L'ultima grande speranza è che sia un 2020 col dulcis in fundo. Che poi significherebbe salvare il Natale, come ha detto il premier Giuseppe Conte. Ma per il mondo della pasticceria il concetto ha un valore diverso, più cruciale: dalle festività di fine anno dipende il bilancio di tutte le aziende. Ecco perché, pur essendo coinvolte meno direttamente dalla chiusura alle 18 rispetto ai ristoranti, le imprese di questo comparto hanno il destino incrociato con gli effetti che avrà il nuovo Dpcm sul contenimento della seconda ondata di coronavirus.
I pasticceri sperano di salvare gli affari di Natale
ERNST KNAM
«DOVEVANO CHIUDERE TUTTO PRIMA E PER TRE SETTIMANE»
Basterà il semi-lockdown, come è già stato ribattezzato, a salvare salute ed economia? Secondo il pasticcere Ernst Knam no: «Dovevano chiudere tutto sei settimane fa e per tre settimane. Non saremmo arrivati a questo punto», dice a Italia a Tavola. «Cosa cambia per me ora? Io sono più fortunato perché non ho il bar e poi possiamo fare molto delivery». Anche se lasciare aperto rappresenta pur sempre un piccolo controsenso: «Così invoglio le persone a uscire di casa. Dentro il locale stiamo facendo entrare due persone per volta, normalmente invece ce ne stavano 20. Fuori quindi si creano lunghe file, ma devo dire che di solito sono tutti attenti».
«RIDICOLA UNA SOLA LEGGE PER TUTTA LA RISTORAZIONE»
I più colpiti dalle restrizioni sono stati i ristoranti. E Knam ha una ricetta anche per salvare i suoi colleghi chef: «Una legge che impone le chiusure a tutta la ristorazione è ridicola. Negli stellati ci sono grandi distanze tra un tavolo e l’altro, servivano provvedimenti diversi per le varie categorie. Andando a vedere se i locali medio-piccoli avevano rispettato le regole o no».
Ernst Knam
«HO 32 DIPENDENTI, NESSUNO È STATO LICENZIATO»
Ora la grande incognita è proprio quel 25 dicembre segnato con un circoletto rosso: «Noi dobbiamo organizzarci prima, e abbiamo in numeri dell’anno scorso: ma quanto produco? Per ora sono molto cauto. Siamo 32 dipendenti, non ho licenziato nessuno, applicando il meno possibile la cassa integrazione. Una delle chiavi è stata puntare forte sulle consegne a domicilio, siamo riusciti a vendere tutto quello fatto per Pasqua. Facevamo fino a 150 consegne al giorno a Milano, con due persone».
«RIMEDI ANTI-CRISI? POTENZIARE LO SHOP ONLINE»
Soluzioni per sopravvivere? «Ho potenziato lo shop online e appena ingaggiato due nuove persone, solo l’unico che invece di licenziare assume. Il lavoro c’è, io penso sempre positivo. Ma chi ci garantisce che queste restrizioni porteranno dei risultati concreti? Comincio ad avere dei dubbi».
GINO FABBRI
«ALLE 18 IL 90% DEL NOSTRO LAVORO È GIÀ FATTO»
Le stesse ombre sul futuro che vede Gino Fabbri, il maestro di pasticceria di Bologna: «C’è un malessere psicologico che influisce moltissimo, anche se il provvedimento della chiusura alle 18 in sé e per sé ci tocca poco, perché a quell’ora una pasticceria ha fatto il 90% del lavoro giornaliero e del fatturato».
CHIUSI A PRANZO PER SOLIDARIETÀ VERSO I RISTORANTI
Di certo non si può dire la stessa cosa per i ristoratori. E infatti Fabbri «per solidarietà e aiuto nei confronti dei colleghi» ha deciso di tenere chiuso il suo locale "La Caramella”, che fa anche la parte del “salato”, in pausa pranzo, dalle 13 alle 15.30. «A me e alle mie figlie non sembrava giusto fare concorrenza a chi è in difficoltà e rischia di fallire». Chapeau.
Gino Fabbri
«SUBENTRA LA PAURA E CAMBIA IL MODO DI FARE ACQUISTI»
Anche la sua pasticceria ha comunque trascorso un annus horribilis: «Quando abbiamo riaperto dopo il lockdown di primavera avevamo il 20% del fatturato che facevamo prima. La gente cambia abitudini e modo di fare acquisti, subentra paura e mancanza di sicurezza. Adesso sta succedendo di nuovo».
«SIAMO UN MERCATO CHE VALE IL DOPPIO DELLA MECCANICA»
In un momento così non resta che fare squadra: «Ristorazione e pasticceria sono parte dello stesso mondo, altro che settori diversi! Dovremmo avere maggiore voce in capitolo e farci sentire con le istituzioni, perché siamo un mercato che vale il doppio rispetto alla meccanica».
«IL FATTURATO DI DICEMBRE? TRE VOLTE QUELLO DEGLI ALTRI MESI»
Ora, dopo un 2020 che per Fabbri si traduce già adesso in un «meno 30-40% se tutto va bene», bisogna aggrapparsi al tanto agognato Natale: «Se ci venisse a mancare potremmo anche… non dico dire addio all’azienda, ma quasi. Abbiamo 14 dipendenti e 14 famiglie a carico, il fatturato a dicembre è tre volte quello dei mesi normali. I costi incredibili che dobbiamo sostenere riusciamo ad ammortizzarli solo grazie alle vendite di Natale». Ecco perché sotto l’albero è fondamentale non trovare nessun lockdown.
ROBERTO LESTANI (FIPGC)
«MEGLIO CHIUDERE UN MESE E SALVARE LE FESTIVITÀ»
Al di là delle singole aziende, una visione più di insieme è quella tracciata dalle associazioni. Roberto Lestani, presidente della Federazione internazionale pasticceria gelateria cioccolateria (Fipgc), non se la sente di dare addosso al governo: «Non vorrei trovarmi nei panni di chi deve decidere in questa situazione così anomala», dice a Iat. La linea di molti pasticceri sembra essere chiara e comune: preferiamo chiudere un mese ora e salvare le festività.
Roberto Lestani
«DANNI DALLO STOP A COMUNIONI, CRESIME E MATRIMONI»
Lestani spesso riceve telefonate disperate dai suoi associati: «Uno addirittura piangeva, ho ancora i brividi a raccontarglielo. Gli ho solo detto che siamo tutti sulla stessa barca e che l’unica cosa da fare è pregare». Lasciando stare i santi, più pragmaticamente però servirebbe un sostegno economico: «Anche perché molti pasticceri sono stati danneggiati dall’annullamento degli eventi come comunioni, cresime e matrimoni, che ha portato via un sacco di lavoro».
ANGELO MUSOLINO (CONPAIT)
«SIAMO PRONTI ANCHE NOI A SCENDERE IN PIAZZA»
La preoccupazione di molti titolari, con famiglie sulle spalle, è quella di essere costretti a licenziare. Ma prima occorre far sentire la propria voce, manifestando pacificamente. È quello che sta organizzando la Confederazione dei pasticceri italiani (Conpait), come ci ha raccontato il presidente Angelo Musolino: «Siamo pronti a scendere in piazza per chiedere gli aiuti di Stato. Le persone cominciano a stare a casa se non devono svolgere attività essenziali, quindi abbiamo difficoltà anche noi come i ristoratori, perché non c’è l’utenza».
Angelo Musolino
APPUNTAMENTO A REGGIO CALABRIA CON 200 IMPRESE
L’appuntamento allora è per il weekend di fine ottobre o al massimo per l’inizio della prima settimana di novembre a Reggio Calabria: l’idea è di portare delle sedie vuote in strada, con le chiavi delle aziende e il numero dei dipendenti. Tutti in giacca da lavoro, nel rispetto delle norme di sicurezza: «Saremo sicuramente più di 200 imprese e andremo dal prefetto dove consegneremo simbolicamente le chiavi delle attività», spiega Musolino. Nella speranza che i contributi a fondo perduto annunciati dal governo non restino soltanto una promessa.