Con la riapertura, da lunedì 18 maggio, della ristorazione e del “fuori casa” si riattiva anche per il vino italiano un canale naturale che vale al consumo 6,5 miliardi di euro l’anno. E secondo l’instant survey dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, realizzata ad aprile su un campione rappresentativo di mille consumatori di vino, solo il 23% degli italiani (in particolare donne, del Sud, che hanno avuto problemi sul lavoro) dichiara che andrà meno al ristorante, a fronte di un 58% per cui non cambierà nulla, fatte salve le adeguate misure di sicurezza da prendere (45%).
I consumi di vino varranno 6,5 miliardi di euro
Non manca, anche se molto misurato, il revenge spending, ovvero la “spesa della vendetta” post-lockdown per i beni voluttuari come il vino: il 10% prevede infatti di spenderne più di prima fuori casa, valore che sale al 15% per i millennials (25-40 anni) e per chi non ha avuto problemi sul lavoro (13%).
Per il direttore generale di Veronafiere,
Giovanni Mantovani: «La nostra speranza è che gli storici partner dell’Horeca - tra i più penalizzati dall’emergenza - possano essere messi al più presto nelle condizioni di poter riprendere il proprio cammino. Vino,
accoglienza e ristorazione rappresentano il primo fattore distintivo del nostro Paese nel mondo, e trovano in
Vinitaly il luogo di incontro per eccellenza, con una media di 18mila buyer italiani dell’Horeca, dei quali 2/3 legati alla ristorazione. A ciò si aggiunge il tradizionale evento autunnale wine2wine business forum con l’innovativo wine2wine exhibition, primo vero appuntamento internazionale on e off line di quest’anno dedicato al vino».
Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor,
Denis Pantini: «Il ruolo della ristorazione e gli effetti del lockdown sulle vendite di vino - sia in Italia che all’estero - sono anche desumibili dalle giacenze a fine aprile di quest’anno, che evidenziano le penalizzazioni subite da alcune blasonate denominazioni che trovano nell’Horeca il principale canale di commercializzazione. Si pensi al +9% di volumi in giacenza del Montefalco Sagrantino e del Nobile di Montepulciano, dell’8% del Chianti Classico o alle maggiori eccedenze di bianchi importanti come Falanghina (+16%) e Soave (+24%). Ma il danno inferto dalla chiusura non è solo prerogativa dei vini di fascia premium: si pensi al +36% in giacenza di Castelli Romani o al +22% di Frascati, vini tipicamente somministrati dalle trattorie della Capitale, non solo rimaste chiuse ma purtroppo anche a corto di avventori stranieri».
I dati sui consumi post covid
Da ricordare che con le aziende italiane del vino hanno perso in media il 40% del loro fatturato. La
stima era stata fatta recentemente da Confagricoltura, che evidenzia come il 35% del vino sia consumato nel canale Horeca, che assorbe il 55% del valore del comparto.
In Italia, rileva l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, circa un terzo dei consumatori beve prevalentemente fuori casa (42% i millennials), con un valore che incide per il 45% sul totale delle vendite in Italia (14,3 miliardi di euro nel 2018). Il prezzo medio alla bottiglia è di 15,4 euro, mentre al calice la spesa è di 5,7 euro, secondo l’indagine.
In questi mesi di emergenza intanto il mondo del vino ha provato a salvarsi con
le vendite nella Grande distribuzione: nei primi 3 mesi e mezzo dell’anno le vendite di vino nella Distribuzione moderna (iper, super, libero servizio piccolo, discount) hanno registrato una crescita a volume del 7,9% (+ 6,9% a valore) rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel dettaglio i vini Doc e Docg sono cresciuti del 6,8% (+ 7,6% a valore), i vini Igp e Igt del 10,5% (+7,7% a valore), i vini comuni del 7,2% (+4,1% a valore) e le bollicine dell’1,2% (+1,6% a valore).