Alcuni gesti sportivi ripetuti o particolari condizioni biomeccaniche sottopongono il nostro scheletro a uno stress da sovraccarico funzionale, che non sempre i muscoli riescono ad assorbire, portando ad un tipo particolare di frattura, nota con il nome di “frattura da stress”. Maratoneti, ballerini e ginnasti, saltatori e giocatori di basket, così come i canoisti sono tra gli sportivi più a rischio di fratture da stress. Lo stesso discorso è valido per coloro che indossano calzature rinforzate per lunghi percorsi in marcia, come può accadere ai soldati. Questo rischio esiste anche per chi non pratica attività sportiva e conduce una vita sedentaria, ma che, per conformazione genetica o esiti di trauma, è affetto da alterazioni della struttura degli arti inferiori, anche non eclatanti, che possono comunque condizionare un sovraccarico funzionale. Cosa fare per prevenirle, riconoscerle ed intervenire precocemente con un trattamento adeguato? Ne parla la dottoressa Maria Cristina D’Agostino, specialista ortopedico, fisiatra e responsabile del Centro Terapia e Ricerca Onde d’Urto di Humanitas, in un articolo di Humanitas Salute che pubblichiamo integralmente.
Cosa sono le fratture da stress?
Le fratture da stress
«Le fratture da stress non sono (almeno nelle prime fasi) una vera e propria interruzione completa della continuità di un segmento osseo (come succede in un trauma acuto), bensì una sorta di “fissurazione”, dovuta a ripetute microfratture che l’osso cerca di riparare, non sempre con efficacia, se si oltrepassano i limiti fisiologici è come se il meccanismo andasse in tilt. Se non riconosciute, possono dare origine anche a vere e proprie fratture, con possibile formazione del callo osseo riparativo, ovvero una sorta di “manicotto” che congiunge e salda le parti di osso lesionate», spiega la dottoressa d’Agostino.
A volte, se non riconosciute nelle fasi iniziali, anche perché i sintomi dolorosi sono più tollerabili rispetto a quelli causati da una frattura vera e propria, le fratture da stress vengono diagnosticate solo come “esito”, ovvero quando si nota sulla radiografia proprio il callo osseo, a testimonianza dell’avvenuta riparazione.
Tradizionalmente, le parti più gravemente colpite sono le ossa degli arti inferiori e dei piedi.
Tra i possibili fattori di rischio per una frattura da stress ricordiamo:
- correre per molti chilometri;
- saltare ripetutamente su superfici rigide, specie in presenza di alterazioni morfologiche del piede o comunque degli arti inferiori;
- intensificare improvvisamente la propria routine di attività fisica;
- ballare sulle punte, come avviene tipicamente nei ballerini (professionisti e non), per cui la localizzazione delle fratture da stress è tipicamente localizzata a livello metatarsale o in alcuni casi anche a livello della tibia (gamba).
Quando rivolgersi al medico?
In genere il campanello di allarme è un dolore osseo persistente, che il paziente riesce ad indicare in un punto ben localizzato, in assenza di un trauma maggiore diretto e molto spesso correlato all’attività fisica. Se nelle prime fasi di insorgenza, con il riposo dall’attività fisica il dolore sembra regredire, nelle fasi più avanzate, la sintomatologia persiste ed è presente anche a riposo.
Sport e prevenzione
È importante considerare tutti i possibili fattori di rischio, solitamente legati alla struttura ossea e al tipo di attività ripetitiva (sport, ma non solo), a cui il segmento scheletrico è sottoposto.
Per questo è fondamentale esercitarsi con criterio, scegliendo possibilmente la disciplina più adatta alla propria costituzione fisica. Inoltre, anche il potenziamento muscolare e l’incremento dell’attività fisica devono essere fatti gradualmente.
Altrettanto importante è indossare calzature idonee, equipaggiarsi di attrezzatura sportiva consona alle proprie capacità e provare ad alternare forme di attività fisica a più alto impatto, con altre che lo siano meno.
Sebbene in molti casi di fratture da stress correlate all’attività sportiva, il fattore di rischio “osteoporosi” non è in prima istanza considerato, sicuramente andrà tenuto in alta considerazione per alcune categorie di pazienti “a rischio”, fra cui le donne in menopausa, ma anche individui affetti da alterazioni endocrino-metaboliche che possano alterare il buono stato di salute dell’osso, indebolendolo.
«La prevenzione è molto importante, così come lo è il riconoscimento precoce di questo tipo di lesione, poiché un trattamento tempestivo consente di accorciare i tempi di guarigione, ridurre il disagio per il paziente, consentendo un più rapido ritorno allo sport», continua la specialista.
«Poiché la frattura da stress in genere non è riconoscibile con le comuni radiografie nelle sue fasi precoci (comunque sintomatiche per il paziente), in caso di forte sospetto diagnostico è consigliabile prescrivere un esame di risonanza magnetica, che offre un duplice vantaggio: non espone il paziente a radiazioni ionizzanti, e permette il riconoscimento di alterazioni dell’osso già dai primissimi stadi, prima che si formi anche un’alterazione strutturale dell’osso».
Cosa fare una volta diagnosticata la frattura da stress
Se si escludono alcuni tipi di fratture (ad esempio quella a livello del collo del femore, ma non solo), per cui potrebbero essere necessario l’intervento chirurgico (cioè la stabilizzazione con mezzi di sintesi metallici), il trattamento delle fratture da stress è nella maggior parte dei casi conservativo.
Prima di tutto è fondamentale il riposo e, se interessato un segmento dell’arto inferiore, ovviamente lo scarico del peso, utilizzando le stampelle. Per la guarigione e il pieno recupero, di solito si prevedono mediamente da 4 a 6 settimane. La variabilità è principalmente legata al fatto che non tutte le fratture da stress vengono diagnosticate nella stessa fase, talvolta quando sono già in fase di guarigione.
C’è comunque la possibilità di accelerare i processi riparativi, applicando le cosiddette “terapie biofisiche rigenerative”, delle quali fanno parte la magnetoterapia e le onde d’urto. Seppur di natura diversa, sono entrambe stimolazioni di tipo fisico, in grado di indurre effetti benefici a livello cellulare».
In particolare, l’Onda d’Urto è uno stimolo meccanico che non ha effetti dannosi sui tessuti viventi, bensì accelera l’attività metabolica delle cellule dell’osso, così come la produzione di fattori di crescita e la crescita di nuovi piccoli vasi sanguigni.
Già utilizzate da qualche decennio per la cura delle pseudoartrosi e dei ritardi di consolidazione ossea, le Onde d’Urto possono rappresentare in molti casi il trattamento migliore anche per le fratture da stress, in quanto, oltre a stimolare la riparazione dell’osso, possono normalizzare il corretto rimodellamento del tessuto osseo, letteralmente “stressato” dalle alterate condizioni biomeccaniche.
Si tratta di una terapia non invasiva, pressoché priva di effetti collaterali, praticata a livello ambulatoriale, e ben tollerata dal paziente, se eseguita con strumentazione idonea e perizia da parte dell’operatore.
A tale proposito, è fondamentale che il trattamento venga eseguito sotto controllo ecografico (o comunque previa “centratura” ecografica), in modo che il trattamento venga “focalizzato” esattamente nel punto del segmento osseo interessato dalla frattura da stress.
Prevenzione, diagnosi precoce, e trattamento terapeutico tempestivo (per cui le Onde d’Urto ed eventuali altri stimoli biofisici costituiscono una valida risorsa terapeutica), rappresentano la strategia vincente per far fronte allo “stress” osseo e garantire un rapido ritorno alle attività quotidiane ed allo sport.