Sauvignon Blanc neozelandese: ragioni (e futuro) di un mito

Un vero e proprio fenomeno internazionale, in ascesa da oltre un decennio: tra i pochi vini capaci di crescere negli Stati Uniti anche nel 2023, trascinando l'export della piccola Nuova Zelanda al sesto posto nel mondo . Merito di un profilo identitario e ben riconoscibile, ma anche di punti di forza come sostenibilità e continua ricerca

15 gennaio 2024 | 05:00
di Davide Bortone

Se la Nuova Zelanda è sulla mappa del vino internazionale, è per merito del Sauvignon Blanc. Una varietà che interessa il 64,7% del vigneto, con 27.084 ettari sui 41.860 complessivi. Negli ultimi anni, la produzione vinicola dello stato del Pacifico si è sempre più diversificata, abbracciando anche ottime espressioni di Pinot Nero (5.678 gli ettari) e Chardonnay (3.149), oltre che di Pinot Gris (Pinot Grigio, 2.797) e rosé. Varietà quasi completamente oscurate dalla fama del Sauvignon blanc neozelandese. Uno dei pochi vini internazionali che, anche in un quadro difficile come quello del 2023, è riuscito a crescere negli Stati Uniti - primo Paese di esportazione - con un +2% nei primi 8 mesi dell'anno.

Nuova Zelanda e Sauvignon blanc: binomio inscindibile

Export aumentato globalmente del 23%, trainato proprio dalla varietà di origine francese, per un valore superiore a 1,1 miliardi di euro. Il + 19% in valore, consente ai produttori neozelandesi di assestarsi al sesto posto tra i Paesi esportatori, pur producendo solo il 2% del vino mondiale. Ma quali sono le ragioni del successo di questo mito? Quale futuro per il Sauvignon Blanc neozelandese, soprattutto al cospetto dei cambiamenti climatici? «La domanda di vino neozelandese, in particolare di Sauvignon Blanc - spiega a Winemag la Communications Manager dell’associazione New Zealand Winegrowers, Chrissy Powlesland - riflette una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori di tutto il mondo, che ne apprezzano l'impareggiabile sapore distintivo, l'impegno per la qualità e sanno che si tratta di un prodotto unico di cui possono fidarsi. L'attenzione alla sostenibilità è sempre stata parte integrante dell'industria vinicola neozelandese e questo significa che i consumatori possono fidarsi del fatto che la loro bottiglia di vino neozelandese è stata prodotta nel rispetto della natura e della gente».

«Il nostro Sustainable Winegrowing NZ (Swnz) - continua Chrissy Powlesland - è ampiamente riconosciuto come un programma di sostenibilità leader a livello mondiale ed è stato uno dei primi ad essere istituito nell'industria vinicola internazionale nel 1995. Oggi, il 96% della superficie viticola neozelandese è certificata Swnz, mentre il 10% opera anche nell'ambito di programmi biologici certificati riconosciuti».

Vini della Nuova Zelanda: la sostenibilità traina l'export

La sostenibilità della quasi totalità della produzione, dunque, è tra le chiavi del successo del Sauvignon Blanc neozelandese. Secondo le ultime statistiche, il 55% delle aziende vinicole utilizza bottiglie di vetro leggere e il 49% ricicla l'acqua utilizzata nei processi di vinificazione. Inoltre, la gestione dei parassiti e delle malattie della vite viene effettuata per il 99% senza ricorso a prodotti chimici. L’obiettivo di New Zealand Winegrowers è quello di azzerare la carbon footprint e la produzione di rifiuti entro il 2050. Il tutto mentre non mancano le sfide dal punto di vista climatico, che potrebbero tra l’altro compromettere la riconoscibilità del Sauvignon Blanc neozelandese. Un aspetto che minerebbe la crescita esponenziale dell’export di questa varietà che si conferma, dati alla mano, il vero simbolo della viticoltura e dell’enologia nazionale. Nel 2014 la Nuova Zelanda esportava infatti "solo" 160.58 milioni di litri, passati negli anni successivi a 177.776, 181.944, 217.89, 220.065, 231.194, 249.445, 242.876 e 228.479, sino alla cifra record di 279.171 milioni di litri del 2023.

«I cambiamenti climatici - riferiscono Clive Jones e Fabian Yukich, presidente e vicepresidente della Nzw - potrebbero compromettere le caratteristiche e i sapori distintivi dei nostri vini, che sono alla base del nostro successo sul mercato. Per affrontare questa sfida, l'Istituto di Ricerca Bragato, nostra filiale di ricerca interamente controllata che ha sede a Blenheim e Canterbury, ha avviato programmi di ricerca per sviluppare nuovi materiali d’impianto in grado di affrontare le sfide di un mondo modificato dal clima.

La minaccia dei cambiamenti climatici

Il Bri sta anche esplorando nuovi sistemi di coltivazione dei vigneti per aumentare la produttività e fare un uso più efficiente delle risorse. Nel corso del prossimo anno, il nostro team Ambiente consegnerà ai soci una tabella di marcia per il cambiamento climatico, che illustrerà come il settore vitivinicolo potrà decarbonizzarsi in futuro». Tra gli studi in corso all'Istituto di Ricerca Bragato c’è il "Sauvignon Blanc Grapevine Improvement Programme", progetto con cui la Nuova Zelanda e la sua associazione interprofessionale affrontano il tema della tutela del loro vitigno simbolo dalle minacce e dalle sfide del clima sulla viticoltura. Sei i ricercatori impegnati nel 2023 presso il "Laboratorio di miglioramento della vite" del Bri della Lincoln University di Canterbury, guidati dal ricercatore Darrell Lizamore.

L'obiettivo dell'innovativo progetto settennale del "Sauvignon Blanc 2.0" è quello di «migliorare la sostenibilità, la resilienza e il potenziale di crescita della principale varietà della Nuova Zelanda, analizzandone peculiarità e tratti distintivi e selezionando quelle che presentano miglioramenti nei tratti chiave». Il finanziamento comprende 18,7 milioni di dollari neozelandesi tra il 2022 e il 2028, tra contributi individuali delle aziende vinicole e fondi governativi.

Il Sauvignon Blanc 2.0: tra garanzie e promesse

Un programma che mira a creare «12 mila varianti completamente nuove di Sauvignon Blanc neozelandese», per poi sottoporle a screening e identificare «le piante che presentano caratteristiche utili per l’industria del vino». «Per rendere il nostro settore più resiliente - spiegano ancora Clive Jones e Fabian Yukich - il "Sauvignon Blanc Grapevine Improvement Programme" selezionerà i miglioramenti di tratti come la resa, la resistenza alle infezioni fungine, la tolleranza al gelo e l’efficienza nell'uso dell'acqua, così come quei tratti che mantengono l'iconico profilo del vino Sauvignon Blanc di Marlborough». Il tutto, senza dimenticare il tema dei portainnesti, sempre più centrale nella viticoltura moderna, a fronte dei cambiamenti climatici. Ed è proprio su questo fronte che si concentra un altro studio dell'Istituto di Ricerca Bragato, volto a colmare le lacune di conoscenza specifiche della Nuova Zelanda proprio sul tema rootstock. «I portainnesti - evidenzia la New Zealand Winegrowers - sono una parte essenziale della viticoltura, ma nella nostra industria manca una solida conoscenza su quale sia il migliore da utilizzare in ogni particolare situazione di impianto».

A ottobre, Bri ha dato vita a un vigneto sperimentale con 15 portinnesti diversi disponibili in commercio per un totale di mille piante di vite che genererà «dati oggettivi per contribuire alle scelte future su quali portainnesti utilizzare». La prova mira a identificare i portainnesti con qualità di tolleranza alla siccità e all’efficienza nell'utilizzo dell'acqua. Qualità che aiuteranno l'industria «ad adattarsi ai cambiamenti climatici in continua evoluzione, mantenendo al contempo le caratteristiche della Nuova Zelanda che i consumatori si aspettano». Insomma, il Sauvignon Blanc è una garanzia, ma anche una promessa. Da mantenere.

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