L’attesa è finita. Su tutti i fronti. I ristoranti alle prese con le limitazioni imposte dalla lotta al coronavirus affrontano in ordine sparso il proprio futuro. Da chi chiede di anticipare le aperture per non perdere l’intero flusso del weekend a chi punta sulla tecnologia, passando per gli ostacoli burocratici dei bandi pubblici le soluzioni in attesa dell’aggiornamento delle zone colorate non mancano.
Da Roma a Milano non mancano le proposte per ripartire. Ma serve più velocità
Roma non aspetta la zona gialla«Fateci riaprire anche sabato, massimo domenica, visto che il Lazio dovrebbe tornare zona gialla». C’è
fretta di ripartire nelle parole di
Sergio Paolantoni, presidente di
Fipe-Confcommercio Lazio. La Regione, in zona arancione dal 17 gennaio, permette ai locali di operare solo tramite
asporto o
delivery.
Modelli ormai insostenibili. Tanto che le associazioni di categoria si sono rivolte a Prefetto e assessore allo Sviluppo economico regionale per chiedere la riapertura e una differenziazione degli orari. Sperando che presto arrivi anche il passaggio alla zona gialla (atteso per il weekend) e si faccia
chiarezza sui Ristori 5.
«Il nostro obiettivo è tenere aperti i ristoranti a pranzo e a cena facendo due
turni: il primo dalle 12 alle 15, il secondo dalle 19 alle 21.30. Aprire fino alle 18 è inutile. Non ho mai visto prendere uno spaghetto a quell’ora», ha spiegato Paolantoni al
Corriere della Sera. Una richiesta in linea con le richieste della Fipe nazionale che, insieme a Fiepet e i sindacati, ha posto lo stesso tema anche al ministro allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli
nell’incontro del 18 gennaio. Proposta poi ribadita anche nell’incontro con il Comitato tecnico scientifico tre giorni dopo.
Alla base, la disponibilità di accettare
protocolli più stringenti in cambio di una maggiore apertura in termini di operatività necessaria a
preservare la forza lavoro e le casse delle imprese. «Con Roma in zona arancione i locali hanno perduto 150 milioni di euro. Le aziende
non hanno più liquidità dopo che nel 2020 le perdite hanno raggiunto i due miliardi di euro solo nel Lazio», è stato il grido d’allarme del direttore di Fipe, Luciano Sbraga.
Emilia-Romagna, un aiuto a ostacoliChi prosegue sulla linea degli
aiuti è invece l’Emilia-Romagna. Il 20 gennaio la Regione ha pubblicato il bando per accedere a un fondo ristori di circa 21,3 milioni di euro (che arrivano a 40 milioni se si contano anche i fondi statali). Ma il processo di accesso sembra ancora da oliare.
Dopo le critiche dei giorni scorsi, però, ci ha provato Unioncamere a tranquillizzare gli animi: «Sappiamo bene che tali ristori rappresentano un contributo insuficiente a coprire le perdite di incassi e fatturato registrati dalle imprese. Il nostro impegno è volto ad accelerare il più possibile i tempi di erogazione dei contributi e di supportare le imprese con servizi, iniziative e interventi», ha commentato
Alberto Zambianchi, presidente di
Unioncamere Emilia-Romagna sulle pagine del
Resto del Carlino.
Milano pensa al futuro delle startupA proposito di servizi per le imprese, è la città di Milano quella che più di tutte ha deciso di farvi ricorso sostenendo le
startup del territorio con bandi per circa 10 milioni di euro nel 2021. Una cifra non indifferente a favore di chi, nonostante tutto, ha deciso di provarci. L’obiettivo è quello di continuare la promozione dei quartieri (negli ultimi otto anni i fondi messi a disposizione sono stati 45 milioni per la nascita e lo sviluppo di 1.392 imprese).
A partire dal
food. Diversi gli esempi: da
Bigoli Milano (pasta fresca veneta) a piazzale Cuoco, a
Fusto (laboratorio di pasticceria) in zona Loreto, passando per il fast food
Sberla e la birreria B
irra di Quartiere.