Le piccole botteghe e i negozi di vicinato stanno viaggiando a passo spedito verso il baratro, portando con sé non soltanto il lavoro di molte famiglie, ma anche sgretolando il già fragile tessuto urbano e sociale dei piccoli centri, dove le botteghe sono spesso le uniche a garantire l'accessibilità ai beni primari delle fasce più fragili della popolazione.
A tracciare in maniera dettagliata un quadro purtroppo drammatico è l'ultimo Report sulla chiusura degli esercizi di vicinato, realizzato da Confesercenti e Federconsumatori, che riassume l'andamento delle attività di prossimità prima e dopo il Covid e si lancia in una previsione che sa di oscuro presagio. Da qui al 2025 saranno più di diecimila i negozi di vicinato a dover abbassare la serranda.
Una crisi che ha radici profonde
La crisi del commercio di prossimità non è di certo notizia di questi giorni e l'analisi del Report non fa altro che confermarlo. Dal 2009 al 2019 hanno chiuso 208.000 negozi artigiani e piccole botteghe. Questo ha portato alla perdita del posto di lavoro per circa 520.000 addetti. Un dato che assume ancor di più contorni critici se si prende in considerazione che la maggior parte delle attività sono a conduzione famigliare e chiuderle significa lasciare interi nuclei senza la loro unica fonte di reddito.
Al Sud chiudono più botteghe
Gli ultimi dati disponibili, aggiornati a giugno dello scorso anno, dicono che sono le piccole attività di vicinato del Sud e delle isole a soffrire di più. In un anno hanno chiuso in 1.826, mentre al centro in 520 e al Nord 967. Maglia nera di questa particolare classifica è la Campania con ben 531 esercizi chiusi, seguita dalla Sicilia con 422 e dalla Puglia con 385.
Il Covid e l'impatto "positivo" sui negozi alimentari
La pandemia, come in molti altri settori, ha completamente cambiato l'andamento delle cose. In questo caso, sono state le botteghe alimentari a trarne vantaggio. La chiusura totale per lunghi periodi di bar e ristoranti e l'obbligo di lavoro da casa per molti ha per forza di cose variato le abitudini dei consumatori e fatto segnare un aumento del 9,2% delle spese domestiche per i prodotti alimentari.
Le previsioni negative per il 2025
Come detto il Covid è al momento una variabile impazzita ed è pertanto difficile comprendere quale traiettoria seguiranno i consumi nei prossimi anni. Il Report però contiene una proiezione al 2025 che conferma, purtroppo, la strada che sembrano ormai aver intrapreso i negozi di vicinato, quella verso il baratro. Si stimano infatti nei prossimi tre anni almeno 10.503 chiusure di esercizi commerciali di prossimità. A pagare il prezzo più caro saranno, sempre secondo le previsioni, le macellerie. Potrebbero chiuderne più di 7.000, mentre, pur in misura ridotta, non se la passeranno bene nemmeno i rivenditori di frutta e verdura (quasi 900 chiusure) e i panifici (più di 250).
L'esempio di Bergamo
A Bergamo e provincia, territorio emblematico perché molto ampio e popoloso ma anche caratterizzato da valli profonde e puntellate da borghi di dimensioni ridotte, da gennaio a dicembre 2021, le chiusure di negozi di prodotti alimentari, bevande e tabacco sono state 61 su 1.269 attività, dato che si aggiunge al già esiguo rapporto fra negozi alimentari di vicinato e numero di abitanti in tutta la provincia.
«Siamo molto preoccupati, anche se non sorpresi, dalle prospettive indicate da questa ricerca - ha sottolineato il presidente orobico di Confesercenti Antonio Terzi - Il commercio è investito da una “tempesta perfetta”, nella quale alla pandemia si aggiunge anche l’esplosione dei costi energetici e burocratici».
Il passato e il futuro
Tra i tanti, c'è un dato particolarmente emblematico. Nei diciotto mesi tra il gennaio 2018 e il giugno 2019 hanno chiuso i battenti 3.313 esercizi di vicinato. Il 73% di questi si trovava fuori dai grandi centri abitati, in piccole realtà locali, e, approfondendo ancora, il 5,3% era in comuni montani, interessati da un fenomeno di spopolamento progressivo e costante. Questo numero segna un'emergenza che va oltre l'aspetto economico, ma tocca profondamente anche quello sociale. Un centro urbano privo di un negozio di alimentari è destinato gradualmente a spopolarsi, perché privo di un servizio e di un luogo di incontro e condivisione. Federconsumatori e Confcommercio hanno più volte lanciato l'allarme e chiesto interventi legislativi mirati a evitare la desertificazione. I numeri dicono che è il momento di intervenire.