L’importanza delle Denominazioni di Origine per il vino italiano

Valorizzare l'origine territoriale è un elemento chiave per il successo di un vino. Tuttavia, è fondamentale rispettare le normative vigenti per evitare dispute e garantire la tutela della denominazione

23 novembre 2024 | 11:00
di Enrico Rota

Nel corso della sua relazione sui consumi del vino, presentata lo scorso ottobre in occasione del ventesimo concorso “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet Insieme” a San Pellegrino Terme (Bg), il dottor Francesco Benatti ha individuato uno degli elementi chiave per il successo del vino negli ultimi cinquant’anni: la scelta legislativa di valorizzare l’origine territoriale del vino rispetto alla varietà del vitigno. Secondo Benatti, il legislatore ha stabilito che a distinguere il vino debba essere il territorio di provenienza, non semplicemente la tipologia di uva utilizzata.

Le Denominazioni di origine: Dop e Igp

Questa scelta ha portato alla creazione delle Denominazioni di origine protetta (Dop), come il vino Doc (Denominazione di origine controllata), e delle Indicazioni geografiche protette (Igp), come il vino Igt (indicazione geografica tipica). Pertanto, dalla stessa varietà di uva possono derivare diverse Doc, che riflettono le particolarità di ciascun territorio. Esempi emblematici di questo principio sono i vini Barolo, Barbaresco e Roero, tutti derivati dal vitigno Nebbiolo, ma provenienti da aree diverse delle Langhe in Piemonte. Allo stesso modo, in Toscana, dal vitigno Sangiovese si ottengono vini con denominazioni distinte come il Chianti e il Brunello di Montalcino.

Regole per le Denominazioni di origine

A parer mio, il sistema delle denominazioni funziona bene quando si rispettano le regole, mentre deviazioni da questi standard possono generare complicazioni sia per i viticoltori che per i consumatori. Tra le principali regole, vi è quella di non utilizzare il nome di un vitigno nella denominazione di origine e, viceversa, di non includere il nome di un territorio nel nome di un vitigno. Questo principio è stato applicato nel caso della denominazione di origine Prosecco: per proteggere il nome del vino legato al paese di Prosecco in Friuli, il vitigno ha cambiato nome in Glera, permettendo così di tutelare al meglio la denominazione.

La scelta di non legare il nome di un vitigno a un’area specifica si fonda su una logica chiara: mentre i nomi di paesi o territori sono limitati geograficamente e difficilmente esportabili, un vitigno può essere coltivato in qualunque zona. In questo modo, altri produttori in differenti territori possono utilizzare quel vitigno senza ambiguità o restrizioni legate alla denominazione geografica.

Problemi e controversie nelle Denominazioni

Tuttavia, non sempre vengono rispettate queste linee guida, generando conflitti territoriali e confusione tra i consumatori. Ad esempio, in Piemonte, la denominazione di origine controllata “Erbaluce di Caluso” ha portato al divieto di utilizzo del termine “Erbaluce” per altri territori, limitando chi desidera impiegare questo vitigno senza legarlo a Caluso. Un’altra situazione complessa riguarda il vitigno Montepulciano, che si trova a confronto con la denominazione di origine “Nobile di Montepulciano”, un vino della Toscana che prende il nome dalla città, non dal vitigno.

Il caso del Moscato di Scanzo di Bergamo è un esempio di entrambi i principi infranti: il nome della denominazione coincide con quello del vitigno, e quest’ultimo riporta anche il nome del paese. Questo, secondo il mio punto di vista, ha dato origine a controversie che non riguardano la qualità del vino, ma soddisfano interessi particolari di alcuni, limitando i diritti di altri. 

L’attenzione al territorio come elemento distintivo è cruciale per mantenere la qualità e l’autenticità del vino, ma è essenziale che le regole siano seguite con coerenza per evitare conflitti e difficoltà per viticoltori e consumatori.

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Alberto Lupini


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