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Dimissioni, la ristorazione ha pagato il prezzo più caro

Il lockdown ha cambiato il modo di lavorare e di vivere la propria professione, promuovendo l’esigenza di autonomia, di flessibilità e di un nuovo equilibrio a vantaggio del piacere, degli affetti e della vita privata

di Marco Reitano
presidente Noi di Sala
 
11 marzo 2023 | 08:30

Dimissioni, la ristorazione ha pagato il prezzo più caro

Il lockdown ha cambiato il modo di lavorare e di vivere la propria professione, promuovendo l’esigenza di autonomia, di flessibilità e di un nuovo equilibrio a vantaggio del piacere, degli affetti e della vita privata

di Marco Reitano
presidente Noi di Sala
11 marzo 2023 | 08:30
 

Secondo i recenti dati del Ministero del Lavoro, sono state 1,66 milioni le dimissioni dal lavoro registrate in Italia nei primi nove mesi del 2022, in aumento del 22% rispetto al 2021. Le dimissioni hanno costituito la quota più alta tra le cause di fine rapporto di lavoro nel periodo preso in esame, dopo i contratti a termine.

 

Il trend iniziato nel 2021 non ha rallentato, anzi, si è intensificato, e nell'ultimo trimestre del 2022 le dimissioni sono state circa 562mila, oltre 35mila in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Tra le spiegazioni degli addetti ai lavori riguardo il trend, ci sarebbe la volontà dei lavoratori, a seguito del lungo periodo di pandemia, di provare a direzionarsi verso un posto di lavoro più soddisfacente e confortevole.

La fuga dal mondo del lavoro continua a crescere in Italia Dimissioni la ristorazione ha pagato il prezzo più caro

La fuga dal mondo del lavoro continua a crescere in Italia

La fuga dal mondo del lavoro continua a crescere in Italia

Si asserisce che il trend potrebbe essere legato al crescente malessere dei lavoratori in relazione alla scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese e al poco coinvolgimento dei lavoratori stessi. Molti hanno sottolineato l’apparente contraddizione di questi tempi, in un periodo in cui il tasso di disoccupazione è sempre più alto. Ovviamente si consolida quello che è un cambiamento del mercato del lavoro, incoraggiato dal periodo di stasi/riflessione consentito dal lockdown pandemico. Molti hanno deciso di cessare volontariamente il loro rapporto lavorativo pur non avendo alcun ripiego e adesso i problemi vengono al pettine: la situazione non accenna a migliorare. La fuga dal mondo del lavoro continua a crescere in Italia per i molteplici fattori ostili ai lavoratori e che continuano a essere ignorati dal sistema. Le aziende hanno molta difficoltà a motivare, coinvolgere e fidelizzare i propri dipendenti. Il lockdown ha sicuramente cambiato il modo di lavorare e di vivere la propria professione, promuovendo l’esigenza di autonomia, di flessibilità e di un nuovo equilibrio a vantaggio del piacere, degli affetti e della vita privata.

 

L'orientamento è verso una maggiore qualità della vita

Per molti il lockdown è stato una rivelazione vera e propria sotto questo punto di vista. Il fenomeno delle grandi dimissioni, infatti, riguarda oltre il 45% degli occupati che, secondo un report dell'Osservatorio Hr Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, ha dichiarato di aver cambiato lavoro nell'ultimo anno o di avere intenzione di farlo da qui a 18 mesi. Una decisione che non è motivata solo dall'esigenza di un salario migliore, ma che è sintomo di un palese malessere avvertito sul lavoro, di natura emotiva e psicologica, che la nostra società del lavoro non riesce ad affrontare adeguatamente, faticando a comprendere la situazione. Sarà, quindi, a causa del mercato del lavoro che diventa più dinamico, per la scelta di una vita diversa o per le conseguenze della crisi, ma il fenomeno delle dimissioni cresce e diventa sempre più trasversale. Proprio la crisi e la necessità/desiderio di un diverso equilibrio tra vita privata e professionale possono aver spinto a scegliere di dire addio al proprio posto di lavoro. Entrano in gioco, quindi, le relazioni con i colleghi, il clima lavorativo, l’adeguamento dello stipendio: tutti fattori che hanno ovviamente inciso sulla scelta. Motivazioni diverse, che si spingono oltre l’ambito professionale e che toccano la sfera personale, la qualità della vita. Si travisa la necessità impellente di revisione dei modelli organizzativi verso una maggiore qualità di impiego del dipendente, incentivando l’applicazione di sistemi premianti coerenti, anche. Se viene a mancare la formazione, se c’è poca considerazione della dinamica vita-lavoro e si intravedono scarse prospettive di crescita economica/professionale, il dipendente si dimette. La ristorazione è uno dei comparti che ha pagato il prezzo più caro, tra i più ignorati e colpiti, in questo mancante passaggio evolutivo.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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