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Cibo e vino, più export che import. Ma senza ristoranti consumi giù

Nel 2020 le esportazioni hanno raggiunto i 46 miliardi di euro di valore contro i 43 delle importazioni. Buone notizie per l'agroalimentare italiano, ma con la chiusura della ristorazione troppa merce invenduta

 
01 aprile 2021 | 13:07

Cibo e vino, più export che import. Ma senza ristoranti consumi giù

Nel 2020 le esportazioni hanno raggiunto i 46 miliardi di euro di valore contro i 43 delle importazioni. Buone notizie per l'agroalimentare italiano, ma con la chiusura della ristorazione troppa merce invenduta

01 aprile 2021 | 13:07
 

Per la prima volta le esportazioni agroalimentari italiane superano le importazioni. Una condizione che risente probabilmente della pandemia mondiale e che pone le condizioni per far crescere il Made in Italy riducendo una dipendenza dall’estero (paradossale): fuori dai confini arriva ancora un prodotto agroalimentare su quattro. Ora però il mercato impone una riflessione perché, a fronte di una tendenza positiva, c’è il problema di oltre 1 milione di tonnellate di cibo e vino invenduto, sempre a causa della pandemia. Motivo in più che dovrebbe portare il Governo a valutare con più ampio respiro l'importanza di dare ossigeno alla ristorazione consentendo ai locali di aprire con maggior frequenza e libertà.

L'export supera l'import nel 2020 Made in Italy, più export che import Ma a cibo e vino servono i ristoranti

L'export supera l'import nel 2020

Oltre 46 miliardi di esportazioni

I dati sul rapporto import/export sono firmati Istat e sono stati presentati in occasione del Summit della Coldiretti con il Governo “Recovery Food, l’Italia riparte dal cibo” organizzato con Filiera Italia a Palazzo Rospigliosi a Roma. Le esportazioni agroalimentari nel 2020 hanno raggiunto il valore record di 46,1 miliardi con un aumento dell’1,7% rispetto all’anno precedente che ha consentito lo storico sorpasso sulle importazioni che sono invece scese a 43 miliardi.
 
Una svolta che offre grandi opportunità al Made in Italy dopo che a causa di decenni di sottovalutazione l’Italia ha accumulato un deficit produttivo di autoapprovvigionamento pari al 25% dei consumi a tavola, dalla carne al latte fino ai cereali e fatta eccezione solo per vino, frutta e carni avicole.
 
Con la pandemia da Covid si è aperto uno scenario di riduzione degli scambi commerciali, accaparramenti, speculazioni e incertezza che spinge la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l’alimentazione delle popolazione. Una situazione che ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale ai massimi da quasi sette anni trainati dalle quotazioni di zucchero, oli vegetali e cereali secondo l’indice Fao. I timori sugli approvvigionamenti di cibo hanno convinto la stessa Unione Europea a lanciare una consultazione pubblica fra operatori, autorità e cittadini per realizzare un piano finalizzato a conquistare l’autosufficienza in diversi settori chiave.

La forza del Sistema Italia

A difesa della sovranità alimentare dell’Unione l’Italia può schierare una forza composta da quasi 740mila imprese agricole che insieme a 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio generano 538 miliardi di valore lungo la filiera e garantiscono 3,6 milioni di posti di lavoro.
 
«L’Italia - afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini - conta su un tesoro da primato mondiale ma per difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall’estero deve considerare il settore agroalimentare come vera e propria risorsa strategica al pari di telecomunicazioni ed energia. Sarà importante tagliare la burocrazia che frena le imprese e investire su progetti di ampio respiro in grado di mettere le ali al Paese fuori dall’emergenza Covid».

Cibo e vino invenduti, colpa delle chiusure

Il capitolo relativo al cibo e al vino invenduto e così complicato da gestire ha un forte legame con la chiusura delle attività come ristoranti, bar, alberghi. Con le misure anti Covid previste dall’ultimo decreto per tutto il mese di aprile (i tre giorni di Pasqua in zona rossa costano 1,7 miliardi ai 360mila ristoranti, bar, pizzerie ed agriturismi di tutta Italia) salgono a 1,1 milioni di tonnellate i cibi e i vini invenduti dall’inizio della pandemia per i crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi che travolge a valanga interi settori dell’agroalimentare Made in Italy. Emerge dal primo bilancio della Coldiretti sull’impatto sulla filiera agroalimentare delle chiusure decise dal Consiglio dei Ministri diffuso in occasione del Summit della Coldiretti con il Governo “Recovery ‘Food’, l’Italia riparte dal cibo” organizzato con Filiera Italia a Palazzo Rospigliosi a Roma.
 
Al danno economico ed occupazionale si aggiunge il rischio di estinzione per oltre 5mila specialità dell’enogastronomia locale, dai formaggi ai salumi fino ai dolci, per la mancanza di sbocchi di mercato per l’assenza di turisti e la chiusura di ristoranti e agriturismi dove le tradizioni dai campi alla tavola sono tramandate da secoli. In pericolo con la pandemia c’è anche il primato nazionale della biodiversità conquistato dall’Italia in Europa, come ha dimostrato il primo salone su “I tesori dei borghi d’Italia” da salvare dalla crisi Covid realizzato dalla Coldiretti. Un patrimonio storico e ambientale ma anche economico che offre opportunità di occupazione a decine di migliaia di famiglie in aree interne spesso senza reali alternative.
 
Si stima che 330mila tonnellate di carne bovina, 270mila tonnellate di pesce e frutti di mare e circa 220 milioni di bottiglie di vino non siano mai arrivati nell’ultimo anno sulle tavole dei locali costretti ad un logorante stop and go senza la possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili. Numeri dietro i quali ci sono decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori.

Le cause del crollo

Chiusure forzate, limitazioni negli orari di apertura, divieti agli spostamenti, drastico calo delle presenze turistiche e la diffusione capillare dello smart working hanno devastato i bilanci dei servizi di ristorazione e tagliato drammaticamente i livelli occupazionali ma le conseguenze si fanno anche sentire direttamente sui fornitori.
 
La drastica riduzione dell’attività pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato ma ad essere stati più colpiti sono i prodotti di alta gamma dal vino ai salumi fino ai formaggi.
 
L’aumento della spesa alimentare delle famiglie italiane del 7,4% nel 2020 per il maggior tempo trascorso a casa non ha purtroppo compensato il crack che si è verificato nella ristorazione con il dimezzamento del volume di affari (- 48%) con il risultato che i consumi alimentari degli italiani che nel 2020 scendono al minimo da almeno un decennio con un crack senza precedenti da 30 miliardi, secondo analisi Coldiretti su dati Ismea.
 
Nell’attività di ristorazione sono coinvolti circa 360mila tra bar, mense, ristoranti e agriturismi nella Penisola ma le difficoltà si trasferiscono a cascata sulle 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro. Si tratta di difendere la prima ricchezza del Paese con la filiera agroalimentare nazionale che vale 538 miliardi pari al 25% del Pil nazionale ma è anche una realtà da primato per qualità, sicurezza e varietà a livello internazionale.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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