Per molti millenni l’umanità ha patito la fame, a tal punto che storicamente il grasso e le forme voluttuose erano considerati segni di salute e perfino di bellezza. Poi, quando anche i poveri sono diventati grassi, si è deciso che l’obesità era ormai, secondo l’Oms, una “crisi sanitaria globale” - pure di fronte al continuo allungarsi dell’attesa di vita riscontrato nell'ultimo mezzo secolo. È stato addirittura istituito un “World Obesity Day”, celebrato il 4 marzo, anche se quest’anno è caduto nell’indifferenza generale, forse perché di crisi sanitarie ne abbiamo conosciute di peggiori.
La suguar tax serve davvero?
Obesità: un flagello negli UsaCome per molti altri allarmi simili, il “motore” della
preoccupazione sono gli
Usa, un paese dove l’obesità è fortemente presente e dove affligge in maniera particolarmente massiccia la
popolazione femminile. Secondo i dati ufficiali, il 66,9% delle donne americane è sovrappeso - oppure semplicemente “
obeso”.
Zucchero nelle bibite il colpevoleSi è anche identificato il colpevole: lo
zucchero, soprattutto quello presente nelle
bibite gassate. Di qui la soluzione preferita da quasi tutte le pubbliche amministrazioni: tassarlo, sia per scoraggiarne il consumo, sia per – francamente - tirare su un po’ di
soldi per le
casse governative.
In Italia Sugar tax a gennaio 2022Ormai una cinquantina di paesi nel mondo ha deciso di proteggere la
salute pubblica dall’obesità attraverso
un’imposta sullo
zucchero.
L’Italia è tra questi, anche se l’entrata in vigore della nuova disposizione è stata rimandata più volte e ora dovrebbe partire da
gennaio 2022.
Ma la tassa sullo zucchero funziona?È emerso però un problema: la soluzione fiscale non sembra funzionare. Anche qui gli
Usa sono stati un utile laboratorio. Siccome le imposte anti-zucchero sono state introdotte perlopiù a livello metropolitano nelle grandi città, è relativamente facile
misurarne l’impatto. Ora uno studio del Nber-National Bureau of Economic Research americano ha analizzato l’effetto della norma nelle quattro più
grandi città dov’è stata applicata:
Philadelphia,
San Francisco,
Seattle e
Oakland.
I ricercatori riferiscono che a fronte di una tassa di un centesimo per oncia (28,4 ml) di
bibita, il consumo totale si è ridotto mediamente di sole cinque calorie al giorno a testa. Andando per singole città, i dati rilevano che il declino statistico è totalmente dovuto alla riduzione del consumo delle bevande nella sola Philadelphia, mentre «non si riscontra nessun impatto nelle altre tre città».
Resta allora solo il “
beneficio”
fiscale generato dalla tassa: senonché, in un’altra metropoli americana – Chicago - dove l’imposta era stata prima introdotta e poi ritirata, una sorta di rivolta popolare ha obbligato le autorità ad ammettere che lo scopo della misura era puramente fiscale - per tappare dei buchi nei conti municipali - e che la salute della popolazione non c’entrava. Il pubblico non ha gradito e l’amministrazione cittadina ha trovato prudente lasciar perdere...
Ora, i
grassi americani sono ancora grassi. Che ciò non faccia bene alla salute è assodato. Forse, prima o poi, bisognerà cercare un’altra spiegazione per il fenomeno. C’entrerà che, nei “millenni magri” citati sopra, l’umanità ha anche
lavorato fino allo sfinimento, mentre oggi buona parte della popolazione è effettivamente sedentaria? Esiste la maniera di
tassare la
sedentarietà?