L’export del vino italiano torna a crescere facendo registrare aumenti fino al 4% nei primi mesi del 2018 rispetto allo stesso periodo 2017. L’anno scorso si concluse con 6 miliardi di euro di vendite all’estero. I dati giungono all’inizio della vendemmia e fanno ben sperare per il futuro dopo un periodo di preoccupazioni.
A sostenere questa fiducia
i dati che Assoenologi ha rilevato quando è stato raccolto il 15% di uva. Secondo le stime si produrranno 55,8 milioni di ettolitri di vino, mai così tanti negli ultimi 20 anni.

Dati positivi per l’intero settore dal momento che la vendemmia in Italia impegna 310mila aziende agricole e quasi 46mila aziende vinificatrici su una superficie a vite di 652mila ettari. Si tratta di una attività che attiva un motore economico capace di generare oltre 10,6 miliardi di fatturato dalla vendita del vino, realizzato più all’estero che in Italia, che offre opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone tra quelle impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale e quelle presenti in attività connesse e di servizio.
Le vendite hanno avuto un incremento in valore del 3,7% negli Usa che sono di gran lunga il principale cliente, ma l’aumento è stato del 3,6% in Germania e un vero balzo del 12,2% si registra in Francia storico concorrente del Made in Italy ma che dal punto di vista produttivo dovrà accontentarsi anche quest’anno del posto di onore a livello mondiale con 46,1 milioni di ettolitri da imbottigliare secondo le stime di Agreste, il servizio statistico del ministero dell’Agricoltura francese.
In controtendenza rispetto all’aumento generale sono le esportazioni in Canada che risultano in calo dell’1% dopo l’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio (Ceta). A preoccupare per il futuro sono i rischi connessi agli accordi internazionali siglati, o in via di definizione, dall’Unione Europea, dal Ceta con il Canada fino al Mercosur con i Paesi sudamericani, dove sono centinaia le Doc italiane che potrebbero rimanere senza tutele. In Canada ad esempio non trovano al momento tutela importanti vini quali l’Amarone, il Recioto e il Ripasso della Valpolicella, il Friularo di Bagnoli, il Cannellino di Frascati, il Fiori d’arancio dei Colli Euganei, il Buttafuoco e il Sangue di Giuda dell’Oltrepo’ Pavese, la Falanghina del Sannio, il Gutturnio e l’Ortrugo dei Colli Piacentini, la Tintillia del Molise, il Grechetto di Todi, il Vin Santo di Carmignano, le Doc Venezia, Roma, Valtenesi, Terre dei forti, Valdarno di Sopra, Terre di Cosenza, Tullum, Spoleto, Tavoliere delle Puglie, Terre d’Otranto.
Mentre l’accordo con il Giappone prevede la protezione da parte del Paese del Sol Levante di appena 25 denominazioni italiane, dall’Asti al Brunello di Montalcino, dal Franciacorta al Soave, dal Marsala al Lambrusco di Sorbara fino al Vino Nobile di Montepulciano solo per citarne alcuni. Non va meglio per la trattativa in corso con i paesi del mercato comune dell’America meridionale di cui fanno parte Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay (Mercosur), con una forte vocazione vitivinicola.
Il negoziato appare molto complesso anche per la presenza in Brasile di diversi produttori di Prosecco specialmente nella zona del Rio Grande che rivendicano il diritto di continuare a fare questo vino italiano anche perché la varietà vitis vinifera “prosecco tondo” risulta iscritta nella banca dati brasiliana del germoplasma sin dal 1981. E tutto questo mentre nel mondo proliferano falsi di ogni tipo con il Prosecco che guida la classifica dei vini più taroccati con le imitazioni diffuse in tutti i continenti dal Meer-secco al Kressecco, dal Semisecco e al Consecco, ma è stata smascherata le vendita anche del Whitesecco e del Crisecco.