Fabrizio Fiorani, oltre a essere membro dell'Accademia Maestri Pasticceri Italiani, è stato pastry chef di alcuni dei migliori ristoranti d'Italia, prima di trasferirsi in Giappone, dove, tra le altre cose, è stato premiato come Miglior Pasticcere d'Asia. Nel maggio 2019 ha chiuso la sua esperienza giapponese e ha iniziato la sua carriera come consulente di pasticceria per i migliori marchi alimentari e gruppi leader nel settore alberghiero di lusso in tutto il mondo. Oggi è chef pasticcere al Ristorante Duomo di Ragusa e ha dato vita a Zucchero, spazio di pasticceria contemporanea del W Rome Hotel.
Con lui abbiamo parlato delle nuove tendenze della pasticceria.
Fabrizio Fiorani
Non per fame, ma per voglia
«La tendenza della pasticceria italiana contemporanea deve sempre essere la ricerca del buono, bello e replicabile - ha esordito Fiorani - Non siamo artisti: facciamo qualcosa da mangiare. Il dolce però non si mangia per fame, ma per voglia. Quindi deve essere buono per la bocca e non solo. Deve saziare cuore e anima. Questa è per me la vision per fare avanguardia, per vedere qualcosa che qualcuno ancora non vede».
Senza zucchero non è dolce
Un'altra delle tendenze che sembra sempre più affacciarsi nel mondo della pasticceria è il sempre minor utilizzo di zucchero. Un trend che Fiorani non sembra apprezzare. «Mi preoccupa molto, anche perché senza zucchero non ci sarebbero i pasticceri - ha evidenziato - Persino la mia boutique a Roma si chiama Zucchero. Penso che tutto quello che sta a metà non sia un dolce, ma un piatto salato. Non si può definire un dolce sapido, è un ossimoro, un'utopia negativa».
Come fare quindi? «Un pasticcere può fare anche salati, ma non sono dolci - ha proseguito Fiorani - Magari serve mangiarne di meno. Magari è meglio mangiare un gelato buono alla settimana, invece di sette non di qualità. Però il dolce è dolce».
La differenza con l'Asia
Fiorani, come detto, può contare su un'importante esperienza in Asia, che, per forza di cose, ha lasciato un'eredità. «Dall'Asia ho imparato soprattutto la precisione - ha concluso - Avevo una squadra straordinaria, che pensava però troppo a lavorare. Erano grandi esecutori, ma quando nasceva un problema andava subito in crisi. Dovevo per forza essere presente».