Il vino ai tempi della guerra: parla l'importatore russo

Sanzioni raggirate, triangolazioni commerciali, leggi speciali. Così il Cremlino protegge il settore e contrattacca, promuovendo lo sviluppo della viticoltura locale nelle regioni più vocate, come Krasnodar e Daghestan . Nell'intervista esclusiva rilasciata a Winemag si parla anche di un mercato nero dello Champagne

08 gennaio 2024 | 10:15
di Davide Bortone

«This situation in Ukraine». Ivan, nome di fantasia, non usa mai la parola «guerra». Riferendosi al conflitto Russia-Ucraina, parla piuttosto di una «situazione». Come fosse un accadimento qualunque, da dover fronteggiare. Qualcosa di cui prendersi cura. Con misure e contromisure. E in effetti è quello che hanno fatto lui e la sua azienda, colosso russo leader nell’importazione di vini in Russia, da quel 24 febbraio 2022 in cui le milizie di Putin hanno invaso il Donbass. L’intervista, rilasciata vis-à-vis lo scorso novembre a Belgrado durante il "Vinitaly dei Balcani", Wine Vision by Open Balkan, è di quelle pregne di contenuti, che suggeriscono la garanzia dell’anonimato all’interlocutore.

 

Vino, guerra Russia-Ucraina: parla l'importatore russo

Ivan racconta a Winemag come è cambiato il mercato del vino in Russia a quasi due anni dall’inizio della guerra. Spiega come i russi riescano a raggirare le sanzioni, grazie a triangolazioni commerciali e leggi speciali varate dal Cremlino. Parla delle tante aziende, molte delle quali italiane, che non hanno interrotto i loro rapporti con Mosca, ma che continuano a vendere in Russia, chiedendo di evitare la pubblicità sui social ai loro brand: un modo per fare business "sottotraccia", lontano dai radar del giudizio etico e da potenziali gogne mediatiche.

Descrive poi le contromisure in atto in Russia per fronteggiare la mancanza di alcuni prodotti. Su tutte spicca un piano per lo sviluppo della viticoltura nazionale (la stessa azienda di Ivan possiede oltre mille ettari di vigneti), unito a strategie di marketing legate al packaging di vini, spumanti e superalcolici russi.

Prodotti che richiameranno sempre più stili, colori e ambientazioni dei Paesi in cui questi prodotti hanno origine (la “dolce vita” italiana, il glamour francese, il simbolismo irish e scottish del whisky); infine, Ivan rivela l'esistenza di un fiorente "mercato nero" dello Champagne. Parole, quelle dell'importatore russo a Winemag, che dimostrano quanto di ancora “non detto” ci sia su un conflitto tuttora in corso, finito in secondo piano, nelle ultime settimane, per i fatti di Israele e Gaza.

Ivan, qualche parola su di lei e sulla sua azienda

Sono uno dei manager di un’azienda leader nell’importazione di vini, alcolici e spirits in Russia, che lo scorso anno ha trattato una media mensile di oltre 300 mila bottiglie. Lavoriamo con circa 60 clienti nel nostro Paese, tra retailer privati e catene, nei canali off e on trade.

Come sono cambiate le cose in Russia, dall’inizio del conflitto con l’Ucraina?

Completamente. In principio, il settore ha avvertito un enorme aumento delle attività e delle contrattazioni. C’è stata una sorta di corsa agli accaparramenti. Ben presto, i prezzi hanno cominciato a salire, a causa dell’impennata dei costi della logistica e dei trasporti. Ma sono state soprattutto le sanzioni e le misure intraprese da molti Paesi esteri a convincerci che era necessario trovare delle contromisure. Non parlo solo della nostra azienda, ma di tutto il settore in Russia.

Si riferisce alla difficoltà di circolazione dei mezzi con targa russa nei paesi baltici e della comunità europea, ostacolata da alcuni governi?

Esattamente. Le compagnie russe a cui affidavamo solitamente il trasporto non potevano essere più considerate una soluzione praticabile. Ci siamo attrezzati, trovando mezzi con targa europea. Ma non eravamo gli unici, quindi i prezzi sono schizzati alle stelle. Abbiamo assistito a vere e proprie aste, in Russia, per accaparrarsi mezzi che ci consentissero di movimentare le merci aggirando queste disposizioni. Se prima spendevamo 500 euro, dopo la situazione con l’Ucraina siamo arrivati a spenderne anche 5 mila. Ma ora non abbiamo più problemi di questo genere.

Sono cambiate anche le vostre relazioni con i clienti, ovvero con le cantine importate?

Nei primi due mesi, alcuni grandi marchi hanno iniziato a interrompere o addirittura a cancellare qualsiasi rapporto con la Russia, non solo per quanto riguarda i nostri prodotti, ma anche in altri settori, come quello delle automobili, dei vestiti, della moda. Decisioni che hanno avuto effettivamente ripercussioni sulla gente comune, sulla popolazione russa. C’è meno disponibilità di prodotti e abbiamo assistito in generale a un re-assortimento, proveniente da altri Paesi. Per questo i prezzi sono saliti e non credo che questa sia una buona via ai fini della soluzione di questa situazione.

Immagino abbiate dovuto rivedere anche l’assortimento e il catalogo vini e spirits della vostra distribuzione

Sì, alcuni marchi hanno voluto interrompere qualsiasi relazione con noi. Quali? Soprattutto dalla Francia, uno su tutti Moët & Chandon. I marchi italiani, sono ancora tutti con noi. Abbiamo addirittura iniziato, proprio in quel periodo con un brand storico della Valpolicella Classica (Ivan lo menziona nell’intervista, ndr). Credo che la Russia sia un Paese che può sopravvivere a tutto. Di fatto, continuiamo comunque ad avere brand come Moët & Chandon e Roederer grazie a triangolazioni commerciali con altri Paesi, e non solo. Sono più costosi e non più in esclusiva, non ci vengono spediti direttamente. Ma continuiamo ad averli.

Le triangolazioni avvengono soprattutto attraverso Paesi come Armenia e Turchia, ma anche attraverso l’Europa. Sì, in alcuni casi il vino entra in Russia di nascosto, passando dalle frontiere europee. Si tratta di quantità molto ridotte per i vini più costosi. C’è sempre stato un grande mercato per questi vini in Russia e il nostro governo ha appena reso legale non informare i fornitori sul luogo dove le distribuzioni acquistano la merce. Questo vale per tutte le merci, non solo per il vino.Quindi ora compriamo questi marchi ovunque possibile.

Mi sta dicendo che si è creato un “mercato nero” del vino, per far fronte alle sanzioni e alla decisione di alcuni brand di non avere più nulla a che fare con la Russia?

Per marchi come lo Champagne si è creata una sorta di mercato oscuro di negoziazioni tra importatori e venditori. Acquista chi riesce a offrire a questi “intermediari” il prezzo più alto. Ovviamente non c’è più la garanzia dell’esclusività. Ma per lo meno ci si può assicurare alcune quantità da rivendere in Russia.

I rapporti tra la Russia e l’Italia del vino, invece, sono ancora ottimi. Per quali ragioni, secondo il suo punto di vista?

Assolutamente sì, ottimi rapporti, addirittura in fase espansiva. Le connessioni tra i nostri due Paesi sono storicamente forti e la storicità della collaborazione gioca sicuramente un ruolo fondamentale. Il business del vino è una questione di cultura e di relazioni. Non si investe solo denaro, ma anche tempo nel conoscere e nel conoscersi. Si creano dei legami molto solidi tra le persone che spendono così tante energie per far sì che tutto vada per il verso giusto. Per questo nessuno vuole che si interrompa un rapporto che non è più solo commerciale.

Ma c’è anche chi, proprio in virtù di questo binomio, ha deciso di non avere più nulla a che fare con la Russia?

Alcuni produttori davvero strani non vogliono più avere a che fare con noi. Questa gente pensa davvero che, in un certo senso, siamo noi la causa di questa situazione. Abbiamo ricevuto lettere dai toni incredibili. Per esempio, ci hanno scritto cose come: “Smetto di lavorare con voi e spendo tutti i soldi che avrei potuto guadagnare dagli affari in Russia per fare beneficenza in Ucraina”. Tutto questo è incredibile. È come se accusassero noi, ovvero la nostra distribuzione di vini e spirits, di aver lanciato missili all'Ucraina, con il nome della nostra azienda stampato sulle bombe. È la loro opinione, non possiamo farci nulla. Noi non abbiamo problemi con nessuno e continuiamo ad apprezzare tutti.

Come rispondete a queste lettere?

Rispondiamo che siamo molto dispiaciuti e usiamo toni molto educati e gentili, nella speranza che qualcuno decida un giorno di tornare a lavorare con noi. Le porte sono e saranno sempre aperte.

Quanto è importante per voi e per il vostro catalogo continuare a poter contare sulle cantine italiane in Russia?

Come detto, nessuna cantina italiana ha interrotto le sue relazioni con noi ad oggi, sin dall’inizio di questa situazione con l’Ucraina. Anzi: ci supportano e, come detto, abbiamo appena iniziato a lavorare con un grande brand, famoso in tutto il mondo per il suo Amarone della Valpolicella. Lavoriamo con molti altri grandi brand e nessuno ci ha mai contestato nulla. Quello che ci viene piuttosto richiesto, non solo dagli italiani ma da diverse cantine nostre clienti, è di non essere presentati o “spinti” sui nostri canali social. Diverse aziende sono diventate molto caute a riguardo della pubblicizzazione dei loro prodotti in Russia, per esempio su Telegram e altre piattaforme.

Ciò riguarda non solo marchi nuovi, ma anche quelli che sono rimasti sul mercato: non vogliono essere messi al centro dell’attenzione, evitando di far sapere che stanno facendo business con la Russia. Ovviamente questo riguarda in generale i brand, non solo quelli del vino. Per noi significa molto che queste aziende siamo rimaste al nostro fianco. Quindi rispettiamo la loro decisione in merito alla visibilità e alla sponsorizzazione dei prodotti e agiamo di conseguenza.

Avete dovuto fronteggiare, come distribuzione, la chiusura di interi mercati del vino e degli spirits, oppure si tratta di scelte individuali dei vari brand presenti nel vostro catalogo prima dell’inizio della guerra Russia-Ucraina?

Non abbiamo chiuso alcun mercato dall’inizio di questa situazione. Abbiamo dovuto solo riorganizzarci e stiamo tuttora fronteggiando le difficoltà economiche dovute ai tassi di cambio tra l’euro e la nostra moneta. Tutto sta diventando molto più costoso, e di parecchio. Inoltre, dal 1° settembre 2023, abbiamo nuove tasse introdotte dal nostro governo in risposta alle sanzioni. Le conseguenze sul vino sono state un aumento minimo di circa 1,5 euro al litro, indipendentemente dal prezzo della bottiglia importata. Si sale fino al 20%, pari a circa 12,5 euro, per i cosiddetti “Paesi ostili”: li chiamo così perché in Russia, i nostri media e social media, li hanno definiti così, quindi riporto la definizione ufficiale, non la mia opinione. Per questi Paesi, l’aumento delle tasse è stato drastico.

Può farmi qualche esempio?

Il prezzo di un vino spumante generico, economico, senza denominazione, era di 1,05 euro a bottiglia. Si deve aggiungere almeno 1,5 euro al litro e, in generale, prima di arrivare allo scaffale, il vino arriva a costare anche il 70% in più.

Come è cambiato e cambierà lo scaffale del vino in Russia, sia nell’off che nell’on trade?

Gli scaffali cambieranno drammaticamente. L’Italia è il Paese numero uno per importazioni, seguita da Paesi come la Spagna e la Francia. Ora c’è molta più Georgia in Russia rispetto al passato, ma ciononostante nessuno produce così tanto spumante come l’Italia e nessuno produce così tanti vini economici come la Spagna. Cambieranno i consumi, anzi stanno già cambiando. E arriveranno sempre più vini a buon mercato dal Cile, dall'Argentina, dal Sudafrica, magari anche dalla Serbia. Ma nessuno potrà mai prendere il posto degli spumanti italiani o del Cava spagnolo: saranno solo molto più costosi.

In Russia, dalla prossima primavera, aumenteranno peraltro i costi delle certificazioni dei vini esteri di tutti i Paesi, “amici” e “ostili”, il che causerà una ulteriore crescita dei prezzi dei vini importati. Sono certo che i brand regionali e i brand aziendali esteri continueranno a esistere in Russia e ad essere presenti. Per quanto riguarda l’Italia - e non parlo solo di Prosecco, ma anche di zone come Chianti e Valpolicella - potrebbe esserci un calo nelle vendite. Ma i vostri vini resisteranno, grazie alla loro notorietà e fama.

In che modo questi dati stanno influenzando la produzione di vino in Russia? Mi riferisco alla produzione locale, che ha già subito una battuta d’arresto a fronte del crollo dell’Urss, quando il vostro Paese poteva contare su una superficie vitata di oltre un milione di ettari e su 16 milioni di ettolitri di vino. Mi risulta che gli ettari a vigneto, in Russia, siano oggi poco meno di 100 mila, dislocati soprattutto in regioni come Krasnodar, ancora più strategica per la sua posizione non lontana dalla Crimea, e il Daghestan, sul Mar Caspio.

Dice bene: l’altro fenomeno a cui stiamo assistendo in Russia è proprio la crescita della produzione locale. Il trend di crescita qualitativa della produzione di vino in Russia dura ormai da 10 anni, ma il fermento vero e proprio è iniziato 20 anni fa. La nostra stessa azienda è proprietaria di oltre mille ettari. A partire dalla situazione in Ucraina, stiamo assistendo a una grande crescita delle vendite di vino russo. Abbiamo bisogno di vino e anche la Russia può produrne tanto e di tanti tipi.

La qualità non è la stessa rispetto a quella di altri Paesi, ma l’idea è quella di far crescere produzione e consumi, un po’ come sta accadendo in diverse zone del mondo, promuovendo i vini locali e imponendo tasse maggiori su quelli esteri. La mia opinione personale è che è sbagliato, perché il vino è qualcosa che va oltre i confini delle nazioni ed è prima di tutto cultura. I russi, soprattutto a Mosca e San Pietroburgo, hanno al giorno d’oggi una cultura enologica molto elevata. Ci sono giovani che frequentano abitualmente ristoranti con delle ottime carte vini e molte scuole sommelier che promuovono la conoscenza e la cultura del vino.

Sono in atto vere e proprie campagne di marketing focalizzate sulla produzione locale di vino e spirits in Russia?

È risaputo che, in tempi di crisi, a livello internazionale, il brand di una cantina o di una regione e la sua riconoscibilità siano driver fondamentali per le vendite. In Russia lo abbiamo capito molto bene. Per questa ragione, i nostri vini tentano di emulare, non solo nel packaging, ma anche nella stilistica organolettica, i vini delle regioni più note. E nessuno può dirci nulla. È brutto, ma è quello che succederà e sta già succedendo non solo al settore del vino, ma anche degli spirits, che provano a richiamare la stilistica dei whisky irlandesi o dei torbati scozzesi. La forma delle bottiglie, il font della grafica dell’etichetta, i nomi di fantasia in inglese, richiamano spesso alla mente zone e brand noti, pur trattandosi di prodotti Made in Russia.

Il governo ha stabilito che non abbiamo bisogno di informare nessuno in merito a queste strategie. Dobbiamo sopravvivere in qualche modo, almeno fino a che il consumatore russo non riuscirà ad abituarsi al consumo di prodotti locali. Noi, ad esempio, per la nostra produzione, ci limitiamo a fare un certo tipo di etichette che richiamano l’Italia, o la Spagna, oppure a proporre etichette simili a quelle francesi, per creare “connessioni” mentali tra il prodotto locale e quello più noto, comunemente. Si chiama neuromarketing. Non usiamo i nomi delle denominazioni.

È solo una questione grafica e stilistica che richiama vini e zone famose, come per esempio la produzione di un barricato o di un vino leggero, che ricorda una o l’altra zona internazionale rinomata. In fondo, è quello che è successo anche in America, all’inizio dell’industrializzazione del settore del vino. Ovviamente anche la scelta delle varietà da piantare, non solo per il futuro dei nostri 1.400 ettari, ma in generale in Russia, va in questa direzione. Scegliamo varietà francesi, spagnole e italiane, la cui domanda è sempre in crescita nel nostro Paese.

Il governo russo pensa di stanziare 108 miliardi di dollari per la difesa nel 2024: il triplo del 2021 e il 70% in più del 2023. In un’economia di guerra come questa, c’è davvero spazio per lo sviluppo dell’industria vinicola? L’imprenditoria, compresa quella del ramo della ristorazione, come ha reagito alla guerra?

Le vendite di vino saranno in calo, ma non possiamo farci nulla. Del resto, accade anche in Europa, dove si dice che la crisi dei consumi sia dettata dagli aumenti del costo dell’energia, del vetro delle bottiglie eccetera, ma è una bugia. L’Ue ha trovato ben presto alternative per l’approvvigionamento energetico e non si tratta certo di un problema di mancanza di vetro e di bottiglie. La differenza, come ho detto, la faranno i brand. Prendiamo l’esempio del Prosecco e del Cava. Posso dirvi per certo che il prezzo minimo del Prosecco per l'importazione è molto più alto rispetto a quello del Cava base. Ma il Prosecco non affina sui lieviti, non ha bisogno di essere tenuto in cantina per essere prodotto.

La domanda di Prosecco è così alta che c’è ancora mercato, anche a fronte degli aumenti del costo. Arriverà tuttavia il giorno in cui questi diminuiranno, perché il mercato calerà. Un altro tema è che all'inizio della mobilitazione, diversi milioni di persone hanno lasciato la Russia perché non volevano far parte di questa situazione. E naturalmente si tratta di benestanti, che potevano permettersi di cambiare Paese in poco tempo, trasferendosi altrove. Alcuni di loro sono tornati e i risultati sono sotto agli occhi di tutti. Nelle grandi città della Russia si continuano ad aprire nuovi ristoranti e la gente li riempie tutti. Si tratta di attività focalizzate sui premium wines, che tengono alta la domanda di vino di qualità superiore come Borgogna, Supertuscan, Champagne.

Lo Champagne, nonostante le frizioni con la Francia, non smette di affascinare i russi

Tutt'altro. Abbiamo più brand oggi che prima della situazione con l’Ucraina, perché i piccoli produttori vogliono entrare nel nostro grande mercato. Al di là di questo, sempre sul fronte degli spumanti francesi, si assiste a una crescita parallela di brand, regioni e denominazioni di medio livello, che stanno rimpiazzando in termini di prezzo quelle top: è il caso del Crémant con lo Champagne. Per la stessa cifra pagata un tempo, si ottiene oggi qualcosa di qualità leggermente inferiore, ma comunque molto appagante.

Cosa si aspetta per il futuro della sua azienda e della Russia?

Da quel che vedo, si sta investendo molto nella produzione locale, perché è più stabile. Non mi riferisco solo alle bottiglie prodotte col nostro brand, ma anche a quella delle barrique, con legno che proviene sempre più dal Kazakistan, per una migliore “caratterizzazione local”. I vini stanno crescendo, così come aumentano le sovvenzioni del governo per i nuovi vigneti, che porteranno a un aumento degli ettari. Come detto cresce anche la qualità, pur non essendo ancora allo stesso livello dei Paesi europei. Sono abbastanza sicuro che, nei prossimi 20 anni, la qualità del vino russo non sarà inferiore a quella europea e che ci saranno ottimi vini locali per tutti i consumatori che vogliono bere vini russi. Ma la mia opinione personale è che il mondo del vino è molto vario e bisogna sempre confrontarsi.

Vorrei che la Russia fosse aperta ai vini di altri Paesi e spero che l'importazione possa essere sempre più fluida. Più in generale, la situazione con l'Ucraina è davvero, come dire, “stabile” nel senso negativo del termine. Nessuno sa cosa succederà domani e come la situazione possa cambiare all’improvviso. In questo momento tutti dicono che saremo più vicini alla nostra produzione, sia per i vini sia per gli spirits; aumenteremo le quantità su entrambi i fronti, forti dei risultati e dei trend già evidenti nell’ultimo periodo in Russia. Il numero di produttori è davvero molto elevato e sta crescendo in diverse regioni.

La velocità di crescita è molto più alta rispetto a quella di altri Paesi, sia sul fronte della qualità che sul fronte del prezzo. Ma siamo comunque 140 milioni di persone e, quindi, abbiamo bisogno di vino! In termini di consumi, immagino che il vino più economico avrà un costo molto più elevato e la gente avvertirà questa crescita molto di più rispetto a quella del vino premium, perché in Russia non abbiamo fondamentalmente un “prezzo medio”. O, meglio, esiste. Ma la gente beve agli estremi: vino economico oppure vino costoso e super costoso. Non importa quale sarà la situazione dell'Ucraina: questa situazione ci mostra che dobbiamo migliorare la nostra.

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Alberto Lupini


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