confine con la Spagna. Allora furono intercettati e sabotati alcuni mezzi che trasportavano vini spagnoli in territorio francese. Risale invece a qualche giorno fa la proposta di detassare i ristoratori che servono vini locali nelle loro attività, sempre nel Sud della Francia. La proposta è stata formalizzata da Jérôme Despey, presidente della Camera dell'Agricoltura dell'Hérault, e da André Deljarry, presidente della Camera di Commercio e dell'Industria dell'Hérault.
Niente tassa di occupazione di suolo pubblico se vendi vino francese: la proposta nel Sud della Francia
Sconti sul vino locale: il Sud della Francia come la Lombardia
Nella lettera inviata ai sindaci di 342 comuni della zona - come riporta il portale francese Vitisphere - i due funzionari invitano gli enti pubblici a effettuare degli sconti sulla tassa di occupazione del suolo pubblico (“droits de terrasse”, tradotto “diritti sulle terrazze”) a quelle attività che promuovono il consumo di vini locali, dai bianchi ai rossi, Aop, Igp e senza indicazione prodotti in Linguadoca. Non è la prima volta che politica e vino si incrociano, nel nome dei rilancio dei consumi locali. E l’Italia non fa eccezione.
Nel 2020, in piena pandemia, Regione Lombardia ha promosso un bando da 3 milioni di euro di incentivi agli operatori Horeca - titolari di ristoranti, wine bar e locali - per rilanciare i vini lombardi. Il sistema, del tutto innovativo in Italia, prevedeva uno sconto del 10% sull’acquisto dei vini prodotti in Lombardia, in cambio dell’allestimento di vetrine e spazi promozionali. All’interno dei locali doveva essere «chiara e privilegiata la somministrazione di vino lombardo». Ora tocca ai cugini d’Oltralpe.
Perché è la crisi del vino colpisce pesantemente la Linguadoca?
Sebbene la crisi interessi tutta la Francia, è il Sud la zona che sembra soffrire maggiormente. Ed è tutto tranne che un caso. La denominazione Pays d’Oc Igp rappresenta il 28% della produzione totale di vino rosé in Francia e ha da poco ospitato l’edizione tematica, sui rosati, del Concours Mondial de Bruxelles. Contrariamente a quanto si possa credere, è leader della categoria dei rosé, a dispetto della più nota Provenza, ferma al 17,9%. I volumi parlano chiaro, con l’indicazione geografica protetta della Linguadoca, cresciuta del 32% in 10 anni e del 342% in 20 anni, sul fronte dei volumi.
Più delicato il tema del valore, con il distacco rispetto alla Provenza che resta marcato (Pays d’Oc stabile attorno ai 90 euro ad ettolitro rispetto ai 286 euro ad ettolitro dello sfuso Cotes de Provence rosé). Considerando la sola tipologia “rosa”, nella principale indicazione geografica francese si producono in media tra gli 1,6 e gli 1,7 milioni di ettolitri, con un potenziale di circa 215 milioni di bottiglie. Lo sviluppo del rosé è stato incentivato dall’uso di varietà di uve principalmente vinificate in rosso, ora convertite alla produzione di rosé.
Perché la crisi del vino attanaglia, in particolare, il sud della Francia?
Una scelta, come spiegano i produttori locali, che ha permesso di stare al passo con l’evoluzione dei modelli di consumo e con il boom delle vendite di rosé in Francia (+400% nel periodo della pandemia, nel segmento retail) e in diversi mercati di esportazione. Il principale punto di forza della denominazione (e, al contempo, il punto debole) è la varietà dell’offerta, oltre alla vastità di uve per tutti i gusti dei consumatori. Seppur Grenache Noir, Cinsault, Syrah, Merlot, Grenache Gris, Pinot Noir, Cabernet-Franc e Cabernet-Sauvignon rappresentino la parte più consistente della produzione dei rosé, i vini varietali sono al centro dell’identità della denominazione.
Il disciplinare, da queste parti, prevede l’utilizzo di 58 uve diverse, tra cui 18 per i vini rosé. Il 92% della produzione del Pays d’Oc Igp è commercializzata come monovitigno, ossia proveniente da un solo vitigno. Che tutta questa varietà confonda i consumatori, invitandoli a scegliere altre bevande o, addirittura, denominazioni? Ai sindaci dei comuni a cui viene chiesto un sacrificio, nel nome del nettare di Bacco, l’ardua sentenza. Almeno finché le casse (pubbliche) non li separino.