I ritmi frenetici e orientati alla produttività della società odierna spingono le persone a ritmi lavorativi molto pressanti, al punto che molti rischiano di cadere in una sorta di “esaurimento da lavoro”. Si tratta della sindrome di burnout, inizialmente associata alle professioni sanitarie, oggi riguarda qualsiasi posizione di grande responsabilità lavorativa, specie nei giovani freelance. Ne parla il professor Giampaolo Perna, Responsabile del Centro di Medicina Personalizzata per i Disturbi d’Ansia e di Panico di Humanitas San Pio X, in un articolo di Humanitas Salute che pubblichiamo.
Cos’è e come si manifesta la sindrome di burnout
La sindrome
Il burnout è un problema associato all’occupazione o disoccupazione lavorativa. Alla sua origine c’è una condizione di stress cronico mal gestito nei sintomi o non affrontato in modo professionale.
Da maggio 2019 l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne ha riconosciuto lo status di sindrome, con dei sintomi ben definiti quali la sensazione di esaurimento (mentale e fisico), il distacco mentale dal proprio lavoro, spesso accompagnato da negatività o cinismo relativi a esso, e una conseguente riduzione della propria produttività. Completano il quadro una mancanza di stima in se stessi e un senso di colpa dovuto al non riuscire a stare dietro al lavoro o alle scadenze. Nel momento della diagnosi è importante non escludere altre problematiche, come per esempio i disturbi d’ansia o il disturbo depressivo.
Come trattare la sindrome di burnout?
Si possono utilizzare delle accortezze per rendere meno traumatico il lavoro o per circoscrivere gli effetti del burnout. Dove è possibile, per esempio, si può cercare di lavorare in casa, o comunque in un ambiente vicino che non richieda uno spostamento lungo, cosa che spesso viene percepita come una perdita di tempo e fonte di grande stress. Scandire le ore lavorative e quelle non lavorative, fare piccole liste di traguardi raggiungibili e prendersi alcune pause, seppur brevi, alla fine di ogni lavoro compiuto può aiutare.
È tuttavia necessario un cambiamento culturale all’interno dei luoghi di lavoro, con una maggiore attenzione alla salute e al benessere dei lavoratori, oltre che la messa a disposizione di aiuto e sostegno orientato alla salute mentale adeguato per chiunque ne sentisse il bisogno.
Ripartire dal corpo
Ascoltarsi è la parola chiave. La sindrome di burnout è spesso associata, dicevamo, a cali di autostima, che si manifestano anche con una mancata cura di se stessi e del proprio corpo, a cominciare da una serie di abitudini sbagliate che perpetuiamo a causa della mancanza di voglia di cambiare le cose.
Iniziare a predisporre l’ambiente lavorativo in un certo modo è cosa positiva, a partire dagli strumenti che utilizziamo tutti i giorni: prestare attenzione a come si sta seduti, utilizzare una sedia ergonomica e un tappetino con poggiapolsi per il mouse, alzarsi per brevi passeggiate tra un lavoro e l’altro, posizionare il monitor del pc e la tastiera frontalmente, evitando di torcere il collo o la schiena, ne sono alcuni esempi.
Infine, dare la giusta importanza al sonno e all’alimentazione contribuiranno a una migliore risposta del corpo alle difficoltà, con risvolti positivi nella gestione e nella resistenza allo stress.
Un problema da non sottovalutare
Se da una parte lo stress è una risposta assolutamente normale quando si lavora, soprattutto in ambienti competitivi e veloci, sentirsi troppo stressati a causa del lavoro non è un problema da sottovalutare, come spesso accadeva e accade.
Fino a oggi, infatti, il burnout era considerato sì una condizione medica, ma difficilmente diagnosticabile secondo i parametri richiesti dalla medicina. Invece, con il riconoscimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), il burn out è stato riconosciuto e classificato ufficialmente come “sindrome”.
Questo significa che lo stress da lavoro viene considerato una condizione che può influenzare lo stato di salute e benessere delle persone, per il quale l’Oms ha stabilito anche le direttive per la diagnosi di burnout, ma non quelle per il trattamento e cura. L’identificazione di interventi preventivi e trattamenti evidence based è il prossimo passo per poter gestire seriamente queste condizioni.