La Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi si appella a Governo e associazioni di categoria, auspicando che le attività a domicilio siano sottoposte alle stesse regole dei locali tradizionali. Calugi: «Così si evita una diversa interpretazione della modifica della modulistica per la richiesta delle autorizzazioni».
Potrebbero chiamarsi anche ristoranti fai-da-te, oppure trattorie di casa. Quelle che si celano dietro la definizione inglese di “home restaurant”, sdoganata da tempo anche dal Governo, sono vere e proprie attività di ristorazione esercitate nella propria abitazione. In altre parole, il salotto o la cucina di casa che diventano una sala di ristorante per pochi, selezionati coperti. Una moda che, pare, stia prendendo piede e che non è ancora del tutto regolata da norme chiare.
Fipe chiede il rispetto delle norme per gli home restaurant
Per questo Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, è intervenuta con una nota, sulla scorta della recente modifica alla modulistica riguardo la segnalazione certificata di inizio attività relativa agli esercizi di somministrazione, dov’è stato inserito un espresso riferimento proprio all’attività di “home restaurant”, nel punto in cui si parla di “sorvegliabilità del locale”.
La nuova norma prevede infatti la possibilità “di consentire i controlli da parte delle autorità competenti nel caso in cui l’esercizio dell’attività venga svolto presso la propria abitazione”. Una specifica che tira in ballo l’attività dell’home restaurant, per la quale, però non esistono altre specifiche regolamentazioni. Da qui l’intervento di Fipe che, appellandosi alle associazioni di categoria, auspica che tutte le altre norme cui sono sottoposti i locali di ristorazione e somministrazione, siano integralmente rispettate, a partire dalle questioni legate all’igiene e alla sicurezza.
«È ragionevole ritenere che il soggetto che abbia l’intenzione di avviare un’attività di home restaurant - spiega il direttore generale di Fipe,
Roberto Calugi, in una circolare - dovrà presentare lo stesso identico modulo delle imprese della somministrazione di alimenti e bevande, dovendo autocertificare il possesso di tutti i requisiti previsti per queste ultime con la sola eccezione della sorvegliabilità dei locali.
Roberto Calugi
D’altro canto il Ministero dello Sviluppo economico, competente in ordine alla corretta qualificazione giuridica della fattispecie in commento, ha chiarito che per home restaurant si intende “un’attività che si caratterizza per la preparazione di pranzi e cene presso il proprio domicilio in giorni dedicati e per poche persone, trattate come ospiti personali, però paganti”».
La Federazione ha fatto presente dunque alla coordinatrice della Commissione competente della Conferenza Unificata che, allo stato, gli home restaurant dovrebbero rispettare i requisiti imposti agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.
«In sostanza - prosegue Calugi - è ragionevole ritenere che chi effettua preparazione in ambito domestico di alimenti non destinati al consumo privato ma alla commercializzazione e/o somministrazione, debba rispettare le norme amministrative che impongono la presentazione della Scia, il possesso dei requisiti morali e professionali previsti per la somministrazione, il rispetto di norme sanitarie che impongono la notifica igienico sanitaria e la presentazione di un piano di autocontrollo Haccp, così come le norme urbanistiche ed edilizie comunali, con conseguente verifica se, nella zona in cui è situata l’abitazione, sia consentita l’attività di somministrazione di alimenti e bevande. Nelle more di un riscontro che auspichiamo avvenga alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva, al fine di supportare la ricostruzione appena delineata, è importante che le Amministrazioni locali vengano correttamente sensibilizzate sul tema, fornendo loro la chiave interpretativa di cui alla presente circolare. In tal modo può essere evitata una diversa interpretazione della suindicata modifica della modulistica in commento che porti, ad esempio, a ritenere che i requisiti di coloro che effettuano attività di home restaurant in sede di presentazione della Scia o della domanda di autorizzazione afferiscano all’abitazione privata e non invece ad un esercizio commerciale».