Le accuse dell’ex Ministro Pier Luigi Bersani sul lavoro nero che circola nel mondo della ristorazione continuano a far discutere. Il suo intervento televisivo nel quale ha spiegato che non se la sente di sostenere bar e ristoranti considerando che «non siamo in un Paese di fedeltà fiscale» non è certo passato inosservato e le prime reazioni erano già arrivate a caldo dagli addetti ai lavori. Reazioni più che mai lecite sia per il tipo di accuse che, ancor di più, per la tempistica completamente inopportuna. In un articolo nel quale come Italia a Tavola abbiamo contestato questa uscita, l’amministratore delegato di Fipe, Roberto Calugi aveva osservato: «Qui probabilmente occorre che la mano sinistra si metta d’accordo con la mano destra. Ormai in questo Paese esiste tutta una serie di controlli e adempimenti che permette allo Stato di avere precisa contezza dei livelli di fatturato delle aziende».
Aldo Cursano e Samuele Bersani
A sostenere ulteriormente questa posizione di contrasto sono arrivate anche le parole di
Aldo Cursano, vicepresidente vicario della
Fipe: «Le parole di Bersani - ha detto - hanno fatto più
male alla categoria dei ristoratori di quanto abbia fatto il coronavirus. Non tanto e non solo perché dimostrano un retro pensiero superficiale e falso, ma soprattutto perché nascondono la voglia di una certa
politica di dividere tra imprese di serie A, che meritano di essere salvate, e imprese che possono essere lasciate morire. Non intendiamo accettare questa logica vergognosa e pretendiamo le
scuse pubbliche immediate da parte dell’ex ministro Bersani che, è bene non dimenticarlo, con le sue riforme ha contribuito a penalizzare le realtà più piccole, cambiando il volto dei centri storici delle nostre città».
Cursano ora esige delle scuse e ricorda la
situazione drammatica nella quale versano i ristoratori: «Bersani - precisa - si dovrebbe scusare per queste parole, pronunciate in un momento in cui ci sono 400mila
lavoratori dei pubblici esercizi a casa in cassa integrazione e il rischio concreto che
entro fine anno muoiano 50mila imprese. Non per colpa del
virus, ma per la mancanza di un’adeguata copertura finanziaria necessaria a compensare le perdite delle
imprese. Perché una cosa deve essere chiara: il
governo ha il diritto di attivare le
restrizioni che ritiene necessarie, ma non quello di scaricare i costi solo sui privati”.
Dopo le
difese, il vicepresidente chiude rilanciando: «Il settore dei
pubblici esercizi, in barba ai luoghi comuni di Bersani - conclude Cursano - ha contribuito a tenere in piedi il
sistema fiscale del Paese e ora chiediamo solo che un po’ di quanto abbiamo dato ci venga restituito per permetterci di sopravvivere. Il nostro settore conta 1,3 milioni di lavoratori, in larga maggioranza donne, e crea un valore aggiunto di oltre 90 miliardi di euro l’anno e merita qualcosa di più delle livorose parole di Bersani».