Nel 2020 - anno del lockdown - è stato l’ottavo cibo più ordinato a domicilio, registrando una crescita del +133% rispetto al 2019. Nel 202,1 in Italia, ha generato un giro d’affari pari a 98 milioni di euro di fatturato (contro gli 86 del 2020 e a fronte dei 143 previsti per il 2024). In totale, sono 378 i punti vendita sparsi in tutta Italia che trattano (quasi) esclusivamente questa referenza. Stiamo parlando del Poke, piatto tipico hawaiano a base di pesce crudo di cui si celebra la Giornata Mondiale il 28 settembre.
Il poke, piatto tipico hawaiano a base di pesce a pezzetti
Dalle Hawaii un healthy food internazionale
Per chi ancora (e sono pochi visto il successo riscosso nell’ultimo anno e mezzo) non sapesse che cos’è, rimediamo subito. Iniziamo dalla pronuncia che dovrebbe essere questa: pok-ei. L’origine della parola è hawaiana e significa letteralmente “a pezzeti”. Il riferimento è al modo con cui, per secoli, gli abitanti dell’arcipelago del Pacifico erano soliti consumare il pesce crudo appena pescato, mischiandolo con alghe chiamate limu e cosparse di inamona, un condimento locale che si ottiene dalle noci tostate del kukui (o noci delle Molucche) mischiate con il sale hawaiano. Detto ciò, è solo con l’appropriazione di questo piatto da parte della cultura culinaria giapponese che la ricetta ha iniziato a farsi largo. Rispetto alla preparazione originale, infatti, nel Sol Levante i condimenti classici sono stati sostituiti da soia e olio di sesamo, così come al pesce bianco è stato preferito il tonno. A tutto ciò si è poi aggiunto il ventaglio di sapori agrodolci tipici dell’Estremo Oriente. E la base di riso. Un primo mix a cui poi se ne sono aggiunti mille altri facendo del poke uno dei piatti componibili e personalizzabili per antonomasia. Ideale per costruirci un business food retail.
Uno store Poke House
Il successo dell'italiana Poke House
Il caso più emblematico a livello italiano ed europeo è senza dubbio quello di Poke House. L’insegna, fondata da Vittoria Zanetti e Matteo Pichi nel 2018, ha velocemente lasciato il suo segno sopravanzando anche chi, negli anni precedenti, aveva tentato lo stesso azzardo. Ad oggi, sono più di una sessantina i punti vendita all’attivo non solo nel Belpaese ma anche in Portogallo, Spagna, Olanda, Francia e, da ultimo, nel Regno Unito. A Notting Hill, infatti, la società ha aperto lo scorso 18 settembre il suo primo store Oltremanica. L’ultima bandierina di un’espansione che è coincisa con un’abile gestione finanziaria che ha permesso a Poke House di conquistare gli investitori. Ecco l'intervista a Matteo Pichi.
Cosa si nasconde dietro questo successo?
Innanzitutto il nome poke: breve, riconoscibile, facilmente pronunciabile e simpatico. Dietro a ciò, però, si nasconde un concetto di alimentazione più ampio: mangiare sano direttamente da una bowl (ciotola, ndr). Quest'ultimo è un trend più californiano che hawaiano e risponde bene a una richiesta di personalizzazione molto forte nel food retail. Se poi aggiungiamo che già prima della pandemia i clienti erano alla ricerca di prodotti salutari, freschi allora è più chiaro il fenomeno intercettato. Post-pandemia, invece, è cresciuta anche la necessità dei clienti di fidarsi di un brand per una certa preparazione, soprattutto se prevede della materia prima cruda. Insomma, Poke House ha trovato i favori del pubblico perché è sinonimo di maggiore qualità in tutti e 60 i locali che gestisce.
Matteo Pichi, fondatore di Poke House
Quanto ha contato il boom del delivery?
Sicuramente il fatto che il poke sia un prodotto delivery friendly aiuta perché, di fatto, mantiene le stesse qualità sia che te lo portino a casa sia che lo si consumi nel punto vendita. In questo senso, il poke si è inserito in una offerta fast casuale molto in voga fra i consumatori dal momento che in questo segmento possono trovare una rapporto qualità-prezzo attraente e convincente. Infine, c'è un mercato in forte espansione, anche all'estero, per tutte quelle soluzioni di alimentazione sana come può essere il poke.
A proposito dell'estero, come procede l'internazionalizzazione?
Continuiamo a portarlo avanti. In Gran Bretagna siamo a 6 punti vendita, in Francia a 2, in Spagna il 28 settembre apriamo il nuovo punto vendita di Barcellona e in Portogallo siamo ormai a 8 store ma ne stiamo già cercando altri. In tutti questi mercati, il mangiar sano è un fenomeno trasversale. La differenza è l'accoglienza riservata al nostro poke. Dove ci sono già dei local hero presenti spesso e volentieri dobbiamo spiegare ai consumatori quale sia la nostra differenza. Per me sta nelle porzioni. Le nostre sono mediamente il 30% più abbondanti. Inoltre utilizziamo prodotti freschi e non congelati e prepariamo la materia prima direttamente in store
Fra le leve della vostra espansione c'è anche quella finanziaria.
Quando si fonda una società, bisogna avere le idee molto chiare relativamente alla possibilità di aprirsi o no al capitale. E non è detto che una cosa sia meglio dell’altra. Se si decide ad aprirti ad altri investitori si dimostra una certa ambizione, un certo appetito di crescita. Quello che gli investitori cercano. Ovviamente, gli obiettivi che ci si pone devono essere raggiungibili e realizzabili, con tempistiche non più lunghe di un anno. Il mio consiglio è quello di vivere i mercati finanziari come una sorta di esame annuale. Se riusciamo a raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti, c'è spazio per ospitare a bordo del nostro viaggio altri passeggeri. All'estero, per esempio, ci sono diversi fondi già attivi da tempo sul segmento del food retail.
Food retail significa anche immobiliare. Che situazione post-Covid stanno vivendo le aziende?
Diciamo subito che non sta accadendo ciò che ci aspettavamo, soprattutto in Italia. Ci attendavamo molte opportunità di crescita della rete di negozi, ma i locali disponibili sono meno del previsto. Il mercato tricolore è più conservativo in termini di turnover. Penso sia una questione di cultura d'impresa. All'estero, per esempio, con una proprietà immobiliare più concentrata, c'è più velocità nel sostituire un brand che non performa con un altro.
Pesce, riso e un tocco esotico: ecco la poke bowl preferita dagli italiani
Ma cosa c'è dentro una bowl di poke? A mettere in fila gli ingredienti è l'Osservatorio Just Eat (piattaforma di consegna di cibo a domicilio). Innanzitutto, un dato: degli oltre 131mila kg di poke ordinati nel corso del 2020, ben 80mila kg erano il frutto di personalizzazioni. Trend che nel 2021 ha raggiunto il picco dell'88% degli ordini. Tra gli ingredienti maggiormente scelti, il salmone risulta essere in testa nella composizione delle poke bowl (14mila kg in diverse varianti). Altri tipi di pesce apprezzati sono il tonno (circa duemila kg) e il gambero (600 kg). Per quanto riguarda gli altri ingredienti, il riso bianco, integrale o venere risulta essere la base più gettonata. A questa si aggiungono i gusti intensi dei frutti tropicali come avocado, ananas e mango; oppure quelli più conosciuti della frutta secca come mandorle, noci e pistacchi. Non mancano poi i tocchi orientali con pollo teriyaki, edamame e zenzero. Infine, spazio alle poke bowl vegane: oltre mille kg già ordinati nel 2020 e un aumento delle richieste pari al +28% nella prima metà del 2021.