Piedi piatti? Stiamo parlando di una deformità del piede che può anche prendere il nome di sindrome pronatoria o PTT disease (malattia del tendine tibiale posteriore), o che, nei casi peggiori, diviene collapsing foot. Quest'ultima è una patologia e richiedere l'intervento medico, ma non sempre si presenta - spesso l'intervento non è necessario. Sono, insomma, diversi i casi: per individuarli serve un approfondimento specialistico ed eventualmente una terapia personalizzata. A trattare l'argomento è Federico Usuelli, chirurgo ortopedico specializzato nelle patologie di piede e caviglia responsabile dell’Unità della Caviglia e del Piede in Humanitas San Pio X.
Accanto alla terapia scelta dallo specialista, anche esercizi a casa son da considerare un aiuto“Cos’è il piede piatto?Con il nome di piede piatto si indica la presenza di una
pianta del piede larga e piatta, che in sé non è una patologia: è anzi una condizione fisiologica inizialmente presente in tutti i bambini nell’età che va dai 2 fino agli 8 anni. Dagli 8 ai 12 anni poi avviene la
trasformazione del piede, che potrebbe quindi rimanere piatto; solo nel 10% dei casi però è necessaria una
cura, ovvero laddove la forma plantare diventa causa di
dolori o
disfunzionalità.
Quando va curato il piede piatto?Il piede piatto richiede l’intervento di un medico quando è la causa di dolori o di
limitazioni per il paziente, come per esempio quando provoca
instabilità, dolore a livello di retropiede, caviglia e fascia plantare o dolori da scompenso posturale a livello anche di altre articolazioni, come le ginocchia. Questo si verifica perché vengono meno i meccanismi di compensazione messi in atto autonomamente dal corpo.
Nel caso in cui la persona con piede piatto riesca a
svolgere attività fisica e sportiva senza problemi, questa conformazione del piede non necessita di essere corretta. Per alcuni
sport e
lavori, come per esempio il
nuoto o le lunghe marce, il piede piatto potrebbe persino rappresentare un
vantaggio anatomico.
Esistono però casi in cui il piede piatto, a causa dello
stress esercitato sull’avampiede, oltre che essere la fonte di dolori può favorire l’
insorgenza di patologie come l’
alluce valgo o le
dita a griffe, oppure ancora problematiche che interessano la caviglia.
La diagnosi di piede piattoIl piede piatto si diagnostica tramite una
visita specialistica, in cui si procede con un’indagine dei fattori che possono influenzare la salute del piede, come la storia del paziente, il lavoro, gli sport praticati, il tipo di scarpe utilizzate.
Esistono poi strumenti specifici di diagnostica come le
radiografie in carico (ovvero eseguite in piedi) che servono a valutare la correlazione tra la posizione del calcagno, dell’astragalo e della tibia. Nel caso in cui si ritenga importante andare a studiare disfunzioni legamentose e tendinee, associate alla deformità, o danni osteo-cartilaginei, conseguenti al sovraccarico, lo specialista può ricorrere a indagini di
imaging di secondo livello, come
risonanza magnetica o
TAC.
Come si cura il piede piatto?Nel caso in cui il piede piatto sia causa di dolori e fastidi principalmente durante l’attività sportiva, con il medico si può valutare l’adozione di un
plantare personalizzato, creato per compensare la fase dell’appoggio del piede, eventualmente in accompagnamento a terapie come
onde d’urto, Laser E2C, TecarTerapia e InterX. Va specificato però che
il plantare, che è uno strumento di compensazione,
non può svolgere una funzione correttiva, nemmeno se utilizzato dai bambini prima della fase di sviluppo completo del piede.
È importante, inoltre, considerare l’attività fisica appropriata come una forma di terapia essa stessa.
Esercizi di stretching del tricipite e
attività fisica come yoga e pilates, che hanno tra i loro obiettivi l’allungamento (lo stretching) delle catene posturali posteriori degli arti inferiori e l’esercizio di
equilibrio e propriocettività, rappresentano risorse di prevenzione e di cura.
Nel caso in cui i plantari non bastassero per risolvere la sintomatologia e il dolore si presentasse anche nelle normali attività quotidiane, è possibile intervenire con la
chirurgia.
Esistono delle terapie che si possono valutare prima dell’intervento chirurgico, ovvero infiltrazioni con PRP (fattori di crescita) e con cellule multipotenti prelevate dal tessuto adiposo o dall’aspirato midollare.
Si tratta di soluzioni di
medicina rigenerativa da valutare come terapie infiltrative (con un primario
scopo anti-infiammatorio) o come adiuvanti dei processi di guarigione in associazione a interventi chirurgici volti a correggere la deformità patologica.
In ogni caso
non esiste un unico percorso di cura adatto a tutti: tramite un’analisi del piede e delle attività svolte lo specialista valuterà il modo più adatto per intervenire.
Nel caso di atleti e sportivi professionisti per esempio si può valutare l’adozione di plantari e
scarpe specifiche, adatte al movimento richiesto dall’attività sportiva in questione, così come per particolari esigenze lavorative che si traducono in sforzi del piede si dovrà valutare un percorso personalizzato, che può arrivare a richiedere un intervento chirurgico correttivo, che oggi, rispetto al passato ha due obiettivi importanti: mini-invasività e preservazione della articolazioni e dei loro movimenti, minimizzando il ricorso ad artrodesi (fusioni della articolazioni), che rappresentano sempre di più interventi di salvataggio, da prendere in considerazione nei casi più estremi.
”