A Milano la rete dei Navigli, da molti anni a questa parte, rappresenta un simbolo e un motore dell’economia. Sono i luoghi, nuovi e seminuovi, della movida meneghina, che di certo passeggia e pasteggia anche in altri quartieri ma si trova tremendamente a suo agio in Ripa di Porta Ticinese, via Ascanio Sforza, Darsena e Alzaia Naviglio Pavese. Di fianco alle antiche alzaie e nei pianterreni affacciati sui corsi d’acqua milanesi si fa musica dal vivo, ci si introduce al rito laico dell’“ape”, si mangia nella trattoria tradizionale, nel bistrot o nel ristorante di gran classe, si tira tardi con un cocktail in mano. Ad allarmare questo ambientino modaiolo e scanzonato, dopo le batoste della pandemia, ci si mette anche la notizia della chiusura dello storico locale del Pont De Ferr, nonostante i suoi 35 anni di successi e una stella Michelin, ottenuta nel 2011. Si trovava proprio in Ripa di Porta Ticinese. Come interpretare la resa di un’osteria storica? Cambiata Milano o cambiati i Navigli? Tutta colpa del Covid-19, che ormai funziona da sfogatoio universale? In giro si parla di trionfo dell’aperitivo low cost, pizzetta riscaldata più Negroni-colluttorio e via andare, di movida selvaggia e pericolosa … Un mini-sondaggio è quel che ci vuole per schiarirsi le idee.
Viaggio sui Navigli alla ricerca di una identità perduta
La nostra ricerca inizia dal Caterina - Cucina e Farina, ristorante a due passi dall’Alzaia Naviglio Pavese dove non manca l’ossobuco con risotto, ma fa capolino anche l’ostrica Fine de Claire; la pizzetta riscaldata può quindi attendere.
«Cominciamo col dire che sui Navigli la clientela è cambiata - racconta Angelo Coro, titolare del ristorante - C’è una prevalenza di ragazzi con pochi soldi da spendere, che deve necessariamente orientarsi sui locali economici. Poco lo spazio, quindi, per ristoranti di alto livello come il Pont de Ferr. Non escludo che abbia influito anche il degrado della zona, che le istituzioni fanno finta di non vedere: a cominciare dalle risse nel fine settimana, quando l’affollamento è ai massimi livelli, fino ad arrivare alla sporcizia e ai rifiuti. Ed è il commercio di qualità il primo a soffrire del degrado, mentre la birreria o il cocktail bar lo sopporta meglio: dipende dal tipo di cliente, e insomma i ragazzi la serata la devono passare, in qualche modo. Ma non mi sembra di raccontare nulla di nuovo».
I locali nuovi, e quelli che si trasformano, sono ormai preda del low cost?
Proprio così. La nostra fortuna è che ‘Caterina - Cucina e Farina è vicinissima all’Alzaia, ma non si affaccia direttamente: basta questo piccolo distacco a preservarci un po’, aiutandoci a conservare la nostra identità. Nel mezzo della settimana l’influenza della movida non la sentiamo proprio, nel weekend sì, abbastanza.
Pensa sia arrivato il momento di cambiare qualcosa nel tipo di offerta ristorativa?
Per adesso continuo a fare quello che so fare. Non ho intenzione di banalizzare la mia cucina e continuo a posizionarmi su un’offerta intermedia, con un business lunch a mezzogiorno e la sera qualcosa di sfizioso e divertente, da ordinare alla carta.
Colpisce il «per adesso» di Angelo Coro: chissà se bisogna cogliere tra le righe quella nota d’incertezza che non dà più nulla per scontato, in un’epoca in cui devi sforzarti per non diventare pessimista.
Caterina - Cucina e Farina, Angelo Coro
I Navigli sono cambiati e anche la loro clientela
Se da “vicinissimo al Naviglio” passiamo al “direttamente sul Naviglio”, magari cambia qualcosa? Improbabile, ma la verifica è il nostro mestiere: facciamo allora lo sforzo di consultare Luciano Mandras, socio del “Ponte Rosso”, ristorante in Ripa di Porta Ticinese.
«Devo ammettere che negli anni ho visto un’evoluzione negativa - ha commentato Mandras - Il livello della domanda si è abbassato, e di molto. Mentre quello che offro io non è cambiato: il Ponte Rosso è una trattoria classica, tipicamente italiana, che da Nord a Sud attraversa quella cucina regionale che ha reso celebre il nostro paese. Ma è il Naviglio Pavese a non essere più quello di una volta; ora tutto è a misura di giovani, si vede meno il cliente disposto a spendere una cifra diversa da quella dell’aperitivo, e questo è indubbio. I turisti in giro sono ancora pochi, ma può dipendere dalla pandemia. Io continuo a fare quello che ritengo essere il mio mestiere, ma si fa una fatica boia, anche perché troppa gente è allontanata dal rumore, dalla confusione, dal degrado».
Parliamo del quadro generale: l’ordine pubblico è diventato davvero un problema o è un’esagerazione dei media?
Nessuna esagerazione, i problemi ci sono, le risse più frequenti che mai. Ti trovi davanti i ragazzini delle baby gang che alle otto di sera sono già ubriachi, nonché pericolosi. Io sono qui dal 2004, il cambiamento in peggio ce l’ho sotto gli occhi.
Come si reagisce a tutto questo? Cambiamenti in vista?
Dopo il primo lockdown ho rilevato un bar, proprio qui di fianco al mio locale, perché volevo diversificare l’offerta, come si suol dire. E in effetti gli affari vanno bene, ma mi rendo conto che non sono soddisfatto: è proprio un altro mestiere, che non sento mio, tanto è vero che è un mio socio a occuparsene direttamente.
Ponte Rosso, Luciano Mandras
«Dopo l’esplosione di Expo 2015 c’è stata una netta flessione»
La crisi d’identità del ristoratore che non vuol “piegarsi” a fare il barista era importante non perdersela: un dato sociologico, senza dubbio. Ma torniamo ora per le strade e i vicoli intorno all’Alzaia Naviglio Grande per consultare Marco Ambrosino, chef la cui formazione si è arricchita in ristoranti stellati come “Il Melograno” di Ischia e il “Noma” di Copenhagen. L’approdo è stato al “28 posti”, un bistrot che mette qualità e creatività al primo posto; ma che è comunque soggetto a piene e ondate provocate non dal Naviglio, ma da una situazione economica/ambientale difficile per tutti.
Ambrosino, lei è al “28 posti”, e quindi in zona Navigli, da otto anni: cosa è che sta cambiando, da queste parti?
Se allude alla qualità media della ristorazione l’evoluzione è evidente. Dopo l’esplosione dovuta a Expo 2015 la flessione è stata netta, ed è anche fisiologico, ma non mi sembra giusto chiamare in causa solo i clienti. Se sei tu il primo a credere nella qualità allora attiri i gourmet; in caso contrario, avrai richieste corrispondenti a quel che porti in tavola. Questo particolare va ricordato.
E quindi secondo lei il problema non è l’eccesso di offerta e di locali scadenti?
Devo basarmi sull’esperienza del ‘28 posti’, e devo dire che noi il nostro lavoro continuiamo a farlo senza compromessi: i nostri clienti non ci hanno abbandonato. Per un locale che sposi la nostra stessa filosofia, non abbia un certo giro d’affari alle spalle e pensi di partire da zero, ovviamente i rischi sono alti. Ma non impossibili da affrontare.
E allora perché chiudono ritrovi storici come il Pont de Ferr?
Difficile dirlo dall’esterno. Io credo che anche le imprese di ristorazione abbiano i loro alti e bassi, i loro cicli storici: dopo di tutto il Pont de Ferr aveva 35 anni, e ha attraversato successi clamorosi e pure crisi. Che oggi, comunque, sia più difficile di ieri restare a galla, per l’alta ristorazione, è sotto gli occhi di tutti.
E il cosiddetto degrado dei Navigli? Le risse, la sporcizia, il rumore, la folla indisciplinata? Allontanano i clienti o no?
I fatti di cronaca accadono, certo, ma non più di qualche anno fa; è solo che ora il bacino d’utenza è minore, e quindi il cretino che scatena la zuffa si nota di più. Dieci bulli che si agitano fanno meno rumore se circondati da ventimila persone; se i numeri si riducono dell’ 80%, ecco che il palcoscenico si svuota e il cretino ha molta più visibilità.
28 Posti, Marco Ambrosino
“La prevalenza del cretino”, grande saggio di Fruttero & Lucentini con quasi un quarantennio alle spalle, avrebbe forse aiutato a inquadrare bene la movida sui Navigli. Dal canto nostro, ci sembra evidente che le folle non si autogovernano né si possono affidare al buon cuore o all’iniziativa privata dei commercianti. Bisogna inventarsi qualcosa che non sia il pugno di ferro, ma un compromesso ragionevole. Così come bisogna ripensare la tipologia di ristorazione da offrire, che non può essere abbandonata a una massa critica ossessionata dall’all-you-can-eat a dodici euro; una ristorazione che può e deve ritrovare quella passione coraggiosa che ha portato Milano a diventare una capitale del gusto.