Nonostante la zona gialla estesa a gran parte dell’Italia, bar e ristoranti - che possono restare aperti dalle 6 alle 18 anche col servizio in sala o al banco - borbottano ancora e non si lasciano prendere dagli entusiasmi. Troppa la diffidenza nei confronti di decisioni del Governo prese senza tenere conto delle esigenze di un locale.
Perché anche la zona gialla disposta a partire da lunedì 1 febbraio dal ministro alle Salute, Roberto Speranza ha fatto discutere nonostante per alcune regioni - Lombardia e Lazio in primis - sia arrivata un po’ a sorpresa. “Perché non concederci di aprire già nel fine settimana?”, hanno subito attaccato i gestori. Perché non era possibile farlo, almeno per quanto riguarda sabato. Ma sulla domenica, certo, non c’è dubbio che una buona parte di ragione i locali pubblici ce l’abbiano.
Venezia, turismo e ristorazione rischiano il fallimento
Detto questo, perché non sfruttare comunque l’
occasione per riaprire subito, con
entusiasmo, voglia di fare e col sorriso nell’ospitare i clienti più coraggiosi che arrivano al ristorante per godersi ancora un pasto
fuori casa? “Perché tanto magari tra una settimana ci costringono a
chiudere ancora” hanno detto in molti. Vero, l’esperienza parla da sé.
La delusione dei locali venezianiTra i più delusi ci sono i locali di Venezia dove a
Piazza San Marco gli storici
Florian,
Quadri, Aurora, Chioggia, Todaro e Lavena hanno deciso di non riaprire
nonostante la zona gialla. Locali che, almeno per quanto riguarda il Florian, costano
10mila euro ad arco con incassi dai soli veneziani da 500-600 euro al giorno. «Purtroppo non ci sono le condizioni per ripartire - spiega a La Nuova Venezia,
Claudio Vernier presidente dell’Associazione Piazza San Marco e titolare della gelatiera Al Todaro - personalmente ne ho approfittato per fare i lavori di
restauro, ma i costi della riapertura in questo momento sono insostenibili. Tenere aperto mi costa 2.500 euro al giorno, tra stipendi e spese vive, ma per coprire i costi totali dell’
azienda dovrei incassare 5mila euro al giorno. Certo, con l’apertura di Palazzo Ducale e del Museo Correr la piazza tornerà più accogliente, ma per ripartire abbiamo bisogno almeno della bella
stagione».
Insomma, avanti così si rischia di perdere ogni giorno sempre più terreno. Vero che i
conti della serve vanno fatti oggi più che mai, ma davvero uno sforzo non lo si può fare? Prima la motivazione era il colore della zona, poi i
weekend e ora la bella stagione. Avanti di questo passo si rischia di non
aprire più.
L'amarezza di Arrigo CiprianiArrigo Cipriani commenta polemico la riapertura il lunedì invece nel weekend, aspetto che comunque non gli ha fatto cambiare idea sull’apertura: il suo
Harry’s Bar ha riaperto i battenti. «Noi - precisa - abbiamo aperto perché la nostra missione è tenere aperto. Se siamo stati chiusi è perché abbiamo obbedito al governo. Avrei potuto riaprire
sabato: la Regione Veneto è stata dichiarata gialla venerdì pomeriggio, il governo lo stesso giorno ha fatto un Dpcm per riaprire
lunedì. Non riesco a capire cosa sia successo nel week-end, perché se eravamo gialli venerdì non lo eravamo anche sabato e
domenica. Le nostre associazioni non hanno reagito e di conseguenza ho aperto oggi, abbiamo fatto 40 coperti. Penso che se avessimo aperto sabato e domenica avremmo fatto almeno 100, 120 coperti. Sembra una
presa in giro».
Urge ribadire che il via libera sarebbe dovuto scattare domenica e non
lunedì, quindi si tratterebbe di un solo giorno di “
bonus”. A proposito di aperture e chiusure, in Laguna sei ristoranti su dieci non riapriranno. Tra questi c’è chi attende per vedere l’evoluzione della pandemia. Come il ristorante
Da Ivo sempre a Venezia: «Devo vedere se la situazione resta stabile - ha detto - e se c’è un po’ di movimento, l’importante è che ci facciano riaprire la sera perché a pranzo si lavora pochissimo. Ho anticipato la cassa integrazione ai miei
dipendenti e poi c’è l’affitto, che è stato ridotto solo del 20%».
La rabbia di Ernesto Pancin (Aepe)La situazione di Venezia merita una
riflessione più ampia perché la crisi è forse più nera che in altre
città d’arte e perché all’orizzonte di spiragli non se ne vedono. Il buio è dettato dal fatto che tre quarti del fatturato legato al
turismo (con tutto il suo indotto, ristorazione in primis) è legato a doppio filo al turismo estero. Ma in Italia al momento è addirittura impossibile spostarsi tra Regioni, figuriamoci se si può pensare adesso a
turisti che arrivano dall’altra parte del mondo.
Ernesto Pancin
E quindi? Che si fa? Si rischia di annegare del tutto. «Visto che la decisione era stata presa venerdì - spiega
Ernesto Pancin, direttore dell’Aepe - sinceramente ci aspettavamo di poter aprire già nel fine settimana. Ci vuole rispetto se si vogliono tutelare le imprese e i posti di lavoro. Certo, con l’obbligo di chiudere alle 18 resta un’apertura parziale, una goccia di
lavoro per gente che sta cercando con tutte le forze di sopravvivere. Se dallo Stato non arrivano aiuti le imprese chiudono e non riaprono più e per aiuti intendo quelli economici e quelli relativi alle decisioni su aperture e chiusure. Ora come ora è come rimanere chiusi, senza cena come fa un
ristorante a lavorare?».
La crisi generata dal
Covid ha portato alla luce un problema annoso della
Laguna, l’eccessiva offerta nel centro storico, soprattutto all’interno delle Calli e nei dintorni di piazza San Marco. Troppi i locali di bassissima qualità aperti, molti ridotti in condizioni poco igieniche già per gli standard pre-
Covid. Con il rispetto per il lavoro di tutti va detto che una selezione severa come quella in atto forse ci voleva per pensare di ripartire con maggior equilibrio. Anche perché se i prezzi apparentemente esagerati per un caffè al Florian, nel cuore di piazza San Marco può essere compreso, non può essere accettato uno
scontrino fuori mercato per una scadente cena in una calle nascosta della Laguna.
Forse il vero problema di Venezia (ma anche di altre città come Firenze o Roma) sta propria in questo
sovraffollamento (oltre mille locali tra bar e ristoranti solo nel centro storico) che genera scarsa qualità e una divisione della torta tra i ristoratori che non garantisce la sopravvivenza neanche in condizioni normali. In più sta anche in questo abuso di aperture il fenomeno di un turismo di
massa che negli ultimi anni aveva generato non pochi problemi di ordine pubblico e di rispetto del patrimonio storico-culturale della
Serenissima.
Forse si potrebbe pensare di cambiare stile e modificare il proprio
business. No, Pancin proprio non ci sta: «Come possiamo pensare di rivoluzionare in pochissimo tempo il nostro mercato? Ci aiutino le istituzioni piuttosto, noi senza gli arrivi degli
stranieri moriamo anche con un turismo interno che fa la sua parte consistente».
Ma attendere il turismo estero significa vivere in attesa e questa volta l’attesa conferma quel famoso detto nella drammatica versione veneta per cui “Chi vive sperando…” .
Daniele Minotto
Per il turismo si attende un altro anno neroVede nero anche
Daniele Minotto, vicedirettore dell’
Associazione albergatori veneziani: «Ci siamo già fatti un’idea di quello che sarà il
2021 - spiega - e non sarà diverso dal 2020 con
l’85% di fatturati in meno rispetto alla media. Una situazione che non si può sostenere se non attraverso aiuti statali e
sostegni strutturali, che ad ora mancano. Noi abbiamo bisogno di un piano serio di superamento della pandemia e di ripartenza
economica: il continuo valzer delle aperture e delle chiusure ci danneggia, non possiamo andare avanti ad esperimenti. Il 2021 non avrà una ripresa veloce, speriamo di recuperare qualcosa attraverso la campagna
vaccinale internazionale perché il 90% dei nostri ospiti arriva dall’estero. Purtroppo noi possiamo contare solo su di loro che tanto fanno bene anche a tutto ciò che riguarda l’
Italia perché, una volta tornati dal viaggio, continuano a cercare ed acquistare l’artigianato e l’enogastronomia
made in Italy. Il turismo interno? È in crescita, basti pensare che il 70% del totale dei turisti quest’estate veniva proprio dall’Italia, ma non basta. Abbiamo bisogno di
gente che si ferma da noi per alcune
notti, non per una gita in giornata che può beneficiare solo ai
pubblici esercizi».