La Brexit ostacola ancora il vino Abbona: Serve proroga delle norme
Il presidente dell’Unione italiana vini interviene sulla questione degli scambi con il Regno unito che resta ancora in sospeso e sta complicando non poco l’export delle etichette italiane
11 settembre 2020 | 12:35
«Il nulla di fatto nell’ultimo ciclo di negoziati sulla Brexit è motivo di forte preoccupazione per il futuro del vino italiano in un mercato fondamentale per il nostro export. Con un “no deal” si rischia, nella migliore delle ipotesi, una babele burocratica senza precedenti negli scambi; nella peggiore, diverse regole per l’etichettatura fino all’adozione di possibili dazi. Per questo ci appelliamo all’Unione europea affinché sia disposto un “paracadute normativo” transitorio per mantenere lo status quo negli scambi per un periodo di 12-18 mesi, vista l’impossibilità un adeguamento normativo in tempi così stretti». Lo ha detto, in merito alla chiusura senza risultati dei negoziati tra Ue e Regno Unito sulle future relazioni in regime di Brexit, il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Ernesto Abbona.
Per il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti: «L’incertezza sulle regole da adottare in tempi brevissimi sta generando fortissime preoccupazioni tra le imprese del vino in un mercato che rappresenta il terzo sbocco al mondo per il nostro export e che sta già pagando un prezzo molto alto al Covid-19. Nel primo semestre 2020, secondo i dati Istat rilasciati ieri ed elaborati dal nostro Osservatorio, la contrazione export a valore del vino made in Italy in Gran Bretagna è stata pari a quasi il 10% sullo stesso periodo 2019, con gli sparkling a -19,8%». Nel periodo in calo anche il prezzo medio, per un valore delle esportazioni che Oltremanica ha sfiorato i 310 milioni di euro. Nel 2019 il Regno Unito - secondo Paese importatore al mondo dopo gli Usa - ha acquistato vino dall’estero per quasi 4 miliardi di euro complessivi.
Secondo il Wsta, che rappresenta il mercato del vino in Uk, ad oggi il prodotto enologico proveniente dall'Europa non è soggetto ai test di laboratorio e ai controlli per il certificato export vino (VI-1) previsti per i Paesi terzi - il 55% del vino consumato nel Regno Unito è importato dall'Ue -, ma tutte le regole di certificazione cambieranno, con o senza accordo, dal 1 gennaio 2021, quando tutto il vino importato dall'Europa sarà invece soggetto a questi controlli. Si prevede che l’aumento di burocrazia che ne deriverà genererà più di 600mila documenti cartacei - un incremento triplo per gli ispettori del settore - e costerà al commercio di vino britannico 70 milioni di sterline in più all'anno, con conseguenti rincari sul prezzo del vino e una caduta del potere di scelta dei consumatori.
Secondo l’Osservatorio Uiv, che ha elaborato i dati Istat del primo semestre, anche l’Italia, come la maggior parte dei Paesi produttori di vino, sperimenta a giugno un arretramento delle esportazioni. Da gennaio a giugno il saldo a volume segna infatti -2,1%, a 10 milioni di ettolitri, per un valore sceso del 4,1%, a 2,9 miliardi di euro. Dal 2010, è la prima volta che il valore delle spedizioni registra il segno negativo nel primo semestre, accompagnato per ora da una meno drastica limatura dei listini, scesi in media del 2%. A soffrire è proprio la componente valore, che intacca sia gli spumanti (-8%), sia i vini fermi (-3%), in particolare quelli veicolati sul settore Horeca, che ha patito in questi mesi i lockdown decisi dai vari Paesi.
Se Spagna e soprattutto Francia sommano al Covid-19 le problematiche in America (tariffe) e Cina, l’Italia - meno esposta sulla piazza cinese e per ora graziata dall’applicazione di nuove imposte in Usa - sconta per ora i soli effetti della pandemia sui consumi, che si stanno traducendo nella penalizzazione dei vini destinati alla ristorazione compensata in parte dall’aumento dei prodotti più presenti sul circuito della grande distribuzione, con l’effetto “insicurezza” che spinge il consumatore a ricercare vini e brand già noti, a discapito della voglia di nuovo o di speciale.
Ecco spiegati - secondo l’Osservatorio - gli impatti pesanti per i rossi Dop, in particolare toscani e piemontesi, che segnano cali anche sulla componente volumica (-7%), mentre per ora i bianchi a denominazione compensano sul valore con l’aumento delle forniture a volume (+5%), trainati dalle buone performance del “rassicurante” Pinot grigio in Usa e UK. Discorso analogo per la spumantistica, dove se il Prosecco contiene le perdite a valore a -4% (con cali sia in Usa che in UK), i Dop - quindi metodo classico e affini - vanno sotto addirittura del 40%. In controtendenza positiva i frizzanti (+5% volumico e +2% valore), che si confermano prodotto domestico e da tutti i giorni, indenne quindi dalle vicissitudini del canale Horeca.
La Brexit ostacola il vino italiano
Per il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti: «L’incertezza sulle regole da adottare in tempi brevissimi sta generando fortissime preoccupazioni tra le imprese del vino in un mercato che rappresenta il terzo sbocco al mondo per il nostro export e che sta già pagando un prezzo molto alto al Covid-19. Nel primo semestre 2020, secondo i dati Istat rilasciati ieri ed elaborati dal nostro Osservatorio, la contrazione export a valore del vino made in Italy in Gran Bretagna è stata pari a quasi il 10% sullo stesso periodo 2019, con gli sparkling a -19,8%». Nel periodo in calo anche il prezzo medio, per un valore delle esportazioni che Oltremanica ha sfiorato i 310 milioni di euro. Nel 2019 il Regno Unito - secondo Paese importatore al mondo dopo gli Usa - ha acquistato vino dall’estero per quasi 4 miliardi di euro complessivi.
Secondo il Wsta, che rappresenta il mercato del vino in Uk, ad oggi il prodotto enologico proveniente dall'Europa non è soggetto ai test di laboratorio e ai controlli per il certificato export vino (VI-1) previsti per i Paesi terzi - il 55% del vino consumato nel Regno Unito è importato dall'Ue -, ma tutte le regole di certificazione cambieranno, con o senza accordo, dal 1 gennaio 2021, quando tutto il vino importato dall'Europa sarà invece soggetto a questi controlli. Si prevede che l’aumento di burocrazia che ne deriverà genererà più di 600mila documenti cartacei - un incremento triplo per gli ispettori del settore - e costerà al commercio di vino britannico 70 milioni di sterline in più all'anno, con conseguenti rincari sul prezzo del vino e una caduta del potere di scelta dei consumatori.
Secondo l’Osservatorio Uiv, che ha elaborato i dati Istat del primo semestre, anche l’Italia, come la maggior parte dei Paesi produttori di vino, sperimenta a giugno un arretramento delle esportazioni. Da gennaio a giugno il saldo a volume segna infatti -2,1%, a 10 milioni di ettolitri, per un valore sceso del 4,1%, a 2,9 miliardi di euro. Dal 2010, è la prima volta che il valore delle spedizioni registra il segno negativo nel primo semestre, accompagnato per ora da una meno drastica limatura dei listini, scesi in media del 2%. A soffrire è proprio la componente valore, che intacca sia gli spumanti (-8%), sia i vini fermi (-3%), in particolare quelli veicolati sul settore Horeca, che ha patito in questi mesi i lockdown decisi dai vari Paesi.
Se Spagna e soprattutto Francia sommano al Covid-19 le problematiche in America (tariffe) e Cina, l’Italia - meno esposta sulla piazza cinese e per ora graziata dall’applicazione di nuove imposte in Usa - sconta per ora i soli effetti della pandemia sui consumi, che si stanno traducendo nella penalizzazione dei vini destinati alla ristorazione compensata in parte dall’aumento dei prodotti più presenti sul circuito della grande distribuzione, con l’effetto “insicurezza” che spinge il consumatore a ricercare vini e brand già noti, a discapito della voglia di nuovo o di speciale.
Ecco spiegati - secondo l’Osservatorio - gli impatti pesanti per i rossi Dop, in particolare toscani e piemontesi, che segnano cali anche sulla componente volumica (-7%), mentre per ora i bianchi a denominazione compensano sul valore con l’aumento delle forniture a volume (+5%), trainati dalle buone performance del “rassicurante” Pinot grigio in Usa e UK. Discorso analogo per la spumantistica, dove se il Prosecco contiene le perdite a valore a -4% (con cali sia in Usa che in UK), i Dop - quindi metodo classico e affini - vanno sotto addirittura del 40%. In controtendenza positiva i frizzanti (+5% volumico e +2% valore), che si confermano prodotto domestico e da tutti i giorni, indenne quindi dalle vicissitudini del canale Horeca.
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Alberto Lupini
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