Arrigo Cipriani è un monumento nel mondo della ristorazione e il suo Harry’s Bar di Venezia, ereditato dal padre, uno di quei locali da leggenda che vanno oltre a ciò che viene servito. Ed è a questi nomi che bisogna rivolgersi oggi per capire dove stia andando la ristorazione, soprattutto in funzione della crisi legata al covid, forse resa tanto eclatante dal fatto che non proprio tutti gli addetti ai lavori erano pronti a reggere l’onda d’urto e hanno pure indebolito il mercato danneggiando anche i professionisti veri.
Arrigo Cipriani
Cipriani, in un’intervista-racconto rilasciata a
Repubblica, non usa mezzi termini per criticare i ristoranti stellati. «Per decenni - dice - gli italiani in giro per il mondo erano i migliori. Poi si sono rilassati e
hanno cominciato a imitare gli altri. Ricordo una scenetta una volta al Connaught di Londra. Una elegantissima signora veletta e guanti lunghi esce dall’ascensore, condotto da un gigantesco liftboy, credo fosse l’ex re della Mauritania. Ma all’uscita non c’è nessuno ad aprire la porta. Si precipita il direttore dell’albergo, ma la Lady esce prima che lui le faccia strada: ‘Too late’, dice, allontanandosi verso la limousine che la attende. Vedi, questa disattenzione la trovo un errore imperdonabile. A noi le distrazioni non sono permesse. Nello stesso modo, tanti cuochi si sono rilassati e sdraiati sulla Francia. Ecco, si sono francesizzati tradendo le nostre radici. Ma non può funzionare ancora a lungo. Già negli ultimi tre-quattro anni è cambiata. Spariranno tutti, stellati e stellatini».
Il richiamo è ad una reale riscoperta dei
valori tradizionali della cucina, senza bleffare: «Intendiamoci - dice Cipriani - l’Italia è piena di professionisti, ma non andremo da nessuna parte finché non si renderanno tutti conto che il nostro unico vero modello resta la Trattoria! E che la nostra forza è l’accoglienza! Basta con questi enormi bicchieri dove fan roteare pericolosamente il vino. E basta con questi
insopportabili “menu dégustation”. Invece la nostra tavola, la trattoria, è libertà! Libertà di scegliere, cosa di cui questi chef non hanno idea. L’ho già detto, di gente brava ne abbiamo in quantità. Qui in Veneto, tra Padova e Venezia apprezzo il lavoro degli Alajmo, seri e grandi professionisti. Nulla a che vedere con uno come Cannavacciuolo che ha scritto più libri di Proust. Nel mondo noi abbiamo venticinque Cipriani, eppure io non ho chef, ho cuochi. Pensa che un giorno ho scoperto che uno dei nostri cuochi a New York era andato in televisione: l’ho licenziato».
Cipriani è uno che il mondo l’ha girato, lo conosce e l’ha accolto nel suo locale. Ma è viscerale il rapporto con Venezia e con i “suoi” clienti: «Tratto i clienti come i re e i re come i clienti. Tutti allo stesso modo e tutti – soprattutto le persone importanti – vogliono essere trattati così, senza privilegi».