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Lombardia, vade retro zona rossa! Dati vecchi e guai per i ristoratori

La Regione non vuole essere inserita nella zona più a rischio contagio: «Decisione presa guardando una situazione epidemiologica passata». Per 51mila locali sarebbe una perdita di 1 miliardo di fatturato. Anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala si è detto contrario, assicurando però che la città rispetterà le disposizioni.

04 novembre 2020 | 12:30
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Dati vecchi e guai per i ristoratori
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Dati vecchi e guai per i ristoratori

Lombardia, vade retro zona rossa! Dati vecchi e guai per i ristoratori

La Regione non vuole essere inserita nella zona più a rischio contagio: «Decisione presa guardando una situazione epidemiologica passata». Per 51mila locali sarebbe una perdita di 1 miliardo di fatturato. Anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala si è detto contrario, assicurando però che la città rispetterà le disposizioni.

04 novembre 2020 | 12:30
 

La Lombardia non vuole fermarsi al semaforo rosso. Quello della zona più ad alto rischio di contagio da coronavirus, dove l’indice Rt ha superato quota 2: è il caso cioè in cui mediamente un singolo positivo infetterà oltre due persone.

Per questa categoria di regioni - in cui ci sono almeno anche Piemonte e Campania, ma altre restano sotto osservazione - il nuovo Dpcm prevede una sorta di semi-lockdown, con bar e ristoranti chiusi totalmente, anche a pranzo. Ma il governatore Attilio Fontana si è ribellato alla decisione del governo.


La Lombardia contesta l'inserimento nella zona rossa - Lombardia, vade retro zona rossa!Dati vecchi e guai per i ristoratori
La Lombardia contesta l'inserimento nella zona rossa

Disastro per 51mila tra ristoranti, bar e pizzerie
Il comparto della ristorazione parla di disastro economico, e stando alle stime della Coldiretti regionale l’effetto della chiusura fino al 3 dicembre comporterebbe una perdita di fatturato di almeno un miliardo di euro. A tirare giù le serrande e cercare di sopravvivere solo con asporto e consegne a domicilio sarebbero 51mila tra ristoranti, bar e pizzerie situati in Lombardia.

Del resto si parla della regione italiana con il maggior numero di locali per il consumo di cibo e bevande fuori casa. A livello provinciale il primo territorio è quello di Milano, con oltre 18mila esercizi, poi seguono Brescia con circa 7mila, Bergamo con più di 5mila, Varese con quasi 4mila locali, Monza e Brianza oltre 3mila, Pavia e Como con circa 3mila, Mantova con 2mila, Cremona con 1.700, Lecco con circa 1.400, Sondrio con 1.100 e infine Lodi con poco meno di mille esercizi dedicati alla ristorazione.

Effetti a catena su tutta la filiera agroalimentare
Ovviamente gli effetti di questa specie di lockdown che riguarderà 10 milioni di cittadini lombardi - per molti dei quali è già partita la fuga verso le seconde case in montagna, dove potranno lavorare in smart working - si faranno sentire a cascata sull’intera filiera agroalimentare, con disdette di ordini per le forniture di molti prodotti che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco.

A preoccupare la Coldiretti sono anche le limitazioni a carico delle aziende agrituristiche che si trovano in grande difficoltà in questo 2020 per le misure di contenimento già adottate e il crollo del turismo. Ecco perché servirebbe un immediato sostegno economico lungo tutta la filiera per salvare l’economia e l’occupazione in un settore chiave del Made in Italy.

La Regione voleva misure omogenee: e i dati sono vecchi
Quel che è certo è che a livello politico la Lombardia, assieme alle altre Regioni, aveva chiesto misure omogenee per tutto il territorio nazionale. Anche perché poi, se si aggiungono anche le ulteriori restrizioni che i governatori potrebbero dover applicare a singole zone urbane dentro i loro territori, ecco che questa divisione della cartina d’Italia per colori diventa complicata da gestire.

Uno dei grandi nodi alla base della contestazione delle regioni è quello dei dati utilizzati per la decisione dei diversi livelli di chiusure. La Lombardia ritiene che, siccome le ultime restrizioni sono state introdotto giovedì 22 ottobre (parliamo dell’ordinanza del coprifuoco alle 23), bisogna aspettare almeno due settimane, che scadono il 5 novembre, per valutare il reale impatto delle misure in vigore e poi decidere qual è la fascia corretta - rossa, arancione o verde - in cui essere inserita.

Secondo l’assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera «i dati che ha il governo sono precedenti all’introduzione delle nostre misure, quindi bisognerebbe attendere i nuovi dati per fare una valutazione sulla base delle misure assunte, anche per dare un senso ai cittadini, e far capire loro che se quello che hanno fatto è positivo, o non lo è del tutto, e quindi dobbiamo inasprire».

Da Milano Sala pronto a battersi per i ristori
Anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala si era detto contrario a un lockdown troppo pesante. Ma comunque ha parlato di «decisioni del governo che vanno rispettate e applicate. La tutela della salute dei cittadini è il primo bene da proteggere e noi continueremo a lavorare perché queste disposizioni siano osservate da tutti i milanesi».

Resta il fatto che si tratta «certamente di misure severe. Milano anche stavolta rispetterà le decisioni del governo e lavorerà unita per uscire al più presto da questa difficile situazione. Ogni giorno da Palazzo Marino mi assicurerò che ciò avvenga».

Uno dei punti cruciali resta quello del ristoro per dare tregua ai conti in rosso di molte attività. Sala ha promesso di battersi «affinché gli aiuti a favore di tutte le categorie penalizzate dalla chiusura vengano immediatamente erogati. Per questo sono pronto da subito a farmi portavoce delle loro istanze in tutte le opportune sedi». I ristoratori, in primis, attendono.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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