Da qualche giorno è affiorata la notizia che vede coinvolto un vino della Croazia, che ha richiesto - e quasi ottenuto - la pubblicazione della domanda sulla Gazzetta Ufficiale Ue per ottenere il riconoscimento di inicazione geografica protetta. Normale amministrazione verrebbe da dire, se non che il vino in questione porta il nome di Prosek.
Prosecco vs. Prosek, la differenza si vede fin dal colore
La levata di scudi in difesa delle eccellenze italiane
Questa notizia non ha sicuramente reso felici i produttori delle colline di Conegliano e Valdobbiadene, neo-elette patrimonio mondiale dell’Unesco, sentitisi minacciati dalla forte assonanza con il nostro caro Prosecco, la bollicina italiana da 600 milioni di bottiglie l’anno, apprezzata in tutto il mondo. Molte le polemiche e i ricorsi in atto (compreso quello dell'Aceto Balsamico di Modena Igp finito sotto attacco dalla Slovenia in un altro caso di Italian sounding) al fine di proteggere un prodotto bandiera del Made in Italy, dove ancora è aperta la ferita della battaglia persa per l’utilizzo del nome Tocai, “sottratto” dagli ungheresi ai friulani nel 2008. Cerchiamo però di capire di cosa si tratta e quali sono le differenze tra il vino veneto e “la star del momento” Prosek.
Nomi simili, ma procedimenti diversi
Il Prosek è un vino speciale, facente parte della categoria dei vini da dessert, prodotto in non più di poche decine di migliaia di bottiglie nella Dalmazia centro-meridionale, ottenuto a partire da uve autoctone tipiche della tradizione croata come il rukatac, vugava, pošip, malvasia istriana, malvasia di Dubrovnik, lasina, babic, galica o plavac mali con una pratica molto particolare. L'uva matura, selezionata per fare il Prošek, viene innanzitutto essiccata su stuoie di paglia o vimini, appese a un filo o messe l'una sull'altra su reti metalliche a maglie fitte. A essiccazione ultimata, gli acini vengono spremuti per ricavarne il poco succo rimasto, caratterizzato da estrema dolcezza. Dopo la prima pressatura, segue la fase della macerazione: l'uva passita viene messa a bagno e poi nuovamente pressata. Il passo successivo è la fermentazione alcolica, che solitamente dura molto più a lungo della fermentazione del vino classico dal momento che il mosto ottenuto contiene molti più zuccheri. Terminata la fermentazione, il Prošek va lasciato riposare e affinare in piccole botti di legno, per donare morbidezza ed eleganza. Il risultato è un colore ambrato, abbastanza denso e strutturato, dolce e quindi capace di abbinare, al momento del dessert, le tipiche leccornie della tradizione croata, come le Kroštule e la Medimurska gibanica.
La differenza con il Prosecco? Parte dall'uva
È chiaro che i due, Prosek e Prosecco, non hanno nulla a che vedere tra di loro in termini di tipologia. Come sappiamo infatti il nostro amato Prosecco nasce dalla coltivazione di uva a bacca bianca Glera, autoctona del veneto, che dopo una prima fermentazione, viene spumantizzata con il metodo Martinotti, anche chiamato Charmat (o metodo all’Italiana dagli americani) attraverso una seconda fermentazione in autoclavi a pressione controllata. Una bollicina viva dai profumi fruttati freschi che sposa il momento dell’aperitivo in versione extra dry, ma che sempre più spesso trova collocazione a tutto pasto, nelle tipologie Brut ed Extra brut.
Basterà un aggettivo per evitare il (quasi) plagio?
A quanto pare, però, i croati sono molto legati al Prosek, motivo di orgoglio e tramandato di generazione in generazione da oltre 2.000 anni, e non ritengono in alcun modo la loro richiesta una forma di contraffazione o plagio. Gli stessi sono disposti a tutto pur di ottenere questo riconoscimento, e si sono dimostrati aperti al compromesso aggiungendo l’aggettivo "dalmata".
Seguiremo gli sviluppi di questa vicenda, con un bel calice di Prosecco alzato al cielo.