Con il green pass ormai sdoganato come lascia passare per l’accesso a diverse attività e servizi (mentre restano ancora in ballo i trasporti), l’attenzione si sposta sul mondo del lavoro riaccendendo il tema degli eventuali no-vax in fabbrica. E il caso di cronaca più recente riguarda Sterilgarda, quarto produttore di latte in Italia con sede a Castiglione delle Stiviere e una forza lavoro di circa 330 dipendenti a cui si deve poi sommare un indotto che gravita attorno all’azienda per un totale di circa 700 lavoratori. A tutti loro il presidente Fernando Sarzi ha inviato una comunicazione in cui si specificano i rischi a cui si va incontro in caso di non vaccinazione. Detto diversamente: cambio mansione e, dove non fosse possibile, sospensione della retribuzione sino alla ripresa dell’attività lavorativa.
Nessun rischio licenziamento per il dipendente no-vax in assenza di una norma sull'obbligo vaccinale
Fernando Sarzi: «Priorità alla salute dei dipendenti e dialogo aperto con medico e Rsu»
La notizia, però, non deve far gridare allo scandalo. Come già sottolineato da Italia a Tavola, a fronte dell’assenza di una norma ad hoc relativa all’obbligo vaccinale sul posto di lavoro, il dipendente non vaccinato non può essere licenziato. Ma rischia comunque di andare incontro a dei problemi. «Abbiamo avviato un tavolo di confronto con le Rsu e il medico competente. Prossimamente avremo altri incontri e lì scopriremo il grado di immunizzazione effettivo della nostra forza lavoro. E teoricamente potremmo trovarci di fronte all’eventualità che su 330 lavoratori solo uno sia no-vax, cosa che a quel punto chiuderebbe ogni discussione potendo contare sull’immunità di gregge all’interno dello stabilimento», spiega Sarzi.
Ad oggi, per esempio, in azienda non è stato registrato alcun caso di contagio mentre per tutto il periodo emergenziale è stata predisposta un attività di test e tamponi a spese dell’azienda («60 euro a tampone per 330 lavoratori e soggetti terzi che frequentano lo stabilimento … faccia lei i conti»). Insomma, «l’attenzione è stata massima. La nostra priorità è sempre stata la tutela della salute dei dipendenti, delle loro famiglie e di tutti i nostri partner. Abbiamo tenuto a dare fondo al ruolo sociale che svolge l’azienda in termini di sicurezza sanitaria», ribadisce Sarzi.
Come stanno le cose ora? Il ruolo cruciale del medico competente
Ma come stanno le cose relativamente a vaccini e licenziamenti? Come detto, in assenza di una norma che obblighi una determinata categoria alla somministrazione del vaccino (come, per esempio, medici e personale sanitario) il datore di lavoro non può licenziare il dipendente no-vax. Allo stesso modo non può operare un'attività di screening fra i dipendenti (per questioni di privacy). L'unica soluzione è affidarsi al medico competente. Spetta infatti a lui l'onere diverificare l'idoneità lavorativa del dipendente. E qui si apre un tema: la mancata vaccinazione, per lavori non esposti specificamente al rischio contagio, rende il lavoratore inidoneo? «Ci sono attività di contatto con il pubblico come la ristorazione, la scuola, gli ospedali. Per queste attività si può pensare che il lavoratore non vaccinato abbia problemi? Sì. Ma a dirlo deve essere il medico aziendale che potrebbe ritenere quel lavoratore non idoneo alla prestazione perché esposto al contagio. E finché non si vaccina, al massimo il datore di lavoro può valutarne la sospensione. In generale, però, si presentano due tipi di problemi. Il primo riguarda le tempistiche della vaccinazione. Il datore di lavoro non può sapere se e quando al dipendente sia pervenuta la proposta di vaccinazione né può mettersi a fare delle indagini al riguardo; c’è in gioco la privacy. In secondo luogo, il datore di lavoro non può fare valutazioni mediche tali per cui decidere in modo autonomo l’idoneità del lavoratore alla mansione affidatagli», aveva già commentato su Italia a Tavola il giuslavorista Gianpiero Falsca.