«Faremo produrre i dealcolati in Italia perché tutto il mondo del vino li vuole ed è d'accordo; quindi, noi che rappresentiamo il mondo della produzione ci allineiamo». Le parole di Francesco Lollobrigida, ministro dell'Agricoltura, sovranità alimentare e foreste, segnano una svolta inattesa. Un'apertura, fino a poco fa nemmeno contemplata, che sembra voler riconoscere il peso crescente del mercato internazionale dei vini dealcolati. Il ministro, però, non ha mancato di precisare la sua posizione su un aspetto: «Proverò a convincere tutti che questi prodotti non si possono chiamare vino». Una dichiarazione che, però, non "cozza" con la volontà delle cantine italiane.
La retromarcia (parziale) di Lollobrigida sul vino dealcolato
Ma dietro l'apertura di Lollobrigida c'è molto di più. La sua sembra infatti una retromarcia strategica rispetto alla chiusura netta che aveva caratterizzato le prime dichiarazioni sul tema. Eppure, un'ambiguità di fondo resta: il ministro annuncia il sì alla produzione, ma si dice ancora contrario a riconoscere il nome di “vino” a questi prodotti. Così, i vini dealcolati rischierebbero di trovarsi in un limbo normativo, privi di una definizione chiara che li renda riconoscibili come prodotti italiani, generando potenziale confusione sul mercato.
Il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida
Una mossa, quella di Lollobrigida, ricordiamo, che arriva in un contesto già reso incerto dalla proposta di Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia, che, qualche settimana fa, ha avanzato l'idea di tassare i vini dealcolati nonostante in Italia non sia ancora legale produrli.
Vino dealcolato: la proposta di Giorgetti, che pensa solo alle tasse...
In pratica, il "Decreto accise" prevede una nuova imposta sull'alcol rimosso durante il processo di dealcolazione, una decisione che ha destato non poche polemiche. Secondo questa normativa, le cantine italiane dovrebbero operare in regime di deposito fiscale, trattando l'alcol rimosso come un bene tassabile. Questo significa non solo dover sottostare alle accise, ma dover gestire le operazioni con le stesse misure di sicurezza e tracciabilità richieste per una distilleria. E a suo tempo, Paolo Castelletti, segretario generale dell'Unione italiana vini (Uiv), non esitò a definire il decreto "una beffa": «Il ministero dell'Economia - disse - sta creando barriere che scoraggiano ogni investimento in questo nuovo business». Un'affermazione tutt'altro che infondata: per molti produttori l'introduzione del regime fiscale proposto da Giorgetti rappresenta una sorta di tassa sul futuro, una penalizzazione in un momento in cui altri Paesi europei, dall'Austria alla Spagna, vedono invece nel vino dealcolato una vera opportunità di mercato.
Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia
Ma per comprendere il peso di queste dichiarazioni è necessario contestualizzare: il ministero dell'Agricoltura, infatti, stava lavorando da mesi a un regolamento ad hoc per i vini dealcolati, sviluppato in collaborazione con il comparto enologico e mirato a distinguere i vini di qualità, come quelli Dop e Igt, dalle produzioni generiche. La proposta prevedeva una vera e propria esenzione dalle accise per questi prodotti di qualità, riconoscendo che le cantine italiane non sono distillerie e non dovrebbero essere trattate come tali. Era una soluzione che mirava a incentivare il comparto, lasciando ai vini dealcolati lo spazio per inserirsi sul mercato senza gravare sulle aziende con costi e burocrazia aggiuntivi. Ma la proposta del Mef, che con l'articolo 33-ter del "Decreto accise" esige il pagamento delle imposte, rischia di superare l'iniziativa concertata dal Masaf, lasciando l'intero comparto enologico nel limbo.
La domanda di vino dealcolato cresce sui mercati occidentali
Ma vediamo nel concreto i danni che potrebbero essere causati da questa trovata del Governo. Queste nuove tasse e l'assenza di norme sulla produzione rischiano di mettere fuori gioco le cantine italiane rispetto a un segmento di mercato in grande ascesa soprattutto all'estero. Secondo i dati dell'Osservatorio Uiv su base Nielsen-IQ, in controtendenza rispetto al vino convenzionale i vini dealcolati hanno chiuso il semestre di Usa, Regno Unito e Germania con un valore complessivo di 79 milioni di euro (+16%). Con un incremento negli Usa (che rappresentano il 50% della domanda totale) del 35%.
Cresce la domanda di vino dealcolato in tutto il mondo
Parliamo di una nicchia di mercato, piccola, ma che potrebbe crescere, e nella quale in Italia operano solo pochi produttori (come l'altoatesino Martin Foradori, Hofstätter, che ne produce 100mila bottiglie, ma in Germania) mentre Francia e Spagna sono, ad esempio, attivi da tempo. E la conferma è giunta nei giorni scorsi quando il colosso del lusso francese Lvmh (con marchi di Champagne come Moet Chandon, Dom Perignon, Krug e Veuve Clicquot) ha siglato una partnership con French Bloom per produrre spumanti analcolici di pregio venduti anche a 100 euro a bottiglia. Su queste basi il fatto che il Prosecco abbia superato per vendite negli Usa lo Champagne potrebbe presto rivelarsi una vittoria di Pirro se i francesi dovessero contrattaccare con bollicine no alcool… e noi no.
«Non possiamo andare avanti così - ha dichiarato a Il Sole 24Ore Massimo Romani, ceo di Argea (primo gruppo privato del vino in Italia con di 450 milioni di fatturato). Noi abbiamo lanciato una linea di 8 etichette dealcolate che dobbiamo produrre in Germania. Scontiamo troppe rigidità mentre i nostri concorrenti corrono e stanno occupando spazi su un mercato sul quale più si va avanti, più sarà difficile recuperare posizioni. Vogliamo investire su questo settore e i nostri stabilimenti sono pronti ma senza un chiarimento normativo non andremo avanti. Stiamo tutti perdendo una importante occasione».
Vino dealcolato: il Governo si aggiorna o resta a guardare gli altri?
Dunque, detto ciò, la domanda è una: il Governo vuole davvero investire nel futuro del vino o si accontenta di guardare dall'esterno, mentre altri Paesi costruiscono la loro filiera dei dealcolati? L'attenzione crescente verso il consumo moderato e salutare apre prospettive enormi, e il Paese che ha fatto del vino una bandiera del suo "saper fare" rischia di restare a guardare, soffocato da norme e oneri che appaiono come inutili ostacoli. Il 2025 è alle porte: è arrivato il momento di adattarsi al cambiamento, valorizzando i vini dealcolati come parte dell'evoluzione dell'intero comparto enologico italiano.