L’enologo Antonio Arrighi ci prova con una tecnica utilizzata dagli antichi Greci: tenere l’uva per qualche giorno in mare. Tutto è stato documentato in un cortometraggio che ha vinto due premi a Marsiglia.
Produrre vino come facevano i Greci 2500 anni fa. Era un segreto degli isolani di Chio, quello di tenere l’uva per qualche giorno in mare ed eliminare la sostanza cerosa esterna, detta pruina, per avere poi un appassimento più veloce e riuscire a far mantenere al vino aromi e sostanze.
L'immersione di Antonio Arrighi al largo dell'Isola d'Elba
Il viticoltore elbano
Antonio Arrighi ci riprova all’isola d’Elba, con metodologie antichissime, quali l’uso dell’anfora come vaso vinario e la “macerazione” delle uve in acqua di mare, alla maniera dei vini di Chio, ricordata da Plinio e dagli antichi georgici latini.
L’esperimento, partito con l’Università di Pisa, da un’idea del professore ordinario di viticoltura dell’università di Milano Attilio Scienza, è stato documentato dal regista Stefano Muti e prodotto da Cosmomedia. Il corto di 15 minuti è stato
presentato nei giorni scorsi alla rassegna Oenovideo di Marsiglia vincendo due premi: Miglior Cortometraggio, a riconoscimento della qualità tecnico-artistica dell’opera, e quello della Revue des Oenologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione. I premi saranno consegnati il 14 ottobre a Parigi. «Un esempio di archeologia sperimentale - dichiara il professor
Attilio Scienza - che ci consente di ritornare alle origini, di capire perché questo vino è più famoso degli altri e di dare così risposte a molti interrogativi rimasti inevasi».
La tecnica prevede l'immersione dell'uva in mare per alcuni giorni
«Volevamo riprodurre il vino dei Greci dell’isola di Chio - racconta Antonio Arrighi - Ho un’esperienza nella produzione in anfora e l’Elba ha fondali bellissimi. Abbiamo utilizzato le ceste di vimini e l’Ansonica, un’uva resistente e originaria di quelle zone, un incrocio tra due vitigni dell’isola di Chio. L’abbiamo messa in profondità per alcuni giorni ed è stata proprio una ricerca, una prova per capire quanto potesse resistere. Siamo riusciti nel nostro progetto. L’uva è stata poi messa ad appassire sulle cannucce e successivamente in anfora. La quantità di sale presente dopo 5 giorni in mare ha permesso di evitare l’uso di solfiti: il sale ha fatto da antiossidante e conservante. A marzo, quando abbiamo assaggiato il vino con Attilio Scienza, ci siamo emozionati: è probabilmente un vino come usciva dalle cantine dell’isola di Chio, fino a questo passaggio identico a come lo abbiamo prodotto noi».
L’esperimento sarà ripetuto anche quest’anno, apportando alcune modifiche per perfezionare il metodo. Per esempio sarà anticipata la raccolta dell’uva per immergerla nelle acque ancora estive, godendo quindi di un maggior calore solare.