È ufficiale: è nata l’Associazione Piwi Italia, che conta già 250 soci. Il nuovo organismo, il cui atto costitutivo è stato registrato all’Agenzia delle Entrate venerdì 12 gennaio, si propone di rappresentare i produttori italiani che hanno deciso di impiantare vitigni resistenti alle malattie fungine, comunemente chiamati “Piwi” per contrazione del termine tedesco Pilzwiderstandsfähig. Primo presidente dell’Associazione Piwi Italia, dopo la firma dello statuto avvenuta all’Hotel Carlton On the Gran Canal di Venezia, è Marco Stefanini, responsabile dell’Unità di Genetica e Miglioramento Genetico della Vite presso il Centro di Ricerca ed Innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Trento), dove l’associazione avrà sede. Il vicepresidente è Riccardo Velasco, direttore del Centro di Ricerca in Viticoltura ed Enologia (Crea-Ve) di Conegliano (Treviso). La prima assemblea è attesa già in primavera.
Piwi vuol dire ricerca in viticoltura
Le due nomine rappresentano il trait d'union tra due tra i più importanti istituti di ricerca presenti in Italia. I soci fondatori sono i presidenti delle associazioni Piwi regionali oggi esistenti: Daniele Piccinin dell’Azienda Agricola Le Carline di Pramaggiore (VE) per il Veneto, Thomas Niedermayr della tenuta Hof Gandberg di Appiano sulla Strada del Vino per l’Alto Adige, Antonio Gottardi della Cantina La-Vis e Valle di Cembra per il Trentino, Stefano Gri della Cantina Trezero di Valvasone (PN) per il Friuli Venezia Giulia, Alessandro Sala di Nove Lune di Cenate Sopra (BG) per la Lombardia e Pierguido Ceste dell’omonima azienda di Govone (CN) per il Piemonte.
«Gli obiettivi della nuova associazione - spiega il neopresidente di Piwi Italia Marco Stefanini - sono di far conoscere ed ampliare la conoscenza delle varietà resistenti e far pressione, anche a livello politico, affinché altre regioni le autorizzino nel rispetto delle peculiarità regionali. Sicuramente l’impiego di varietà resistenti rende la pratica agronomica più sostenibile dato che le resistenze sono di tipo naturale. Quello che cerchiamo di sviluppare a livello scientifico è una maggiore variabilità».
Piwi Italia, sinergia tra Fondazione Mach e Crea-Ve
Una possibilità in più, non un'alternativa al momento. «Sono iscritte nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite - ricorda Stefanini - circa 600 varietà di Vitis vinifera. Le 36 varietà resistenti attualmente presenti nel Registro Nazionale non possono sostituire 600 genotipi. La nostra attività di ricerca avrà proprio lo scopo di mettere a disposizione dei viticoltori un numero sempre maggiore di varietà resistenti per poter valorizzare al meglio il proprio territorio con quelle più adatte. È un momento storico per la viticoltura italiana e chiunque inizi a piantare varietà resistenti può iscriversi all'associazione Piwi Italia». Cruciale l’importanza della collaborazione tra Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e Centro di Ricerca in Viticoltura ed Enologia (Crea-Ve) di Conegliano.
«Un binomio - evidenzia l'associazione - che rafforza la mission di Piwi Italia. La ricerca per il miglioramento genetico apre nuovi e importanti scenari per la viticoltura italiana, inserendo i geni della resistenza nelle varietà di vite da vino. Si tratta di incroci naturali tra vinifere europee e altre vitis di origini americane e/o asiatiche portatrici dei geni della resistenza e quindi sono piante in grado di difendersi da sole dalle principali malattie della vite. Questo - sempre secondo Piwi Italia - significa maggior eco-compatibilità con l’ambiente circostante, maggior tutela della salute del consumatore, miglioramento della qualità di vita di chi lavora in vigna e di chi abita intorno al vigneto e riduzione delle emissioni di CO2 per un vino sano per chi lo acquista e lo beve».
Fenomeno Piwi: Italia terza in Europa per numero di varietà iscritte
I vini Piwi sono un fenomeno che sta crescendo in tutta Europa in dimensioni e qualità. Con le sue 36 varietà registrate, l’Italia è terza in Europa dopo Svizzera (saldamente sul gradino più alto del podio con 107) e Germania (75), seguite da Francia (20) e Austria (13). Il Bel Paese ha avuto però un percorso diverso dagli altri stati europei, perché l’impiego delle varietà resistenti nei vigneti non è stato autorizzato a livello nazionale. Roma ha delegato le regioni e alcune, come il Veneto, si sono subito adoperate per mettere a dimora i vitigni resistenti.
Sull’esempio del Veneto, l’autorizzazione ai viticoltori di piantare le varietà Piwi è poi arrivata dai governi regionali di Trentino, Alto Adige, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Lazio e Campania. In termini numerici, il Veneto è la regione che la fa da padrona, seguita dal Friuli-Venezia Giulia, ma con la metà delle varietà autorizzate rispetto al Veneto.
Le varietà di vite iscritte nel registro nazionale in Italia sono Bronner, Cabernet Blanc, Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Cabertin, Charvir, Fleurtai, Helios, Johanniter, Julius, Kersus, Merlot Kanthus, Merlot Khorus, Muscaris, Nermantis, Palma. E ancora: Pinot Iskra, Pinot Kors, Pinot Regina, Pinotin, Poloskei Muskotaly, Prior, Regent, Ranchella, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Sevar, Solaris, Soreli, Souvignier Gris, Termantis, Valnosia e Volturnis.
Vini e viti resistenti «per una viticoltura più sostenibile»
«Secondo Assoenologi - sottolinea la neonata associazione Piwi Italia - la viticoltura utilizza il 65% di tutti i fungicidi impiegati in agricoltura, ovvero 68 mila tonnellate/anno, pur rappresentando solamente il 3% della superficie agricola europea. La diffusione massiccia di agenti patogeni, arginati da pesanti interventi chimici per non compromettere i raccolti, cozza oggi sempre di più con la nuova concezione socioeconomica di transizione ecologica, di salubrità e di salvaguardia degli ambienti».
«In questo contesto - continua la neonata associazione - fare viticoltura convenzionale diventa sempre più complicato. Da qui la mission di Piwi Italia: la ricerca di varietà nuove, diverse e resistenti, per garantire un futuro sostenibile e sano alle attività agricole come chiave di volta per il rispetto del vigneto, di coloro che vi operano e del vino che verrà. Bisogna poi considerare che i cambiamenti climatici attualmente in corso porteranno alla necessità di individuare nuove varietà che meglio si adattino alle mutate condizioni».
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Alberto Lupini
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