Pausa pranzo quanto mi costi: mangiare fuori pesa sempre di più sull’economia di un lavoratore e così si stringe la cinghia e si passa alla schiscetta da casa, il portavivande come viene definito in dialetto milanese: una scelta non casuale dato che proprio Milano con il suo + 10% rispetto al 2021, è una delle città che registra il maggior incremento del costo di panini e business menu.
Ma a cosa è dovuto un incremento del genere? I motivi che concorrono a tale aumento sono essenzialmente tre: caro bollette, inflazione e smart working.
Il lavoro da casa
Partiamo dall’ultimo: con la pandemia Covid il mondo del lavoro è ricorso al telelavoro e al lavoro smart, da casa, senza recarsi in ufficio. Una vera e propria novità che ha rivoluzionato non solo il metodo ma anche il modo di pensare e concepire il lavoro e la sua organizzazione, e anche se ora la fase emergenziale è terminata, lo smart working resta una possibilità.
Mangiare fuori a pranzo, un lusso non per tutti?
È vero che quasi tutti i lavoratori sono tornati in presenza, ma è anche vero che esiste ancora un numero consistente di persone che, anche solo per pochi giorni lavorano da casa, dunque non necessitano di recarsi nei bar e nei ristoranti della città per consumare il pranzo.
Il caro bollette
Lo scoppio della guerra in Ucraina - ormai un anno fa - e le sanzioni occidentali alla Russia, hanno causato una impennata del costo dell’energia che è ricaduta a pioggia sui consumatori finali. Bar e ristoranti, che utilizzano regolarmente frigoriferi e forni, hanno visto le fatture di gas ed elettricità duplicarsi se non triplicarsi nei momenti di maggior aumento dei listini internazionali, e se all’inizio hanno cercato di accollarsi gli extra costi, negli ultimi mesi hanno dovuto cedere ritoccando il tariffario. Lo stesso discorso però vale per i privati cittadini che già alle prese con bollette salatissime, rinunciano al business menu per ripiegare su soluzioni più economiche, come portarsi il cibo da casa consumandolo spesso direttamente in ufficio, e attutire così l’aumento delle spese.
L’inflazione
Dulcis in fundo l’inflazione che seppur stia rallentando resta preoccupante. Mannaia sull’economia delle famiglie e delle imprese che vedono la propria capacità di acquisto ridotta a causa di un aumento generalizzato dei prezzi. Questo vale per tutti, per le famiglie, che tagliano il superfluo, e per le imprese costrette a pagare cifre più elevate per l’acquisto delle materie prime. Dalla farina, al burro anche gli alimentari hanno subito un’importante revisione dei listini.
I dati della Fipe: +6% in tutto il Bel Paese
Questa panoramica della situazione legata ai rincari della pausa pranzo emerge dai dati della Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi. Nel 2022 il prezzo della pausa pranzo è salito con una media del 6% da Nord a Sud Italia rispetto all’anno precedente, il 2021. A Milano i prezzi sono saliti di più, fino al 10%, dato che sarebbe confermato anche da Confcommercio e Confesercenti.
Sul costo della pausa pranzo nel capoluogo lombardo incidono in mod più importante rispetto ad altre città altri fattori come il costo del personale più alto perché si fa fatica a trovare camerieri e cuochi, e così i datori di lavoro hanno alzato i compensi, ma anche il prezzo di servizi come quello della lavanderia. Inoltre, non va dimenticato che il costo della vita sotto la Madonnina si sa, è più elevato, basti pensare agli affitti.
Dal 6 al 10% gli aumenti ai menu del business lunch
Il prezzo della pausa pranzo però non può salire eccessivamente perché altrimenti aumenterebbero ancora di più le persone che si porterebbero il pasto da casa, e ad oggi, non manca chi tra i titolari di bar e ristoranti, accetti di lavorare in perdita piuttosto che rinunciare al servizio, ma è chiaro che serve un’inversione di tendenza perché la situazione non potrà essere sopportata da tutti gli esercenti per molto tempo ancora.
Interrompere l'ascesa dei prezzi: serve l'intervento del governo
Interrompere questa ascesa dei prezzi è sempre più urgente, ma per farlo spiega Francesca De Lucchi, consigliere di Epam – Confcommercio Milano: «Serve un intervento del governo».
Per De Lucchi, imprenditrice del settore, «Oggi un ristoratore è fortunato se riesce a coprire i costi». Secondo i dati della confederazione meneghina, la situazione aggiornata all’ultimo periodo sarebbe leggermente migliorata: «L’incremento dei prezzi, infatti, non supera l’inflazione, cui tasso tendenziale ad inizio 2023 era oltre il 9% - spiega De Lucchi -, mentre per i bar la crescita del prezzo dello scontrino si attesterebbe attorno al 4%».
Certo è che, nonostante il rallentamento dei rincari, la situazione resta difficile: «Serva una importante defiscalizzazione» sottolinea il consigliere: «Il costo del lavoro è troppo alto, ma il personale è necessario per garantire un servizio di qualità, inoltre il servizio e il rispetto dei tempi in pausa pranzo è fondamentale».
Francesca De Lucchi, consigliere di Epam – Confcommercio Milano
Ma il problema non starebbe tutto qui (anche se in gran parte), in particolare a Milano pesa molto sui bilanci dei locali l’effetto smart working che, ancora oggi, non permette più ai ristoratori di contare sui 5 giorni lavorativi: «Ormai lunedì e venerdì sono smart per molti lavoratori, e anche durante le feste, i ponti e le scuole chiuse: per i giorni che restano in molti scelgono il telelavoro, questo incide molto per le attività». Ma se le cose non vanno benissimo, una parte di colpa l’hanno anche gli addetti del settore, aggiunge De Lucchi: «Dobbiamo imparare a comunicare, a istruire il consumatore sul valore aggiunto che rappresentano servizio e materie prime di qualità che inevitabilmente incidono sullo scontrino gravato già dai costi di gestione alle stelle e dalle tasse».
Cosa fare dunque? «Se sulla testa continuano a piovere i rincari, dall’energia agli affitti, se non si adeguano i prezzi andiamo verso l’implosione e togliamo alla comunità un servizio essenziale. Il governo deve intervenire sulla riduzione del costo della tassazione sul personale, deve intervenire sui costi dell’energia e sulla pressione fiscale in generale. Solo allora sarà possibile ammortizzare i costi. Intanto noi -conclude De Lucchi - dobbiamo comunicare quello che stiamo dando: un servizio di qualità».