La quarantena ha fatto riscoprire agli italiani il gusto dell’artigianalità che si è riassaporata nella panificazione, nei dolci e nei gelati. Qualcuno si è dato da fare per conto proprio mettendo le mani in pasta, altri si sono affidati alla delivery, ma due cose sono rimaste punti fermi in ogni caso: la qualità della materia prima e la sapienza dei professionisti che si sono contraddistinti o servendo un prodotto finale di alta qualità oppure trasmettendo i propri segreti con i tutorial online.
Filiera unita all'insegna della qualità
Il prossimo Sigep 42° Salone internazionale della gelateria, pasticceria, panificazione artigianali e caffè che si terrà nel quartiere fieristico di Rimini dal 16 al 20 gennaio prossimi racconterà anche questo asset di resilienza che nasce dalla passione per il proprio lavoro. «Abbiamo condiviso ricette e conoscenza - dice
Gino Fabbri, presidente dell’
Accademia Maestri Pasticceri - con
video o tutorial in rete, per rinsaldare a distanza il legame con la nostra clientela. Ora che tornano in negozio, ci dicono “non ci avete lasciati soli”.
Ora è il momento di fare sistema con tutta la filiera. E al Sigep 2021, che sarà la fiera della digitalizzazione mi aspetto di trovare persone positive, motivate, con programmi pronti a medio a lungo termine».
Filiera è perciò la parola chiave per
la ripartenza del settore. «In questa fase il gelato artigianale da solo non basta - commenta
Matteo Figura, direttore foodservice di Npd Group Italia - tutti gli attori della filiera, dai macchinari al prodotto sino al pubblico esercizio, debbono lavorare insieme per veicolarne al consumatore la positività, il portato percettivo, il raffinato valore made in Italy, la garanzia di igiene e sicurezza». Il valore della ristorazione come driver del made in Italy, da molti anni è oggetto di analisi del Gruppo NPD, che analizza l’evoluzione del mercato e dei gusti dei consumatori in Italia come nel resto del mondo ed è partner del Sigep. «Gli italiani - prosegue Figura - hanno voglia di uscire e ritrovare quelle piccole occasioni di evasione e consumo che rappresentano una gratificazione immediata senza scatenare il senso di colpa in un momento ancora incerto economicamente. In questo, il gelato artigianale rappresenta certamente l’oggetto ideale del desiderio, un piccolo lusso accessibile, un’occasione edonistica di evasione».
Il gelato resta un grande classico
Il quadro, poi, deve includere fattori contingenti come il
calo del turismo e lo smart working che hanno ridotto la platea di consumatori. «Siamo ancora dentro una situazione straordinaria – riassume
Luciano Sbraga, vice direttore generale di Fipe - e dobbiamo mettere insieme azioni di stimolo della domanda e interventi a sostegno delle aziende. Quelli messi in campo sin qui dal governo vanno nella direzione giusta ma non sono sufficienti e soprattutto non sempre riescono ad essere tempestivi. È il momento di stare attenti alla gestione delle imprese. Se assommiamo le perdite del primo con quelle del secondo semestre la contrazione dei consumi fuoricasa sarà a fine anno di 25 miliardi di euro e purtroppo sino a quando mancheranno i turisti e i lavoratori, molti sono ancora in smart working, sarà difficile avere quell’effetto rimbalzo utile a compensare queste perdite».
Ma si guarda avanti, alle opportunità. Il gelato artigianale ha trovato l’identità di alimento, grazie al lavoro dell’Associazione Italiana Gelatieri, come ricorda il suo segretario generale
Claudio Pica che proprio al Sigep è di casa: «Abbiamo rotto gli schemi, e siamo riusciti a ripartire superando la normativa che catalogava le gelaterie tra gli esercizi di somministrazione e ristorazione. Con una missiva al Governo, abbiamo finalmente visto riconosciuto il gelato artigianale come vero e proprio alimento e non come un prodotto accessorio. Si tratta di una svolta quasi epocale, che finalmente riconosce al gelato la sua natura di bene necessario per molteplici ragioni. Le gelaterie ora sono equiparate alle aziende di panificazione e ai caseifici in quanto trasformano materie prime della stessa filiera in prodotti alimentari».
Nella caffetteria, la rivoluzione si è vista, giocoforza, nelle abitudini, con l’impennata del monodose, capsula o cialda che sia. «Per una porta che si chiude, cioè il business basato sui volumi – spiega
Alberto Polojac, coordinatore per l’Italia della mondiale Speciality Coffee Association – magari se ne apre un’altra più focalizzata sul prodotto, che superi il consumo “distratto” del caffè al banco del bar».
Anche sulla bilancia del laboratorio del panificatore c’è il peso del valore della filiera. «Non si è mai parlato così tanto di pane come in questo periodo – dice
Roberto Perrotti, presidente di Richmont Club Italia –, ma dopo il lockdown è il momento di investire sui giovani e gratificarli per assicurare un ricambio generazionale alla nostra professione. Certo, competizioni come “Bread in the City” sono importanti, ma oggi lo è ancora di più valorizzare le persone, la qualità delle materie prime o dei macchinari per la panificazione».