È un biglietto da visita pesante come un lingotto quello con cui Sergio Germano fa il suo ingresso all’interno del gruppo “Gli Svitati”: un Barolo 2013 col tappo a vite. Un vino frutto di un progetto sperimentale voluto dal noto produttore delle Langhe, per dimostrare i passi da gigante fatti dalla tecnologia sul fronte dei sistemi di tappatura del vino alternativi al sughero. Un’etichetta che, per il momento, non è destinata al commercio - il disciplinare di produzione del Barolo Docg potrebbe consentirne la vendita - portata però in degustazione questa mattina allo Showroom Pentole Agnelli di Lallio, in provincia di Bergamo, in occasione della seconda uscita pubblica de “Gli Svitati”. Sergio Germano abbraccia così il progetto culturale avviato da Franz Haas Jr, Silvio Jermann, Walter Massa, Graziano Prà, Mario Pojer e Fiorentino Sandri. Insieme all’azienda leader del settore, l’italiana Guala Closures, i 6 produttori si pongono l’obiettivo di scardinare i pregiudizi sul tappo a vite, considerato erroneamente una chiusura per vini di scarso valore.
«Lo stimolo per iniziare a utilizzare questo sistema di tappatura sui miei vini - ha spiegato Sergio Germano, erede della Ettore Germano di Serralunga d'Alba - è arrivato oltre 15 anni fa dal mio importatore della California. Mi disse che era pronto per fare questo passo. Io gli chiesi se pure i suoi clienti lo fossero! La storia gli ha dato ragione. Dal 2011 imbottiglio così i miei 3 vini bianchi Riesling, Chardonnay e Nascetta, a cui poi si sono affiancati Dolcetto, Barbera e Langhe Nebbiolo. Anche la Barbera Superiore vendemmia 2021, in vendita dal prossimo anno, avrà il tappo a vite. Il mio sogno è però quello di poter chiudere il Barolo col tappo a vite. Per questo motivo, dal 2013, metto via 100 bottiglie per cru, a livello sperimentale, per poter giudicare a livello concreto l’evoluzione del vino. Credo infatti nella scientificità assoluta del tappo a vite. Un sistema che consente, con i dovuti accorgimenti tecnici, come per esempio potrebbe essere un travaso in più del vino, di imbottigliare anche un vino importante come il Barolo con il tappo a vite».
Walter Massa, appello ai Consorzi sul tappo a vite
Una tecnologia che consente, peraltro, di ridurre i solfiti. «Quanto alla poesia della stappatura che viene meno in assenza del sughero e della capsula - ha concluso Sergio Germano - credo che si possa riversare tutta questa magia nella gioia di potersi un vino di vecchia annata senza difetti e fastidiosi sentori di tappo». Come è emerso durante il convengo, le difficoltà dello “Stelvin” non sono solo a livello di ristorazione e clientela.
«Dobbiamo arrivare a fare sentire la nostra voce nei Consorzi - ha dichiarato Walter Massa - dal momento che sono gli organismi deputati ad approvare regole già in vigore a livello di Comunità europea sull’utilizzo del tappo a vite per tutti i vini, lasciando ai produttori la discrezionalità della scelta». «I Consorzi di tutela - ha aggiunto Graziano Prà - tendono a “conservare” perché spesso non hanno conoscenza delle dinamiche dei mercati esteri, mantenendo regole ormai superate per scardinare le quali occorre battersi».
Della stessa opinione Franz Haas Jr: «Molti produttori italiani vorrebbero poter essere liberi di scegliere sistemi di tappatura alternativi al sughero, ma non possono farlo perché altrimenti sarebbero costretti a declassare i loro vini». Dal secondo convegno della storia del gruppo “Gli Svitati” sono arrivate conferme anche dalla sommellerie. Secondo i sommelier intervenuti - molti dei quali impiegati in ristoranti stellati, sia in Italia che all’estero, come Oscar Mazzoleni, Edgar Chaccha e Matteo Montone - il tappo a vite è un sistema affidabile sia per i vini giovani che per quelli da lungo affinamento. Più difficile convincere le massaie rispetto agli esperti di vino, insomma. Che la prossima mission degli Svitati sia proprio questa?
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Alberto Lupini
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