Cuore da cooperativa e testa da impresa;. Così, Emilio Roussier Fusco, amministratore delegato del Consorzio Gruppo La Cascina Cooperativa definisce la realtà imprenditoriale con sede a Roma e specializzata nel settore della ristorazione collettiva grazie ai marchi Vivenda e La Cascina Global Service. Ma questa è solo una parte degli interessi del Gruppo fondato nel 1978 e cresciuto per processi di aggregazione che l’hanno portata a diventare uno dei player di riferimento del mondo dei servizi alla collettività ed alla persona. Settore che ha subito il pesante impatto della pandemia senza peraltro far mancare il proprio contributo. «E a tal proposito mi lasci ringraziare tutta la forza lavoro dell’azienda che è riuscito a sopportare il peso del periodo», continua Fusco.
Un'operatrice del Gruppo La Cascina CooperativaCon che numeri avete chiuso quello che possiamo definire “l’anno nero della ristorazione”?Il 2020 è stato un anno assolutamente unico che per noi ha impattato su due bilanci dal momento che la maggior parte delle aziende che fanno parte del network di Cascina Cooperativa chiudono il proprio esercizio al 30 giugno. Lo scorso anno e questo che stiamo vivendo, purtroppo, sono i due tempi dello stesso terribile film, quello del Covid. I ricavi sono quindi calati in prima battuta per lo stop del canale scolastico e universitario e, in aggiunta, per quanto riguarda il settore ospedaliero, a causa della riconversione di molti reparti ordinari in terapie intensive e subintensive. Sintetizzando, abbiamo riscontrato un calo del -20% per la sola ristorazione collettiva che equivale a perdite di circa 60-70 milioni di euro. Numeri che, se paragonati a quelli del 2019, fanno capire l’impatto dell’emergenza sanitaria. Pre-Covid, infatti, registravamo un fatturato complessivo di 400 milioni di euro derivanti da tutte le attività del gruppo.
Quali sono state le conseguenze a livello operativo della pandemia?Innanzitutto, mi lasci dire che i servizi di ristorazione collettiva sono in quasi tutti i casi di pubblica utilità strumentali di servizi essenziali. In un ospedale in una scuola c’è una mensa che consente che queste attività vengano assolte in modo ordinario. Anzi, sono parte integrante del percorso di cura e riabilitazione del paziente oppure del processo di formazione, socialità ed educazione alimentare degli studenti. Per onorare questo ruolo abbiamo continuato a erogare il nostro servizio all’interno di situazioni molto diverse dall’ordinario in cui l’imprevedibile era all’ordine del giorno. Questo ha determinato maggiori costi per implementare diverse modalità organizzative, e non mi riferisco solo ai Dpi. Si tratta di una diversa articolazione del servizio che in ambito scolastico, per esempio, ha portato a incrementare i turni di somministrazione, con tempi allungati per servire postazioni distanziate oppure all’adozione di nuove tipologie di confezionamento del cibo. Il tutto a fronte di un perimetro contrattuale in cui le quantità non erano più quelle di prima tanto da far venir meno quelle economie di scala che, in situazioni normali, avremmo potuto sfruttare per gestire le fluttuazioni di servizio.
Un momento del servizio mense (pre-Covid)Quindi ci avete rimesso.Tutte queste modifiche ci hanno sicuramente esposto a perdite che solo in alcuni casi sono state remunerate o remunerabili. In alcuni casi, infatti, siamo riusciti a instaurare un dialogo con gli enti locali committenti che ha portato a una rimodulazione del contratto in essere nell’ambito delle previsioni normative vigenti. In altri casi, ciò non è stato possibile. Al di là di tutto ciò, però, abbiamo dovuto comunque sopportare costi incomprimibili, quali quelli della struttura aziendale che è comunque rimasta operativa e che ha fronte di ricavi ridotti non ha potuto adeguarsi più di tanto al mutato scenario.
Tenga presente che comunque il nostro è un settore cd labour intensive, il costo del personale, prevalentemente al femminile, incide per circa il 50% sui nostri ricavi. Il capitale umano nelle imprese del nostor settore è uno degli asset più importanti sul quale si fonda l’attività di impresa.
Proprio il personale è stata la spina dorsale su cui si è retto un servizio essenziale per molte realtà.Assolutamente sì. Il legislatore ha previsto un blocco dei licenziamenti ed è comprensibile ed anche condivisibile tenuto conto del periodo, abbiamo avuto accesso agevolato al Fondo di integrazione salariale (Fis) ma ovviamente le economie di scala e le marginalità di prima sono scomparse. Insomma, ci siamo trovati ad affrontare in modo repentino ed inaspettato una situazione di squilibrio che ha chiaramente inciso sugli andamenti del Gruppo. Abbiamo fatto fronte a questo scenario del tutto nuovo con la solidità raggiunta in 42, quasi 43 anni di storia. Ci auguriamo che la ripresa possa essere celere e vigorosa per recuperar il terreno perso in un lasso di tempo ragionevole.
Delivery ed eCommerce hanno rappresentato i veri vincitori della ristorazione commerciale. Che posto trovano nella collettiva?In generale, penso che delivery ed eCommerce siano poco applicabili nel canale scolastico e ospedaliero. Forse nell’aziendale, dove lo smart working continuerà, ci sarà meno bisogno di mense tradizionali soprattutto per quelle imprese di medie dimensioni che già prima della pandemia si stavano approcciando sempre più alla soluzione del buono pasto. Un’evoluzione che penso continuerà anche dopo la fine dell’emergenza.
Un centro di cottura del Gruppo La Cascina CooperativaIl Governo ha emanato il decreto Sostegni e si prepara al bis. Ma quanto spetta alle aziende della collettiva?Questo settore, al di là del fatto che occupi migliaia di persone, soprattutto donne, e che svolga un servizio essenziale per molte realtà, non ha mai vissuto di grandi attenzioni da parte delle istituzioni. E questo nonostante il fatto che le aziende coinvolte nel settore muovano un giro d’affari di circa sei miliardi di euro frutto del lavoro di un migliaio di aziende di cui circa 12-15 imprese generano il 50% del valore del mercato. Parliamo di aziende con grandi volumi ma margini ridotti. Tutto questo per dire che le misure governative non hanno consentito a società di queste dimensioni di accedere a qualsiasi forma di contributo a causa della soglia dei 10 milioni di fatturato. In linea di principio credo comunque che una eventuale provvedimento governativo che preveda una contribuzione a fondo perduto per aziende delle nostre dimensioni oltre che improbabile non rappresenterebbe la soluzione die problemi.
Cosa servirebbe quindi alle aziende della collettiva?Alle aziende serve agganciare la ripresa piuttosto che ricevere un ristoro temporaneo. Occorre cambiare passo. Servono altre misure nel senso dell’agilità e flessibilità per aiutare la ripartenza e recuperare la piena efficienza. In prima battuta, la possibilità di rinegoziare i contratti andrebbe previsto per legge: è una questione di buon senso prevedere legislativamente, laddove cambiano le condizioni originarie di un contratto che le parti possano modificare, sotto la tutela della legge, gli elementi contrattuali atti a riequilibrare costi e ricavi. In secondo luogo, l’opportunità di indebitarsi con Garanzia Sace è stata una misura utile ma potrebbe in prospettiva irrigidire il rapporto con il sistema creditizio. Andrebbe pensato e proposto un allungamento dei tempi di rimborso del prestito a 10 o anche 15 anni. Ove questo fosse possibile si libererebbero risorse finanziarie, migliorerebbe il
cash flow delle aziende che potrebbero destinare parte delle risorse per investimenti di cui il settore ha estremamente bisogno per ripartire. Altro tema sensibile è la decontribuzione del costo di lavoro. Nella legge di Stabilità è previsto un minor costo del lavoro per le Regioni più svantaggiate; perché non estenderla a livello nazionale? Le regioni del Nord o del Centro Italia sono state impattate al pari se non di più del resto del paese dal Covid. Se si riuscisse a ridurre il costo del lavoro, anche solo temporaneamente, avrebbe sì un costo per lo Stato a breve termine ma non appena il blocco dei licenziamenti scomparirà permetterebbe di gestire al meglio la riorganizzazione delle aziende così da non pesare ulteriormente, a medio termine, sulle casse dello Stato sotto forma di sussidi e integrazioni al reddito.
Emilio Roussier FuscoBiologico e sostenibile stanno diventando una sensibilità comune anche nei consumatori. Che peso hanno per voi i Cam e le richieste dei vari enti sui menu e sulle possibilità di approvvigionamento della materia prima?Le evoluzioni del mercato sono uno stimolo per noi perché inducono le aziende a migliorare e a investire. Il vantaggio finale è poi tutto a vantaggio dell’utente. Chiaro però che il percorso dovrebbe essere virtuoso. Ci vorrebbe maggiore collaborazione da tutti gli attori della filiera: dal legislatore alle stazioni appaltanti, a noi operatori che recepiamo indicazioni e norme, al mercato che deve proporre un’offerta al pari della domanda. Quando uno di questi ingranaggi si inceppa, un’idea e uno spunto positivo ovveor iuna disposizione legislativa, rischia di non avere quello svolgimento ordinato che tutti ci aspettiamo. E questo rischia di tramutarsi in uno svantaggio competitivo laddove, nel momento in cui si presenta la propria offerta, bisogna sempre tener conto del giusto equilibrio fra qualità e prezzo. Un tema che deve essere chiaro fin da subito nel momento in cui le stazioni appaltanti chiedono all’azienda di farsi carico di un servizio come quello delle mense con standard dietro i quali ci sono costi che devono essere remunerati a tutela in primis dell’utenza.
Nonostante la pandemia, però, avete messo a segno un’operazione di espansione con Sma Ristorazione. Ce ne può parlare? La storia di Cascina Cooperativa è caratterizzata dai processi di aggregazione che hanno portato nel corso degli anni il gruppo a potersi esprimere in altri settori. In questo modo, possiamo approcciare il committente pubblico con un’offerta multiservizi. In questo senso si pone anche l’operazione che ha coinvolto Sma Ristorazione. Grazie all’acquisizione, il Gruppo Cascina si consolida nel Nord Italia dove, obiettivamente, ci sono le migliori opportunità di mercato. Andiamo molto orgogliosi del risultato ottenuto e delle professionalità che abbiamo incontrato. Ora l’obiettivo è far sì che tali profili si possano esprimere al meglio all’interno di un contesto più strutturato.
C’è spazio per altre aggregazioni di questo tipo? “Piccolo è bello” è un fenomeno del tutto italiano. Per esperienza posso dirle che le aggregazioni finiscono sempre per esprimere qualcosa di più della somma delle singole parti. Oggi le condizioni di mercato rendono questa circostanza ineluttabile. Detto diversamente, la leva dimensionale ha il suo valore e quando non va a mortificare i singoli esprime il maggiore impatto competitivo possibile. Nel caso si presentassero le giuste possibilità, cercheremo di essere protagonisti.