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Sangiovese e non solo. Toscana, terra di grandi vini

Il Sangiovese è una colonna portante dell’enologia e della viticoltura italiana: con circa 54mila ettari coltivati è la varietà più diffusa. Ma in Toscana c'è ricchezza di varietà autoctone ancora da valorizzare. Quello che conta è riuscire ad interpretare bene le caratteristiche di ogni singolo vitigno

di Luca D’Attoma
Enologo
 
17 maggio 2021 | 05:00

Sangiovese e non solo. Toscana, terra di grandi vini

Il Sangiovese è una colonna portante dell’enologia e della viticoltura italiana: con circa 54mila ettari coltivati è la varietà più diffusa. Ma in Toscana c'è ricchezza di varietà autoctone ancora da valorizzare. Quello che conta è riuscire ad interpretare bene le caratteristiche di ogni singolo vitigno

di Luca D’Attoma
Enologo
17 maggio 2021 | 05:00
 

Se dici Toscana, dici Sangiovese, uno dei vitigni più nobili e prolifici d’Italia, un vero e proprio ambasciatore delle nostre eccellenze enologiche nel mondo. Con una superficie totale di circa 54mila ettari coltivati, Il Sangiovese è la varietà più diffusa nel Belpaese (dati rapporto Oiv del 2017). Anche se si coltiva con successo in diverse regioni dell’Italia centrale, come l’Emilia Romagna, l’Umbria o le Marche, è in Toscana che si esprime al massimo.

Sangiovese e non solo Toscana, terra di grandi vini



Il Sangiovese è Toscana

Come il Nebbiolo è l’emblema del Piemonte, il Montepulciano dell’Abruzzo e il Cannonau della Sardegna, il Sangiovese lo è della Toscana. Un vitigno che esiste dalla notte dei tempi, una vera e propria colonna portante dell’enologia e della viticoltura italiana. Gli ampelografi ritengono che il luogo d’origine sia la zona Appenninica tra Toscana e Romagna, dove ancora oggi rappresenta l’uva a bacca rossa più importante.

Ed è proprio in Toscana che ha trovato il suo habitat ideale dando vita a tanti vini Doc e Docg: dal Chianti, con le sue varie denominazioni, al Brunello di Montalcino, dal Carmignano al Vino Nobile di Montepulciano, dal Morellino di Scansano fino ai rossi di Montecucco.

Ma è anche presente nel blend di molti Supertuscan, quei vini “ribelli” che a partire dagli anni ‘80 scardinarono le regole del panorama vinicolo italiano. Allora, infatti, alcuni produttori si sentivano stretti nella rigidità dei disciplinari. Fu così che avvenne la rivoluzione, a cui contribuì in maniera decisiva Giacomo Tachis, padre della moderna enologia italiana, che osò aggiungere al Sangiovese vitigni internazionali, come il Merlot, il Cabernet Sauvignon e il Syrah, per ottenere vini più ricchi, corposi e di caratura internazionale. Etichette che riscossero grande successo, specialmente negli Stati Uniti, diventando un autentico fenomeno planetario.

Sangiovese e non solo Toscana, terra di grandi vini


Un vitigno versatile ma delicato

Il Sangiovese è un vitigno con un’epoca di maturazione media, che ha una buona capacità di adattamento e tende alle produzioni abbondanti. Prediligi terreni di medio-impasto tendenti all’argilloso, soprattutto dotati di una buona presenza di scheletro. È molto versatile ma anche piuttosto delicato, sensibile al caldo, al freddo e alle piogge, e richiede dunque una viticoltura fondata sul massimo rispetto della pianta e su una buona gestione dei suoli. Il Sangiovese ha una forte identità che conferisce un carattere inconfondibile ai vini, sia quando viene vinificato in purezza sia in blend. Con le giuste condizioni, dà vita a vini estremamente fini e di grande longevità, ma anche a straordinari vini da fine pasto o da meditazione come il famoso Occhio di Pernice. Storicamente, il Sangiovese affina in botte, tuttavia, ci sono delle espressioni in purezza affinate in barrique che hanno generato etichette di grande prestigio.

I vitigni autoctoni dimenticati

Tra i vitigni autoctoni utilizzati in blend con il Sangiovese c’è il Canaiolo che, insieme alla Malvasia Nera, faceva parte della ricetta originale del Chianti e del Chianti Classico. Un vitigno molto antico, poco vigoroso e poco produttivo che, se vinificato in purezza, può dare vita a vini di buon corpo, morbidi e vellutati, caratterizzati da note floreali, fruttate e dal sapore vinoso. Tra i vitigni toscani dimenticati che ultimante sono stati ripresi in considerazione mi piace ricordare: il Pugnitello, il Foglia Tonda e il Colorino.

Sangiovese e non solo Toscana, terra di grandi vini


Non solo vini rossi

Anche se dei quasi 59mila ettari vitati in Toscana, l’85% sono occupati da vitigni a bacca nera, dal restante 15% di vitigni a bacca bianca si ottengono vini di tutto rispetto, se confrontati con i bianchi delle regioni italiane più vocate. Tra i vitigni autoctoni più utilizzati per produrre i bianchi di Toscana, vale la pena ricordare la Vernaccia di San Gimignano, il Trebbiano, la Malvasia Bianca, utilizzata prevalentemente per il Vinsanto, e l’Ansonica. E poi c’è il Vermentino che si coltiva in Maremma, lungo tutta la costa tirrenica fino alle Colline Metallifere e al Monte Amiata. Le caratteristiche di questi territori, i cui suoli hanno una conformazione molto variegata, unite all’influenza del mare, rendono il Vermentino di queste zone nettamente diverso da quello prodotto in altre parti d’Italia, principalmente in Liguria e Sardegna.

L’Aleatico, il vitigno del passito

C’è un altro vitigno, stavolta a bacca rossa, che ama il mare e la macchia mediterranea: è l’Aleatico, uno dei più interessanti e affascinanti della Toscana grazie alla sua spiccata aromaticità. Diffuso soprattutto sull’Isola d’Elba, dove si produce l’Aleatico Passito Elba Docg, si può trovare anche in microcoltivazioni lungo tutta la costa tirrenica. L’Aleatico passito e il vinsanto possono essere considerati vini da “meditazione” ma sono anche perfetti per accompagnare formaggi a pasta dura e dessert.

Sangiovese e non solo Toscana, terra di grandi vini


Questo viaggio ideale tra i vitigni della Toscana ci rivela che, nonostante il Sangiovese sia, e sempre sarà, il re incontrastato della regione, esiste una tale ricchezza di varietà autoctone ancora da valorizzare che offre nuove ed esaltanti possibilità nel campo della vinificazione. Quello che conta è interpretare bene le caratteristiche di ogni singolo vitigno e lavorare in vigna e in cantina senza porsi schemi mentali. Solo così si possono ottenere le migliori espressioni da ogni singola varietà, che sia vinificata in purezza o con altri uvaggi. Dico sempre che lo scopo principale del mio lavoro è rendere felici le persone. Se dopo aver bevuto un “tuo” vino ti dicono che è piaciuto, questo basta a ripagarti di tutto l’impegno, la passione e il tempo che hai investito per ottenere quel piccolo miracolo in bottiglia.


© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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