Via stress, fumo e grassi per ridurre il rischio di infarto
Si tratta della necrosi di parte del tessuto cardiaco che può essere limitata curando l’alimentazione, smettendo di fumare e impostando uno stile di vita sano. In ogni caso determinante è la diagnosi precoce
05 agosto 2020 | 12:30
Si parla di infarto del miocardio in presenza di una necrosi di parte del tessuto cardiaco dovuta a un’ostruzione di una delle arterie coronariche, deputate a rifornire il cuore di sangue ossigenato. L’ostruzione, che può essere parziale o totale, è spesso dovuta a un accumulo di grasso, colesterolo o altre sostanze che forma una placca nelle arterie (aterosclerosi) che si rompe e determina una trombosi interrompendo il flusso di sangue e causando così la morte (necrosi) del tessuto. Ci sono segnali a cui prestare attenzione e come si interviene in caso di infarto? Ne hanno parlato Bernhard Reimers, responsabile di Cardiologia clinica e interventistica e Giulio Stefanini, cardiologo e docente di Humanitas University in un articolo pubblicato su Humanitasalute che qui riportiamo integralmente.
La sintomatologia legata all’infarto del miocardio è variabile: non tutti i pazienti riferiscono gli stessi sintomi o li avvertono alla stessa intensità; in altri casi, l’infarto può essere asintomatico e in altri casi ancora il primo segnale di infarto è un arresto cardiaco improvviso. La manifestazione più tipica dell’infarto è una sensazione di peso o dolore al petto che dura più di dieci minuti. Il dolore può estendersi dal petto a uno o entrambe le braccia e può irradiarsi anche al collo, alla mascella e alla schiena. Inoltre il dolore al petto può essere associato a nausea, bruciore di stomaco o dolore addominale, fiato corto, stanchezza, sudorazione fredda, stordimento o vertigini. Nella maggior parte dei casi la comparsa dei sintomi dell’infarto è improvvisa, ma possono anche esservi segnali di avviso nel corso delle ore, dei giorni o delle settimane precedenti; ne sono un esempio un dolore al petto ricorrente o una sensazione di pressione (detta angina pectoris) che è scatenata dal movimento e che si risolve a riposo. L’angina è dovuta a una diminuzione temporanea di flusso sanguigno al cuore, una condizione che però non è così prolungata da condurre alla necrosi del tessuto.
In caso di infarto è fondamentale intervenire tempestivamente perché un accesso tardivo del paziente a cure adeguate aumenta il rischio di mortalità. Alcuni fattori, distinti in modificabili e non modificabili, possono esporre a un maggior rischio di aterosclerosi e di infarto. Sono fattori non modificabili l’aumentare dell’età, il sesso (in età giovanile e matura il rischio è maggiore negli uomini, ma dopo la menopausa femminile il rischio è lo stesso nei due sessi) e la familiarità (casi di infarto in famiglia espongono a un maggior rischio, soprattutto se occorsi dai 55 anni negli uomini e dai 65 nelle donne). Sono invece fattori di rischio modificabili il vizio del fumo, l’ipertensione arteriosa (che danneggia le arterie), alti livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo che restringe le arterie) o di trigliceridi, il diabete (l’eccesso di glucosio nel sangue danneggia le arterie e favorisce l’aterosclerosi), l’obesità (che è associata ad alti livelli di colesterolo e di trigliceridi, ipertensione e diabete), la sindrome metabolica (un quadro che include obesità, diabete e ipertensione), la sedentarietà (la mancanza di attività fisica contribuisce a innalzare i livelli di colesterolo ed espone al rischio di aumento corporeo), lo stress e l’uso di sostanze stupefacenti.
In genere, la diagnosi di infarto viene effettuata alla luce dei sintomi riferiti dal paziente. L’esecuzione di un elettrocardiogramma, un esame che registra l’attività elettrica del cuore, permette di confermare o escludere l’infarto poiché il muscolo cardiaco danneggiato presenta un’alterazione nella conduzione degli impulsi elettrici. Inoltre attraverso gli esami del sangue poi si accerta la presenza degli enzimi cardiaci, sostanze rilasciate nel sangue dalle cellule del muscolo cardiaco che sono andate incontro a necrosi. Può talvolta essere utile l’ecocardiogramma, un esame che mediante l’utilizzo di ultrasuoni consente di visualizzare e osservare il cuore nelle sue dimensioni, forma e movimento.
La diagnosi viene confermata con l’esecuzione di una coronarografia urgente, un esame invasivo che si esegue tramite l’introduzione di un piccolo catetere da un accesso arterioso a livello del polso o dell’inguine. La coronarografia permette di visualizzare le coronarie e identificare la sede dell’ostruzione. Una volta confermata la diagnosi e identificata la sede dell’ostruzione coronarica, si procede immediatamente a riaprire il vaso con un intervento di angioplastica. Questa si esegue contestualmente alla coronarografia, utilizzando lo stesso accesso arterioso. L’intervento consiste nel dilatare un palloncino nella coronaria occlusa per riaprire la stessa e permettere al flusso di sangue di riprendere il suo corso. Alla dilatazione del palloncino segue l’impianto di uno stent coronarico, una piccola rete metallica cilindrica che viene posizionata a livello dell’occlusione per mantenere aperta l’arteria coronaria malata. All’intervento di angioplastica segue una terapia medica basata principalmente su farmaci che riducono il rischio di nuove trombosi (antiaggreganti come l’aspirina e il ticagrelor o il prasugrel) e che riducono il colesterolo (come le statine). Queste medicine sono fondamentali per ridurre il rischio di recidive.
Sebbene non si possa evitare del tutto un evento come l’infarto, è possibile ridurre i fattori di rischio a esso correlati, intervenendo in particolare su quelli modificabili e dunque prestando attenzione al proprio stile di vita e, su consiglio del medico, alla terapia medica per controllare i fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia. È bene, per esempio, assicurarsi un’alimentazione varia ed equilibrata che prediliga cereali, legumi, frutta e verdura e che – a grassi saturi e colesterolo (burro, carni rosse) – preferisca olio extravergine di oliva, pesce e carni bianche. Importante poi anche il ruolo di una regolare attività fisica aerobica (almeno tre volte alla settimana per 45 minuti, come correre, camminare a passo sostenuto, nuotare, andare in bicicletta) che contribuisce a mantenere il peso corporeo nella norma, a migliorare la capacità del cuore di pompare il sangue e a tenere sotto controllo la pressione arteriosa. È fondamentale poi non fumare.
Sulla salute del cuore ha poi anche un peso lo stress in quanto impatta sulla pressione arteriosa: una condizione continua di stress infatti aumenta i valori della pressione che sono correlati al rischio cardiovascolare. Inoltre lo stress può modificare le placche aterosclerotiche nelle coronarie, causandone la rottura e favorendo così un evento come l’infarto. Tenere sotto controllo i valori della pressione arteriosa può essere di aiuto a monitorare la situazione: una condizione di stress infatti può determinare un aumento della pressione.
Un corretto stile di vita riduce il rischio di infarto
La sintomatologia legata all’infarto del miocardio è variabile: non tutti i pazienti riferiscono gli stessi sintomi o li avvertono alla stessa intensità; in altri casi, l’infarto può essere asintomatico e in altri casi ancora il primo segnale di infarto è un arresto cardiaco improvviso. La manifestazione più tipica dell’infarto è una sensazione di peso o dolore al petto che dura più di dieci minuti. Il dolore può estendersi dal petto a uno o entrambe le braccia e può irradiarsi anche al collo, alla mascella e alla schiena. Inoltre il dolore al petto può essere associato a nausea, bruciore di stomaco o dolore addominale, fiato corto, stanchezza, sudorazione fredda, stordimento o vertigini. Nella maggior parte dei casi la comparsa dei sintomi dell’infarto è improvvisa, ma possono anche esservi segnali di avviso nel corso delle ore, dei giorni o delle settimane precedenti; ne sono un esempio un dolore al petto ricorrente o una sensazione di pressione (detta angina pectoris) che è scatenata dal movimento e che si risolve a riposo. L’angina è dovuta a una diminuzione temporanea di flusso sanguigno al cuore, una condizione che però non è così prolungata da condurre alla necrosi del tessuto.
In caso di infarto è fondamentale intervenire tempestivamente perché un accesso tardivo del paziente a cure adeguate aumenta il rischio di mortalità. Alcuni fattori, distinti in modificabili e non modificabili, possono esporre a un maggior rischio di aterosclerosi e di infarto. Sono fattori non modificabili l’aumentare dell’età, il sesso (in età giovanile e matura il rischio è maggiore negli uomini, ma dopo la menopausa femminile il rischio è lo stesso nei due sessi) e la familiarità (casi di infarto in famiglia espongono a un maggior rischio, soprattutto se occorsi dai 55 anni negli uomini e dai 65 nelle donne). Sono invece fattori di rischio modificabili il vizio del fumo, l’ipertensione arteriosa (che danneggia le arterie), alti livelli di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo che restringe le arterie) o di trigliceridi, il diabete (l’eccesso di glucosio nel sangue danneggia le arterie e favorisce l’aterosclerosi), l’obesità (che è associata ad alti livelli di colesterolo e di trigliceridi, ipertensione e diabete), la sindrome metabolica (un quadro che include obesità, diabete e ipertensione), la sedentarietà (la mancanza di attività fisica contribuisce a innalzare i livelli di colesterolo ed espone al rischio di aumento corporeo), lo stress e l’uso di sostanze stupefacenti.
In genere, la diagnosi di infarto viene effettuata alla luce dei sintomi riferiti dal paziente. L’esecuzione di un elettrocardiogramma, un esame che registra l’attività elettrica del cuore, permette di confermare o escludere l’infarto poiché il muscolo cardiaco danneggiato presenta un’alterazione nella conduzione degli impulsi elettrici. Inoltre attraverso gli esami del sangue poi si accerta la presenza degli enzimi cardiaci, sostanze rilasciate nel sangue dalle cellule del muscolo cardiaco che sono andate incontro a necrosi. Può talvolta essere utile l’ecocardiogramma, un esame che mediante l’utilizzo di ultrasuoni consente di visualizzare e osservare il cuore nelle sue dimensioni, forma e movimento.
La diagnosi viene confermata con l’esecuzione di una coronarografia urgente, un esame invasivo che si esegue tramite l’introduzione di un piccolo catetere da un accesso arterioso a livello del polso o dell’inguine. La coronarografia permette di visualizzare le coronarie e identificare la sede dell’ostruzione. Una volta confermata la diagnosi e identificata la sede dell’ostruzione coronarica, si procede immediatamente a riaprire il vaso con un intervento di angioplastica. Questa si esegue contestualmente alla coronarografia, utilizzando lo stesso accesso arterioso. L’intervento consiste nel dilatare un palloncino nella coronaria occlusa per riaprire la stessa e permettere al flusso di sangue di riprendere il suo corso. Alla dilatazione del palloncino segue l’impianto di uno stent coronarico, una piccola rete metallica cilindrica che viene posizionata a livello dell’occlusione per mantenere aperta l’arteria coronaria malata. All’intervento di angioplastica segue una terapia medica basata principalmente su farmaci che riducono il rischio di nuove trombosi (antiaggreganti come l’aspirina e il ticagrelor o il prasugrel) e che riducono il colesterolo (come le statine). Queste medicine sono fondamentali per ridurre il rischio di recidive.
Sebbene non si possa evitare del tutto un evento come l’infarto, è possibile ridurre i fattori di rischio a esso correlati, intervenendo in particolare su quelli modificabili e dunque prestando attenzione al proprio stile di vita e, su consiglio del medico, alla terapia medica per controllare i fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia. È bene, per esempio, assicurarsi un’alimentazione varia ed equilibrata che prediliga cereali, legumi, frutta e verdura e che – a grassi saturi e colesterolo (burro, carni rosse) – preferisca olio extravergine di oliva, pesce e carni bianche. Importante poi anche il ruolo di una regolare attività fisica aerobica (almeno tre volte alla settimana per 45 minuti, come correre, camminare a passo sostenuto, nuotare, andare in bicicletta) che contribuisce a mantenere il peso corporeo nella norma, a migliorare la capacità del cuore di pompare il sangue e a tenere sotto controllo la pressione arteriosa. È fondamentale poi non fumare.
Sulla salute del cuore ha poi anche un peso lo stress in quanto impatta sulla pressione arteriosa: una condizione continua di stress infatti aumenta i valori della pressione che sono correlati al rischio cardiovascolare. Inoltre lo stress può modificare le placche aterosclerotiche nelle coronarie, causandone la rottura e favorendo così un evento come l’infarto. Tenere sotto controllo i valori della pressione arteriosa può essere di aiuto a monitorare la situazione: una condizione di stress infatti può determinare un aumento della pressione.
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Alberto Lupini
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