Era il 2007, e innescata da spericolate speculazioni finanziarie con ricadute sull'immobiliare e poi sull'economia tutta, dall'Atlantico arrivò la crisi che poi divenne la grande crisi e… ce la siamo tenuta per quasi un decennio. Tante le vittime, intese come cessazioni di attività, caduta dell'occupazione, poco lieta atmosfera d'intorno. A leggere i numeri, a captare segnali deboli, a volerci fortemente credere, sembra che dalla crisi si stia uscendo. E se così è, allora è il momento di… preoccuparsi!
È il momento in cui un errore grande, alimentato da pigrizia intellettuale, si insinua nelle menti: ritenere che le lancette tornino indietro fino alla stagione ante crisi e che tutto riprenda come prima. Attenzione, non è così, non può essere così: nulla sarà più come prima. Se solo si pensa a quanto nel settore alimentare, anche a causa della crisi, il cliente sia divenuto ancora più avveduto ed esigente, a quanto una segnalazione negativa in rete arrechi nocumento immediato.
Dall'Atlantico, con il finire della seconda guerra mondiale, arrivarono molte cose, ma proprio tante e tutte hanno contribuito a modificare la vita quotidiana. Di una probabilmente si è persa memoria. Un insetticida: il DDT. I meno giovani (quorum ego) forse flebile ricordo ancora ne hanno. Sbrigativamente, debellò infezioni causate da carenze igieniche. Ma qui di ben altro DDT vogliamo parlare. È acronimo originale che sta per design, divertimento, tecnologia. Le tre leve prioritarie, sapientemente azionando le quali la ristorazione di qualità può porre le basi per una vita soddisfacente, ovvero che arrechi vistose e meritate soddisfazioni professionali, piuttosto che una mera sopravvivenza. Le aree di intervento generano overlap. Analizziamole singolarmente.
Design. Qui siamo nella più esaustiva delle accezioni. Qui vuole intendersi tutto quanto concorre a porre il cliente in una situazione di “agio”, un pieno e appagante comfort. E allora è design la segnaletica di avvicinamento, l'insegna alla porta d'ingresso. L'atrio di disimpegno con oggetti e complementi utili, necessari talvolta: portaombrelli, guardaroba atto a evitare accumuli di soprabiti su spalliere e su provvidenziali sedie libere. Bagni puliti e accessoriati, sempre, e non soltanto ad inizio di giornata. Una nuova prossemica dei tavoli, prendendo atto che le esigenze di privacy si sono innalzate. Rinnovata accortezza alla mise en place e al menage.
Il ripristino, sebbene in ammodernata concezione, del gueridon e professionalità del personale di sala permettendo, la reintroduzione, senza fronzoli bensì di sostanza, di occasioni di servizio flambé. È design anche il materiale mediante il quale si genera l'erogazione del servizio, e di conseguenza la fruizione: il menu. A proposito di overlap, il menu inteso come output di processo di offering è argomento che rientra nella “t” di tecnologia.
Qui si intende l'oggetto cartaceo, il suo formato, la sua grafica, la sua usabilità al tavolo. E le altre carte, quella dei vini, innanzitutto. È design, traguardando scenario a venire, il package per l'asporto (e non ci si riferisce solo alle pizzerie). È design un'area di shelf per acquisti dell'istante che (overlap con la “d” di divertimento) saranno suggeriti in funzione del pasto consumato. Grande attenzione al comfort visivo, con apparato di illuminazione studiato ed attuato grazie a specifiche competenze; privilegio quando possibile, della luce naturale.
Altrettanta attenzione alla riduzione dei rumori, con essi intendendo l'eliminazione di televisori, suadenti inviti (anche questo è materiale di comunicazione) a tenere spenti o almeno silenziati i telefonini. Cucina, se non necessariamente a vista, comunque “percettibile” dal cliente in sala. Insomma, si va oltre l'abusato concetto di far sentire il cliente come a casa propria. No, far stare il cliente meglio di come starebbe se fosse “adesso” a casa propria!
Divertimento. Anche in questo caso, l'accezione è esaustiva. Si parte dal presupposto che il ristoratore dà da mangiare a gente che non ha fame! Siamo pur certi che l'ultimo bisogno del cliente che varca la soglia del ristorante è sfamarsi. Al più, lo concediamo, il cliente ha appetito! Ribadiamo quanto già detto altre volte: si va al ristorante, consapevole e condivisa la scelta, per vivere una deliziosa esperienza cognitiva ed emozionale. E questa esperienza è già divertimento.
Ma il divertimento, anche (se non soprattutto) in età adulta, può stare insieme a un apprendimento, ovvero a un imparare cose nuove, a rinnovare la memoria per cose a rischio di oblio. È il famoso edutainment, crasi tra l'apprendimento e il divertimento. Può essere il cosiddetto secondo rigo di menu (overlap delle tre aree) con la dicitura precisa (ancorché veritiera) dell'origine degli ingredienti costituenti il piatto. È l'evento, inserito in un ciclo oppure one shot, è la serata a tema.
È l'essere coinvolto nel fine tuning del piatto ordinato. È divertimento anche l'aver pregustato la cena, averla addirittura già condivisa con i commensali mediante amena fruizione dei social media del ristorante. È divertimento anche lasciarsi suggestionare dall'idea di un revival domestico della cena, accogliendo le proposte di kit da asporto mediante il quale essere “chef a casa mia” e poi postare i risultati sui social media. È divertimento anche essere a cena in quanto beneficiari di gift card e perciò ricevere anche “coccole” suppletive. È divertimento anche donare gift card. È divertimento concorrere all'approntamento del “prossimo menu” segnalando desideri (overlap con la “t” di tecnologia).
Tecnologia. Ci sia consentito riportare la definizione di tecnologia secondo Karl Popper: «La tecnologia è… quell'insieme di cose che ancora non c'erano quando siamo nati». Definizione geniale! Per nostra comodità, assumiamo che siamo nati come ristoratori appena tre lustri fa, pressoché in contemporanea con l'euro, tanto per capirci. L’introduzione della cosiddetta “tecnologia abilitante” ovvero che abilita miglioramenti e produttività, nel proprio ristorante significa due cose: un gestionale integrato, affinché l'azienda sia facilitata nel perseguimento dell'obiettivo minimo di r/c > 1 (il rapporto tra ricavi e costi sia magione di 1, ovvero l'azienda consegue utile di esercizio), e un utilizzo smart del cosiddetto web 2.0.
Il gestionale integrato necessita di discorso a sé per quanto ampio e specialistico. Ci limitiamo qui a dire che si tratta di tenere sotto controllo il ciclo attivo (vendita alla clientela) e il ciclo passivo (acquisti dai fornitori) dell'azienda. A proposito di menu si tratta di effettuare il cosiddetto “menu engineering”, ovvero partire dalla rigorosa analisi del food cost per poi addivenire alla decisione di come approntare l'offering. Si passa dal menu che, e sembrava già cosa bella, varia al mutare delle stagioni, al menu che varia in funzione delle opportunità di miglior rapporto costo/prezzo con beneficio win win, di cui si giovano sia il ristoratore che il cliente.
Di una singola proposta di menu, si deve andare oltre la domanda “quanto mi costa” e ci si pone la domanda: quanto mi rende ad averlo in carta e anche (paradosso apparente) quanto mi rende a toglierlo dalla carta? E ancora, ha senso che del menu il cliente acquisisca contezza solo quando è nel ristorante? Perché non metterlo in rete? Perché non una app? Si tratta di automatizzare le comande. Si tratta, in breve, di attivare il cosiddetto Srm, Stakeholder relationship management, ovvero la gestione delle relazioni con gli stakeholders dell'azienda. Innanzitutto i tre principali: clienti, fornitori, banche. È stato dimostrato da autorevoli studi, che il corretto funzionamento di un gestionale integrato restituisce al ristoratore mediamente due ore al giorno di tempo ritrovato. Saprà il ristoratore come impiegare questo gruzzolo prezioso.
L'altro ambito della “t” è funzione della “confidenza” o in subordine della “non soggezione” che ha il ristoratore nei confronti del web 2.0. Si parte dal sito aziendale, che ancora è per tanti addirittura un autogoal per come, ci duole dirlo, malfatto, raramente aggiornato e “freddo” nei confronti di chi a esso accede. Si prosegue con la presenza attiva e partecipe sui social network, a partire dalla pagina Facebook, anche qui stando ben attenti a non generare autogoal.
Incredibile di quanta preziosa mole di dati si venga in possesso semplicemente leggendo con attenzione quanto si dice in rete. Dati, dati, dati… sempre tanti e sempre di più. Ne scaturisce un effetto rumore fastidioso per chi non si prende la briga di ascoltare, ne scaturiscono ausili alle decisioni per chi si attrezza per trasformare i dati in informazioni, le informazioni in conoscenza e le acquisite conoscenze in prezioso supporto alle decisioni.
Intreccio tra i dati interni e i dati esterni: è il nuovo dashboard. Il mancato utilizzo del dashboard è nocivo per come altrettanto palesemente e immediatamente nocivo, ancorché bizzarro, sarebbe dire al cliente che chiede il conto: “ma no, lasci stare, ne faccio a meno dei suoi soldi”. Ecco, qui l'assurdo è evidente. Nel caso del dashboard, se ne conviene che è molto meno evidente, eppure… è così. È mica poi così complicato questo “DDT”. Se l'approccio è positivo diviene la più avvincente delle sfide che il ristoratore lancia a se stesso. I risultati sia di qualità (anche qualità della vita del ristorante, beninteso) che di qualità diventano ben evidenti già dopo qualche settimana. Ovviamente, meglio lasciar perdere, non accingersi nemmeno a pensare al “DDT”, se non ci si crede, e se non si dispone di personale competente e motivato.
Difatti è fondamentale che tutto il team, brigata di cucina, personale di sala, collaboratori esterni, voglia lanciarsi verso questo assalto al nuovo orizzonte della ristorazione di qualità. C'è tutto un mondo di nuove esperienze da vivere e da far vivere ai propri stakeholders, clienti innanzitutto. Non è bello e appagante tutto ciò?