Qualcuno mi spieghi perché, nella massima assise degli enologi-enotecnici italiani (il congresso svoltosi a Matera lo scorso novembre, prima della diffusione del coronavirus e dello scoppio della pandemia), due ampie relazioni (con relativo assaggio dei vini) sono state dedicate a due regioni francesi: la Champagne e la Borgogna. Solo la terza relazione-assaggio è stata dedicata ai grandi vini italiani delle Langhe. Francia, ancora una volta, batte Italia 2 a 1.

Flute di Champagne
Da buon nazionalista chiedo: è giusto che i massimi esperti del vino italiano si riuniscano nel congresso annuale e cantino un esagerato inno (basta leggere gli aggettivi superlativi usati nelle trascrizioni delle due relazioni) ai vini francesi? Leggo inoltre di supervalutazioni date a bottiglie di Champagne e la relazione insiste sul fatto che certi prezzi siano accettabili e giusti, quando a mio parere sono sopravvalutati e ingiusti. Ancora oggi, purtroppo, la parola Champagne riempie la bocca di bevitori superficiali che guardano solo l’etichetta. È l’esterofilia di molti italiani che purtroppo continua, a prescindere dalla effettiva validità del prodotto. Resta comunque il mio dissenso che al congresso di enologi-enotecnici italiani si sia dato tanto spazio ai vini francesi.
Qualcuno dirà: «Ma sai, i vini francesi hanno molta più storia dei nostri e noi abbiamo ancora da imparare». Sono 40 anni che sento questo ritornello. O veramente i francesi riescono a nascondere bene le loro qualità in enologia oppure gli enologi italiani non sono stati così veloci nell’apprendere e copiare. Possibile che in Italia non ci siano territori e vini ai quali guardare come modello per migliorare ancora quello che è migliorabile? Di questi territori del Belpaese avrei preferito si parlasse più diffusamente.