Celiachia, presto per la diagnosi basterà un esame del sangue
Per diagnosticare la celiachia presto basterà un esame del sangue. Con un semplice prelievo, si potrà evitare la gastroduodenoscopia con la biopsia dei villi duodenali oggi in uso in chi scopre la malattia in età adulta
10 marzo 2019 | 10:22
Nei bambini, invece, già è possibile fare un prelievo venoso per capire se il soggetto è o meno intollerante al glutine. Ne ha parlato la dottoressa Paoletta Preatoni, Aiuto Sezione Autonoma di Gastroenterologia Clinica presso Humanitas, in un articolo di Humanitas Salute, che pubblichiamo integralmente.
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La novità, basata sulla ricerca alla positività a determinati anticorpi, potrebbe essere presto realtà e facilitare così non poco la vita di specialisti e pazienti affetti da celiachia. L’ipotesi è stata portata alla luce da uno studio pubblicato sulla rivista «Gastroenterology», che ha sottolineato come gli adulti, al momento della diagnosi, presentano già una positività agli anticorpi anti-transglutaminasi IgA e anticorpi anti-endomisio che segnalano la malattia. I ricercatori della divisione di gastroenterologia ed epatologia della Mayo Clinic così sono andati a testare l’utilità di un complesso proteico (tTG-DGP) come marcatore diagnostico di celiachia e come marcatore di guarigione della mucosa intestinale in corso di dieta senza glutine.
Il test ha dimostrato una sensibilità del 99% e una specificità del 100%, in cui non è emerso cioè alcun falso positivo, nel distinguere i celiaci dalle persone sane. «Questo studio ci proietta verso l’impiego di un nuovo biomarcatore utile sia ai fini diagnostici che di monitoraggio della malattia celiaca, che, in soggetti selezionati, potrebbe evitare l’esecuzione della biopsia duodenale sia per la diagnosi che per il monitoraggio dei pazienti con celiachia», ha affermato Edoardo Savarino, gastroenterologo membro della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva.
Prima di sbarcare nella pratica clinica, il nuovo metodo diagnostico necessita di ulteriori nuovi studi che valutino l’effettivo guadagno in termini diagnostici ma anche in termini di costi. Un approccio più rapido, sicuro e meno invasivo, contribuirebbe infatti a rendere l’iter diagnostico meno traumatico e più facile da applicare. La conseguenza diretta che gli esperti immaginano e la “sommersione” di diversi casi di celiachia sospetta ma mai identificata. «Nel nostro Paese – ha detto Giuseppe Di Fabio, presidente dell’Associazione Italiana Celiachia – si stima che, a fronte dei circa duecentomila pazienti diagnosticati a oggi, ci siano quattrocentomila persone che non sanno ancora di essere celiache».
«L’attuale diagnosi di malattia celiaca nell’adulto si basa su due momenti distinti riscontro sierologico di positività agli anticorpi antitranglutaminasi e/o antiendomisio e o antigliadina deaminata e successiva conferma istologica su biopsie duodenali ottenute con Egds – ha spiegato la specialista - Questo recente articolo uscito su Gastroenterology, se verrà confermato da ulteriori studi e risulterà fattibile in termini di applicabilità e di costi, potrebbe aprire la strada a una futura metodologia diagnostica (visto che il test rispetto agli altri a nostra disposizione sembrerebbe avere una sensibilità del 100%) ma soprattutto di monitoraggio della guarigione della mucosa intestinale visto che i valori correlano in maniera lineare con il grado di atrofia villare».
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La novità, basata sulla ricerca alla positività a determinati anticorpi, potrebbe essere presto realtà e facilitare così non poco la vita di specialisti e pazienti affetti da celiachia. L’ipotesi è stata portata alla luce da uno studio pubblicato sulla rivista «Gastroenterology», che ha sottolineato come gli adulti, al momento della diagnosi, presentano già una positività agli anticorpi anti-transglutaminasi IgA e anticorpi anti-endomisio che segnalano la malattia. I ricercatori della divisione di gastroenterologia ed epatologia della Mayo Clinic così sono andati a testare l’utilità di un complesso proteico (tTG-DGP) come marcatore diagnostico di celiachia e come marcatore di guarigione della mucosa intestinale in corso di dieta senza glutine.
Il test ha dimostrato una sensibilità del 99% e una specificità del 100%, in cui non è emerso cioè alcun falso positivo, nel distinguere i celiaci dalle persone sane. «Questo studio ci proietta verso l’impiego di un nuovo biomarcatore utile sia ai fini diagnostici che di monitoraggio della malattia celiaca, che, in soggetti selezionati, potrebbe evitare l’esecuzione della biopsia duodenale sia per la diagnosi che per il monitoraggio dei pazienti con celiachia», ha affermato Edoardo Savarino, gastroenterologo membro della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva.
Prima di sbarcare nella pratica clinica, il nuovo metodo diagnostico necessita di ulteriori nuovi studi che valutino l’effettivo guadagno in termini diagnostici ma anche in termini di costi. Un approccio più rapido, sicuro e meno invasivo, contribuirebbe infatti a rendere l’iter diagnostico meno traumatico e più facile da applicare. La conseguenza diretta che gli esperti immaginano e la “sommersione” di diversi casi di celiachia sospetta ma mai identificata. «Nel nostro Paese – ha detto Giuseppe Di Fabio, presidente dell’Associazione Italiana Celiachia – si stima che, a fronte dei circa duecentomila pazienti diagnosticati a oggi, ci siano quattrocentomila persone che non sanno ancora di essere celiache».
«L’attuale diagnosi di malattia celiaca nell’adulto si basa su due momenti distinti riscontro sierologico di positività agli anticorpi antitranglutaminasi e/o antiendomisio e o antigliadina deaminata e successiva conferma istologica su biopsie duodenali ottenute con Egds – ha spiegato la specialista - Questo recente articolo uscito su Gastroenterology, se verrà confermato da ulteriori studi e risulterà fattibile in termini di applicabilità e di costi, potrebbe aprire la strada a una futura metodologia diagnostica (visto che il test rispetto agli altri a nostra disposizione sembrerebbe avere una sensibilità del 100%) ma soprattutto di monitoraggio della guarigione della mucosa intestinale visto che i valori correlano in maniera lineare con il grado di atrofia villare».
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Alberto Lupini
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