Esiste un popolo di lavoratori in mascherina che, adeguandosi alle necessità di una pandemia senza precedenti, continua ad esercitare il proprio mestiere in modo professionale e continuativo. Sono tutti i “camerieri” del mondo: parliamo di milioni di lavoratori a contatto col pubblico, con varie mansioni più o meno responsabilizzanti e nei contesti più disparati quali bar, ristoranti, resort, stazioni balneari, ecc. Io faccio parte di questo “esercito” e come me molti altri lavoratori che seppur “mascherati” sono facilmente riconosciuti dai clienti abituali. Ovviamente, invece, per tutti coloro che in questa stagione frequentano i nostri ristoranti per la prima volta, che non ci conoscono e ci incontrano “nascosti” dietro la mascherina, non abbiamo un vero e proprio “volto”.
Trovo l’argomento interessante e, dopo tanto vociare mediatico (spesso fine a se stesso), ritengo che oggi il periodo di rodaggio (circa tre mesi dalla riapertura dei ristoranti) sia sufficiente a dare spunti più realistici, che arrivano dal campo, sul significato di lavorare con la mascherina. La mascherina fa sudare, spezza il fiato, fa mancare l’ossigeno. Specialmente in un mestiere come il nostro, legato a tempistiche ritmate, con azioni concentrate in pochi minuti/ore e in cui le dinamiche possono essere estenuanti. Le giornate lavorative in piedi, muovendosi tra i tavoli in un via vai tra cucina, sala e cantina, possono per esigenze di business durare anche 10, 12 o 14 ore. Quindi immaginate uno scorrimento di sudore (spesso incentivato dalle eleganti ma costrittive divise) che se fosse fonte di energia alternativa contribuirebbe in maniera sostanziale alle buone intenzioni “green” della nostra umanità! A contornare il tutto mettiamoci anche la concomitanza di un’estate torrida come poche e il lavoro in bollenti spazi all’aperto, giustamente promosso dalle normative emergenziali.
Il quadro dovrebbe essere chiaro, di sicuro fedele alla realtà, ma non è su questo che volevo fare il punto. Torniamo al cliente sconosciuto e alla nostra mascherina. Provate ad immedesimarvi prima nell’uno e poi nell’altro. Prendendo me come esempio, nulla è cambiato nella qualità del mio operato al ristorante (tanto meno in quello di tutti i miei colleghi) nella volontà di far passare una serata indimenticabile al cliente. La prossima volta che verrà a trovarci di sicuro lo riconoscerò, ricordando le sue preferenze. È una prerogativa del mio mestiere. D’altro canto però, se è vero che regaliamo dei bei momenti, non è che sarà forse proprio la mascherina ad incentivare il cliente a tornare a trovarci per poter finalmente scoprire, conoscere, anche spinto dalla curiosità, quel volto, il sorriso di chi ci ha “lasciato” un benessere tale da voler ripetere l’esperienza nella sua totalità? E questa volta senza limitazioni, senza maschere.