Con la pandemia in corso e il turismo in ginocchio, operatori "opportunisti" sono pronti ad investire in situazioni lesionate dalla crisi. Tuttavia, emerge da una ricerca di We-Wealth su dati raccolti dall'ufficio Studi di idealista, il numero di strutture in vendita nel settore alberghiero è stabile, in linea rispetto all'inizio dell'anno (quindi, prima della crisi del settore). Attualmente sono 586 le strutture in vendita, appena l'1% in meno rispetto a febbraio, quando il numero di hotel alla ricerca di un nuovo proprietario ammontava a 591. Una spiegazione è fornita da Roberto Necci, presidente del centro studi di Federalberghi Roma: «Oggi le aziende non hanno la convenienza a essere valorizzate perché il mercato guarda tutto ciò che ha per oggetto il prodotto turistico con estremo scetticismo, e quindi si rischierebbe di venderle a prezzo di sconto. A differenza di un anno fa, le strutture sono valutate anche il 50% in meno».
Il numero di alberghi in vendita da febbraio è quasi invariato
Al momento quindi non c'è convenienza a procedere con la vendita, è meglio attendere tempi migliori. Dopo aver provato a dismettere le strutture (quindi, a venderle sul mercato) ci si è resi conto della
staticità di questo, e le aziende hanno subito
ritirato le loro proposte di vendita.
Attualmente le regioni dove si concentrano maggiormente le strutture in vendita sono il
Veneto (79), la
Toscana (76) e il
Lazio (71), poi l'Emilia Romagna (67) e la Lombardia (54), per un valore complessivo che supera i 2,3 miliardi di euro.
«In assenza di aiuti e di interventi da parte dello Stato, difficilmente molte aziende potranno comunque riaprire - spiega Necci, commentando la
situazione del settore turistico-alberghiero, fra i vari comparti dell'economia quello più colpito dalla crisi - Del resto nelle principali città d'arte italiane l'incidenza dei
flussi turistici internazionali sul fatturato super abbondantemente il 70%, con picchi intorno al 90% in alcuni mesi dell'anno.
Flussi totalmente azzerati da marzo 2020: dalle rilevazioni dell'Ebtl riprese dalla Banca d'Italia si sono riscontrate
diminuzioni di arrivi internazionali superiori al 90%. Diminuzioni che hanno riguardato i bacini a più alta capacità di spesa (americani, giapponesi, tedeschi e inglesi)».
«Un vero dramma per le aziende - prosegue il presidente del centro studi di Federalberghi in una dichiarazione a We-Wealth - e conseguentemente per i lavoratori, che da sempre dipendono dai flussi che il nostro Paese è in grado di intercettare dall'estero».
A completare questo drammatico caso ci sono le aziende ferme da quasi un anno e i lavoratori assistiti da
ammortizzatori sociali che vengono erogati
in misura decisamente limitata rispetto alle normali retribuzioni, e con
scadenze non sempre puntuali.