Doc Salaparuta: identità vinicola e nuovi orizzonti della Valle del Belice

La Doc Salaparuta, tra le colline della Valle del Belice, celebra la sua unicità con vini di qualità da vitigni autoctoni e internazionali. Il Consorzio promuove sostenibilità, tradizione e nuove prospettive enoturistiche

07 dicembre 2024 | 10:00
di Mariella Morosi

Tra le Doc del continente enoico siciliano, quella di Salaparuta, istituita nel 2006,  è tra le più giovani e comprende l'omonimo territorio comunale, tra le colline che dominano la Valle del Belice. È nella parte più interna della provincia di Trapani, a destra del fiume Belice, zona dalla millenaria vocazione vitivinicola, fin dall’epoca greco-romana. La denominazione conta 900 ettari totali, 9 aziende e 38 produttori di uve. Le attuali 30mila bottiglie prodotte potrebbero crescere sfruttando tutte le potenzialità del territorio. Il resto della più vasta produzione entra nella Doc Sicilia e nella Igt Terre Siciliane.

 

Doc Salaparuta, la Wine Week

A tutelare e a promuovere una produzione d'eccellenza è il Consorzio Volontario di Tutela nato per migliorarne la qualità, l’immagine e il posizionamento sul mercato, con la guida del presidente Pietro Scalia e dei vice Calogero Mazzara e Giuseppe Palazzolo, che ha organizzato la prima edizione di "Salaparuta Wine Week". L'evento ha segnato quasi un nuovo corso per superare le sfide individuali e per comunicare  la vocazione di quest'area, vicina ad altre denominazioni storiche come Alcamo, Monreale, Contessa Entellina, Santa Margherita del Belice, Sambuca di Sicilia e Menfi. Del resto qui, più che altrove, il vino è un simbolo di identità, ogni terra  ha il suo, accomuna e differenzia allo stesso tempo, come hanno dimostrato le degustazioni guidate da Vittorio Ferla alla presenza produttori.

 

La Doc Salaparuta comprende le tipologie di Bianco, Rosso e Riserva (2 anni di affinamento di cui almeno 6 mesi in legno) e varietali con almeno l’85%. Se il Catarratto è la varietà principe insieme al Nero D'Avola, al Grillo e all'Inzolia e ad altri autoctoni, sono ben ambientati anche gli internazionali come Cabernet Sauvignon, Merlot o Syrah che concorrono ad una produzione di qualità. L'area è collinare, fino a 600 metri s.l.m.  con suoli diversi, argillosi ma anche alluvionali ai confini dell'Agrigentino,  con l'apporto dei torrenti Tarucco ed Acque Colate e di sorgenti idriche. Nel corso di "Salaparuta Wine Week" gli approfondimenti e le masterclass hanno fatto emergere la potenzialità della denominazione ma anche la consapevolezza delle aziende del Consorzio di poter competere con i grandi del vino entrando nello straordinario mosaico siciliano.  Passioni e competenze possono evolversi in progetti imprenditoriali di successo, anche senza l'ambizione di diventare case history come avvenuto per altre fortunate denominazioni isolane. 

Doc Salaparuta, quale futuro?

Il punto di forza oggi può essere solo la qualità e ad unire le nove cantine, tutte a struttura familiare ma di diversa dimensione, è proprio il percorso comune che può dare redditività a un territorio dove l’agricoltura è la principale risorsa e dove il vigneto occupa un terzo del comprensorio. Ma è condivisa anche l'esigenza della sostenibilità, con circa la metà delle uve certificate biologiche. La filosofia del green ha cambiato il rapporto con la terra, spesso con più attenzione alla conservazione del vigneto che alla resa finale. Si porta avanti la propria interpretazione di un equilibrio tra tradizione e innovazione, garantendo un’esperienza di qualità nel solco di una rotta comune e realizzando una rete dinamica e contemporanea. Soprattutto ci si interroga sul futuro, in un momento in cui i dubbi superano le certezze perchè cambiamento climatico, calo dei consumi e mutamenti del gusto sono indicatori determinanti. 

E l'approccio al vino delle nuove generazioni dovrà essere diverso per conquistarli, svincolato da troppi tecnicismi. Anche qui il vino, forte dei riconoscimenti portati a casa,  potrebbe diventare un attrattore turistico? La Valle del Belice porta ancora la ferita del terremoto che nel 1968 distrusse Salaparuta, Gibellina, Poggioreale e Montevago, nella sua storia e nella comunità costretta in parte ad emigrare. Dalle tendopoli alle baraccopoli si passò poi alla ricostruzione, tra il 1983 e l'84. Pochi edifici storici sono ancora in piedi, restano le tracce della Fattoria Romana di Cusumano e la facciata del convento francescano del XV secolo, oggi quasi incorporato nella Cantina cooperativa Villa Scaminaci, già Madonna del Piraino. 

Doc Salaparuta, tra arte, storia e cucina

Ma la solidarietà di famosi artisti  lasciò a Gibellina opere di arte ambientale, quasi un museo a cielo aperto, come la Stella di Consagra e il Cretto di Alberto Burri, una crepa, una drammatica spaccatura risultato di una colata di cemento che ha coperto il paese nell'impossibilità di ricostruirlo, lasciando aperto solo il tracciato delle strade. In migliaia vengono a vederla da tutto il mondo. Da qui, come auspicano le aziende del Consorzio, potrebbe partire un progetto enoturistico in sinergia tra pubblico e privato, offrendo esperienze che vanno oltre il calice. Non solo: c'è ancora abbastanza per riscoprire le radici delle popolazioni dei siculi, dei sicani, degli arabi e dei normanni che si sono succeduti nei secoli, c'è la bellezza delle colline, l' innato senso di ospitalità siciliana e la ricchezza della tavola che trasforma la materia in trionfi di sapore, dal semplice pane cunzato,  solo con pomodoro, origano e acciughe, alle Busiate mantecate con aglio, alici e pistacchio. Saporiti i formaggi di pecora - suggestiva la filatura della Vastedda del Belice - e i sontuosi dolci barocchi nati nei conventi dalla fantasie decorative delle monache recluse.

Doc Salaparuta, i vini

Nei convegni non sono mancate riflessioni su criticità e difficoltà logistiche derivanti dalla mancanza di economie di scala soprattutto per le aziende di modeste dimensione. Si punta sul Catarratto, presente in altre Doc ma che a Salaparuta  raggiunge particolare espressione per sapidità e mineralità. È presente da tre secoli soprattutto nel biotipo Bianco Lucido e allevato a controspalliera, con sesti d'impianto e potature tradizionali in relazione alle altitudini e alle particolarità peDoclimatiche. La concentrazione più alta si ha proprio nel Trapanese dove entrava  nella Doc Marsala ancora prima del più intenso Grillo.  I vini sono giallo paglierino, con profumi fruttati e complessi, asciutti, con buona acidità nel medio invecchiamento. 

 

Ma Salaparuta è anche il luogo della rinascita del Nero d'Avola, il vitigno più rappresentativo della Sicilia, erroneamente registrato come Calabrese per la superficiale interpretazione di “calaulisi”, che significa “uva (cala) di Avola”.  Dal borgo siracusano si è diffuso nell’intera Val di Noto, dove entra a pieno titolo nelle denominazioni locali, in tutta la Sicilia e in una parte della Calabria. A Reggio diventa Nerello Calabrese. Finito il tempo della sua missione di rinsanguare i pallidi vini del Nord, la varietà raggiunge punte di eccellenza e freschezza grazie a lavorazioni rispettose.  Rosso ciliegia, profumato e complesso, caldo asciutto e armonico.  La Doc prevede il Nero d’Avola sia in purezza che in versione Riserva e per  il “Salaparuta Rosso”, mentre il “Salaparuta Rosso Riserva”un minimo del 65%. 

Doc Salaparuta, le aziende

  • L'azienda più giovane Baglio delle Sinfonie , fondata nel 2013,  ha 33 ettari di proprietà con vigneti piantati 6 anni fa.Qualità e sostenibilità sono alla base delle etichette di Catarratto, Grillo, Chardonnay, Nero d’Avola e Syrah.  La raccolta è manuale e la vinificazioni in acciaio. Nei casi di più lungo invecchiamento si fa ricorso alle barriques. La linea “Concerti” è pensata appositamente per i connubi enogastronomici. 
  • Più piccola, con 5 ettari,  fondata nel 1976 è l’azienda Bruchicello, che ha ospitato durante la Wine week una degustazione alla cieca di varie etichette del territorio con un interessante dibattito sul futuro del vino e sulle nuove generazioni, con l'auspicio di un maggiore interesse alle professioni enologiche. La cantina produce vini di qualità con coltivazione biologica, selezione delle uve in campo, bassa resa e innovative tecniche di vinificazione in ogni fase, dal vigneto all’imbottigliamento. Tra le etichette più apprezzate il Catarratto Lignu Duci, il Nero d'Avola e il Cabernet Sauvignon. Si organizzano visite in vigna e laboratori formativi ed eventi in canina. 
  • Quattro generazioni di vignaioli hanno contribuito invece a creare la Ippolito Vini ed ognuna con passione nuova e innovazioni. Il nuovo assetto del 2009 conta 10 ettari di Catarratto, Chardonnaym, Syrah, Nero d’Avola e Grillo. Scrupolosa la gestione agronomica con raccolta manuale e con vinificazioni e affinamenti in acciaio e in bottiglia. Tra i bianchi le etichette Grillo e Catarratto, anche in blend con lo Chardonnay e Pinot Grigio e tra i rossi Nero d'avola e Syrah.
  • I fratelli Calogero ed Eliana Mazzara conducono la storica cantina Leonarda Tardi che porta il nome della madre e ha 4 ettari di vigneto. Le uve sono Chardonnay, Catarratto e Nero d’Avola. Raccolta manuale e vinificazioni in acciaio.  Su ogni bottiglia c'è il logo della rete "NO Mafie", come parte attiva del circuito del Consumo Critico. Forte è l'impegno anche nella valorizzazione del territorio e delle sue potenzialità enoturistiche.
  • Giuseppe Palazzolo, di Noah Palazzolo, laureato in viticoltura ed enologia, dal 2019, anno di fondazione dell’azienda, prosegue nei 30 ettari la produzione biologica avviata dal nonno ed è impegnato nella valorizzazione dell’areale culturale Belicino. Le uve sono Catarratto, Grillo, Chardonnay, Perricone, Zibibbo e Nerello Mascalese. La raccolta è manuale e la vinificazioni in acciaio.
  • La Cantina Giacco è invece stata fondata nel 1977 da Nunzio Stillone, proprio sul sito della storica Villa Amalia distrutta dal sisma.  Ha voluto riallacciarsi alla  tradizione vitivinicola locale e, dopo una fase di lavorazione dei prodotti sfusi, nei primi anni ’90 comincia anche l’imbottigliamento di vini di propria produzione. Si estende su 120 ettari e propone vini  con uve Grillo, Catarratto, Chardonnay, Nero d’Avola, Syrah e Merlot. Età media delle viti 15 anni. La raccolta è in parte manuale e in parte meccanica e le lavorazioni sono in acciaio.Tra le etichette, Vigna del Principe,  Villa Amalia, in ricordo dell'antica villa dove oggi sorge la cantina e Neklite, in onore di un guerriero che -dice la leggenda- si fermò qui stregato dalla bellezza del paesaggio.
  • L'azienda Scalia&Oliva, 37 ettari, nasce tra l'associazione tra  Pietro Scalia, già emigrato in America, e  Giuseppe Oliva nel 2010 produce 50 mila bottiglie di vino di alta gamma e può vantare anche la produzione di olio da Nocella del Belice e di pasta da grani antichi siciliani. i vitigno sono Catarratto, Chardonnay, Grillo, Syrah, Nero d’Avola, Perricone, Zibibbo. Raccolta manuale e vinificazioni in acciaio. Alcuni prodotti invecchiano in barriques.
  • Villa Scaminaci già Madonna del Piraino, nasce invece nel 1975 come cantina sociale. Forte di 300 ettari, produce ogni anno 50 mila bottiglie che hanno conquistato sia il mercato italiano che gli Usa. Tipologie di uva: Catarratto, Grillo, Nero d’Avola. Età media delle viti: 18 anni. 
  • Vini Vaccaro nasce negli anni ’70 quando Giacomo Vaccaro e la moglie Caterina acquistano il primo podere a Salaparuta. L’atto di fondazione risale al 2000 e gli ettari vitati sono 90. L’azienda trasforma uve di di Catarratto, Grillo, Merlot, Nero d’Avola. Età media delle viti: 15 anni. Dopo la raccolta manuale e la vinificazione in acciaio, sono previste modalità diverse di affinamento in botti grandi, tonneaux e barriques. I figli Catia e Carmelo condividono l'attività della cantina con i nipoti Luigi e Caterina già parte attiva, con moderna visione imprenditoriale ma nello stesso tempo restano legati alla tradizione. Organizzano visite e percorsi di degustazioni in barricaia come quella per "Salaparuta Wine Week"con le interpretazioni di Nero d'Avola nelle etichette Lisùli, Lichiani,Sofè, Zoe e Giacomo, dal nome del fondatore. Catia dedica infinite cure a una vecchia vigna di pochi filari divenuta - come dice- "parte della famiglia". 

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